Re: Kaguyahime Monogatari - Isao Takahata (3-4-5 novembre 20
Inviato: mer nov 05, 2014 2:26 am
Grazie per il commento Shito!
Edito un po' ciò che ho scritto ieri sera e ne approfitto per aggiungere alcune considerazioni, perché con gli occhi che mi si chiudevano ieri ho finito per scrivere un po' a caso...
Su Kaguya, condivido che il Mikado sia stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Come scrivevo nel commento precedente, un passo dopo l'altro l'hanno condotta alla disperazione, e pian piano noi con lei abbiamo compreso quei mattoni che uno sopra l'altro la turbavano.
Il trasloco dalla campagna alla capitale per scelta dei genitori (la perdita dei luoghi, degli amici e delle abitudini d'infanzia), che pensavano di farla felice.
Qui distinguerei almeno due questioni:
1. l'adattamento
2. il trovare la propria volontà
I paragoni immediati che mi vengono in mente sono "Hotaru no Haka", "Pompoko" e "Anna dai capelli rossi".
Nel primo, Seita (e Setsuko a causa di Seita) non si adatta e muore. In tempo di guerra e povertà, non puoi far altro che adattarti per sopravvivere. Le famiglie nemmeno molto tempo fa, facevano tanti figli per aiutare in casa, quindi i figli dovevano subito (già a 10/11 anni) incominciare a lavorare... tutto l'opposto del cercare "la propria strada" in un ambiente confortevole, quale può essere quello permesso dal benessere. Pompoko, che confronta contadini, campagna e vita rurale con la città e con ritmi frenetici; i tanuki/contadini che non si adattavano sono metaforicamente morti, mentre gli altri si sono adattati alle circostanze di una società/ambiente circostante in continuo mutamento, e da una parte hanno iniziato a lavorare e a vivere in città, dall'altra hanno mantenuto intatto il loro essere più interno. In Anna dai capelli rossi, nell'anime, così come nel primo libro di Lucy Maud Montgomery, alla fine tutte le fantasie di Anna si spengono, nell'accettazione di rimanere con Marilla dopo la morte di Matthew. Si adatta anch'essa alle circostante verso cui la vita l'ha condotta. Eppure nei libri successivi, Anna pian piano trova la propria strada, maestra scolastica, se non ricordo male si innamora e quant'altro. In genere vediamo sempre adattamento e trovare la propria volontà come cose che vanno a braccetto. O perlomeno, il potersi dedicare alla ricerca della propria volontà è un qualcosa che è permesso/possibile fare qualora si stia in condizioni favorevoli. Insomma, in guerra non è possibile, nella lotta della sopravvivenza qualcosa si può fare, mentre nel benessere o in sprazzi di esso, si può fare molto di più; il problema è rendersene conto. La storia infinita è incentrato proprio su questo, d'altronde Bastian vive nel benessere. Inizialmente è succube e passivo, ma il percorso compiuto a Fantàsia lo porterà ad essere attivo, per trovare - citando il leone Graograman - la sua vera volontà.
Ho fatto questi esempi per rimanere in tema Ghibli, o quantomeno tema infanzia.
Quindi, noi con Kaguya scopriamo la disperazione per essersi separata dai luoghi/amici/abitudini dell'infanzia. Disperazione per il cambiamento (tipo Shinji in Evangelion 3.0 You can (not) redo), e la non accettazione di ciò, cercando di ricostruire fittiziamente ciò che non c'è più, cercando disperatamente un modo per arginare il divenire della vita, con una qualche diga, che però alla fine si rivelerà inutile, se non dannosa. Così ha fatto Kaguya, nella creazione del giardino domestico.
Ma poi si è resa conto, unendo i tasselli. Alla fine della corsa disperata che l'ha portata al luogo natio, si è resa conto che lì tutto era cambiato. Le persone si erano spostate, la foresta non era più lussureggiante. Quindi l'attaccamento al ricordo si è scontrato con la realtà. Ed il vecchio signore dice: "le persone del villaggio si spostano ogni 10 anni, alla ricerca di nuovi luoghi dove andare, per permettere alla foresta di rifiorire, e alla fine ritorneranno anche qui"... ed alla fine infatti tornano. Però Kaguya si rende veramente conto della falsità, quando distrugge il falso giardinetto di casa. "Questo è un falso! Io sono falsa!", ovvero mi sto crogiolando in un "fare" fittizio e io stessa non esprimo il mio essere più profondo. Per citare Itsumo nando demo, Kaguya non esprime la sua propria luce interiore.
