Anch'io ho molto 'sentito' quella parte di Ratatuille, e l'ho pensata intensamente negli ultimi post di questo thread.dolcemind ha scritto:Parlando di critici e di critica c'è un pezzo molto rappresentativo in "Ratatouille"
in cui il critico Anton Ego viene a patti con se stesso e medita sull'utilità delle sue
critiche e della critica in generale (culinaria in questo caso), convenendo che anche
l'opera più modesta ha più anima della sua critica che non rischia nulla.
Del resto, la 'redenzione dell'Ego' in Ratatuille è del tutto proustiana, se vogliamo, il che fa buona coppia col contenuto a la Stendhal di tutta la pellicola (davvero ottima, peraltro).
Ritengo tuttavia che sa da un lato la 'critica' debba rifuggire il rischio della sua stessa ipertrofia da ridondanza ciclica, pure quando condotta nei sentieri dell'onestà possa avere un importante valore educativo all'arte, respingendo d'altro canto il rischio inverso, ovvero quello di un'altrettanto pericolosa legittimazione dell'approccio incolto all'arte stessa autolegittimantesi come degno, e misaramente rivendicante una impensabile 'parità' con la fruizione educata e ermeneuticamente corretta.
Sempre per restare in tema francesista, insomma, non credo che Gian-Giacomo avesse ragione in tutto, ecco.