Poi gli obblighi di corte, tra denti neri, sopracciglia, calligrafia, clausura casalinga, i pretendenti, ed infine il Mikado. Un percorso che sempre di più l'ha allontanata dalla felicità, o meglio che l'ha allontanata da ciò che avrebbe amato fare. Ed infatti alla fine lei capisce. Quando incontra Sutemaru gli dice: "Forse con te sarei potuta essere felice. Ora l'ho capito."
I genitori volevano renderla felice e l'hanno portata nella capitale, invece alla fine bastava fare la normale vita degli altri popolani del villaggio.
Attenzione, ciò non vuol dire che Kaguya sarebbe stata felice di traslocare dalla campagna, per andare in un altra campagna. La maturazione della consapevolezza, passa prima per i capricci e poi per l'accettazione. Secondo me avrebbe fatto comunque i capricci per il cambiamento, però probabile che si sarebbe adattata di più, crescendo. Ed alla fine lei, fa come Taeko.
Taeko di Omohide poroporo, si rende conto che la vacanzina da campagnola era un autoinganno, che ne sapeva lei della vita dura in quei luoghi, quando lei ci andava solo in vacanza a far finta di lavorare? Però alla fine realizza, che quello è il luogo dove si trova bene, è il luogo in cui è se stessa. Perché lì c'è gente che la prende sul serio: Toshio che ascolta davvero Taeko, la ragazzina/cugina (mi pare),
Situazione simile sarebbe potuta essere per Kaguya; ma lei non ha avuto nessuno a prenderla sul serio come Taeko.
Alla fine la principessa realizza gli inganni interiori (quando confida ai genitori che proviene dalla Luna), e nell'incontro con Sutemaru quando lui dice "per la gallina e il fatto di avermi fatto prendere come un ladruncolo, non è niente" lei sottolinea proprio "sì, giusto, non è niente", in riferimento al fatto che le difficoltà della vita campagnola vanno accettate, perché quello è il mondo di cui lei avrebbe voluto fare parte. Quindi vediamo un percorso di crescita e maturazione, ma che tuttavia non finisce bene, poiché come dicevi lei ormai aveva deciso di morire.
Tra l'altro alla fine lei, non è nemmeno una terrestre. Anelava alla vita terrena, ma il baratro di disperazione in cui era sprofondata, l'avevano portata a dire: ma io che ci sto a fare qui? Quindi sì, il Mikado l'ha fatta traboccare, ed ora con la mente lucida, condivido la metafora del suicidio che ieri sera non capivo XD
Lei evoca il popolo della Luna, per venire a riprenderla, o meglio, evoca la morte per far cessare una vita che la sta schiacciando nella disperazione.
Lei non è riuscita a condividere il suo essere; nemmeno il padre, così ossessionato dalla sua visione, vedeva la sofferenza della figlia "ma tu non percepisci le sue sofferenze?" (o qualcosa di simile) dice la mamma ad un certo punto. La signora era l'unica che in qualche modo percepiva i turbamenti della principessa, e anzi, se non ci fosse stata nemmeno lei, probabilmente Kaguya avrebbe richiamato ben prima la morte. Tuttavia nell'inevitabile vicolo cieco in cui Kaguya si vedeva, non ha avuto via di scampo.
Taeko ha trovato il centro di se stessa (non in senso di individualismo, bensì in senso di comprensione di sé), e poi ha trovato persone con cui essere se stessa, e quindi un ambiente a cui appartenere.
Kaguya no. Lei ha maturato il centro di se stessa, ma poi non ha trovato l'ambiente, o meglio, le vicissitudini e un mattone dopo l'altro, l'hanno portata ad un abisso da cui non ha realizzato via d'uscita.
Sul disprezzo di Takahata riguardo la trascendenza non saprei, io ci vedo l'analisi lucida di due mondi differenti.
Alla fine Isao Takahata ha messo gli esseri umani al centro del film, che sembra dirci che le nostre emozioni, le gioie, i dolori, il divenire e le imperfezioni dell'essere umano, vanno accettate come tali, perché tale è ciò che è. O per lo meno, tale è la nostra attuale percezione dell'esistenza.
Questo percorso risulta quindi il miglior modo per permettere la vita in questo stato di cose terreno e per far sbocciare la compassione.
A questo punto nel finale del film mi è venuto in mente quando Prospero, nell'atto IV della Tempesta di Shakespeare dice:
Come t’avevo detto, quegli attori
erano solo spiriti dell’aria,
ed in aria si son tutti dissolti,
in un’aria sottile ed impalpabile.
E come questa rappresentazione
- un edificio senza fondamenta -
così l’immenso globo della terra,
con le sue torri ammantate di nubi,
le sue ricche magioni, i sacri templi
e tutto quello che vi si contiene
è destinato al suo dissolvimento;
e al pari di quell’incorporea scena
che abbiam visto dissolversi poc’anzi,
non lascerà di sé nessuna traccia.
Siamo fatti anche noi della materia
di cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d’un sogno
è racchiusa la nostra breve vita.
Come a sottolineare la piccolezza delle nostre vite terrene, ma al contempo la loro rarità e beltà, all'interno di un universo ignoto, all'interno di un tempo lunghissimo. Cosa sono 100 anni, rispetto ai 13 miliardi dell'universo?
In tal senso, come dicevo nel precedente commento l'amore per la vita, per tutto ciò che è, per la nostra finita e ristretta percezione delle cose, sono lo splendido messaggio di questo film.
Però detto ciò, non vedo una critica ad un'eventuale vita/esistenza/statodicose/realtà trascendente. Semplicemente, se esiste, allora essa stessa farebbe parte della realtà (qualunque cosa sia la realtà).
Ciò che vedo nel film di Takahata, è il non riuscire a vivere questa vita terrena per ciò che è. Come dicevo nel commento precedente: non puoi coltivare melanzane se vuoi mangiare peperoni. Come esseri umani, siamo chiamati a vivere sulla Terra, qui e ora. Ovvero come dici tu, questa è una vita per la vita.
Nella mia totale sospensione di giudizio penso sia sbagliato contrapporre due (eventuali) stati di esistenza/di realtà, così come contrapporre ragione e fede. Non ha senso. La vita è il gioco degli umani. La vita trascendente è il gioco successivo. Poi magari ci saranno altri giochi, o forse no. In tal senso chiudevo il commento con la sospensione di giudizio, perché abbiamo una visione ristretta della realtà (citando evangelion...) Tutto qui ^^
Film splendido. Peccato solo che i cinema richiedono troppo per vedere questi film; altrimenti lo avrei rivisto sicuramente oggi! Aspetterò il dvd!!!
In definitiva posso dire che insieme a Omohide poro poro, questo sia il mio Ghibli preferito.
Scusate il papiro, ma ieri non sono riuscito a scrivere tutto quello che volevo XD
Edito un po' ciò che ho scritto ieri sera e ne approfitto per aggiungere alcune considerazioni, perché con gli occhi che mi si chiudevano ieri ho finito per scrivere un po' a caso...
Su Kaguya, condivido che il Mikado sia stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Come scrivevo nel commento precedente, un passo dopo l'altro l'hanno condotta alla disperazione, e pian piano noi con lei abbiamo compreso quei mattoni che uno sopra l'altro la turbavano.
Il trasloco dalla campagna alla capitale per scelta dei genitori (la perdita dei luoghi, degli amici e delle abitudini d'infanzia), che pensavano di farla felice.
Qui distinguerei almeno due questioni:
1. l'adattamento
2. il trovare la propria volontà
I paragoni immediati che mi vengono in mente sono "Hotaru no Haka", "Pompoko" e "Anna dai capelli rossi".
Nel primo, Seita (e Setsuko a causa di Seita) non si adatta e muore. In tempo di guerra e povertà, non puoi far altro che adattarti per sopravvivere. Le famiglie nemmeno molto tempo fa, facevano tanti figli per aiutare in casa, quindi i figli dovevano subito (già a 10/11 anni) incominciare a lavorare... tutto l'opposto del cercare "la propria strada" in un ambiente confortevole, quale può essere quello permesso dal benessere. Pompoko, che confronta contadini, campagna e vita rurale con la città e con ritmi frenetici; i tanuki/contadini che non si adattavano sono metaforicamente morti, mentre gli altri si sono adattati alle circostanze di una società/ambiente circostante in continuo mutamento, e da una parte hanno iniziato a lavorare e a vivere in città, dall'altra hanno mantenuto intatto il loro essere più interno. In Anna dai capelli rossi, nell'anime, così come nel primo libro di Lucy Maud Montgomery, alla fine tutte le fantasie di Anna si spengono, nell'accettazione di rimanere con Marilla dopo la morte di Matthew. Si adatta anch'essa alle circostante verso cui la vita l'ha condotta. Eppure nei libri successivi, Anna pian piano trova la propria strada, maestra scolastica, se non ricordo male si innamora e quant'altro. In genere vediamo sempre adattamento e trovare la propria volontà come cose che vanno a braccetto. O perlomeno, il potersi dedicare alla ricerca della propria volontà è un qualcosa che è permesso/possibile fare qualora si stia in condizioni favorevoli. Insomma, in guerra non è possibile, nella lotta della sopravvivenza qualcosa si può fare, mentre nel benessere o in sprazzi di esso, si può fare molto di più; il problema è rendersene conto. La storia infinita è incentrato proprio su questo, d'altronde Bastian vive nel benessere. Inizialmente è succube e passivo, ma il percorso compiuto a Fantàsia lo porterà ad essere attivo, per trovare - citando il leone Graograman - la sua vera volontà.
Ho fatto questi esempi per rimanere in tema Ghibli, o quantomeno tema infanzia.
Quindi, noi con Kaguya scopriamo la disperazione per essersi separata dai luoghi/amici/abitudini dell'infanzia. Disperazione per il cambiamento (tipo Shinji in Evangelion 3.0 You can (not) redo), e la non accettazione di ciò, cercando di ricostruire fittiziamente ciò che non c'è più, cercando disperatamente un modo per arginare il divenire della vita, con una qualche diga, che però alla fine si rivelerà inutile, se non dannosa. Così ha fatto Kaguya, nella creazione del giardino domestico.
Ma poi si è resa conto, unendo i tasselli. Alla fine della corsa disperata che l'ha portata al luogo natio, si è resa conto che lì tutto era cambiato. Le persone si erano spostate, la foresta non era più lussureggiante. Quindi l'attaccamento al ricordo si è scontrato con la realtà. Ed il vecchio signore dice: "le persone del villaggio si spostano ogni 10 anni, alla ricerca di nuovi luoghi dove andare, per permettere alla foresta di rifiorire, e alla fine ritorneranno anche qui"... ed alla fine infatti tornano. Però Kaguya si rende veramente conto della falsità, quando distrugge il falso giardinetto di casa. "Questo è un falso! Io sono falsa!", ovvero mi sto crogiolando in un "fare" fittizio e io stessa non esprimo il mio essere più profondo. Per citare Itsumo nando demo, Kaguya non esprime la sua propria luce interiore.
Poi gli obblighi di corte, tra denti neri, sopracciglia, calligrafia, clausura casalinga, i pretendenti, ed infine il Mikado. Un percorso che sempre di più l'ha allontanata dalla felicità, o meglio che l'ha allontanata da ciò che avrebbe amato fare. Ed infatti alla fine lei capisce. Quando incontra Sutemaru gli dice: "Forse con te sarei potuta essere felice. Ora l'ho capito."
I genitori volevano renderla felice e l'hanno portata nella capitale, invece alla fine bastava fare la normale vita degli altri popolani del villaggio.
Attenzione, ciò non vuol dire che Kaguya sarebbe stata felice di traslocare dalla campagna, per andare in un altra campagna. La maturazione della consapevolezza, passa prima per i capricci e poi per l'accettazione. Secondo me avrebbe fatto comunque i capricci per il cambiamento, però probabile che si sarebbe adattata di più, crescendo. Ed alla fine lei, fa come Taeko.
Taeko di Omohide poroporo, si rende conto che la vacanzina da campagnola era un autoinganno, che ne sapeva lei della vita dura in quei luoghi, quando lei ci andava solo in vacanza a far finta di lavorare? Però alla fine realizza, che quello è il luogo dove si trova bene, è il luogo in cui è se stessa. Perché lì c'è gente che la prende sul serio: Toshio che ascolta davvero Taeko, la ragazzina/cugina (mi pare),
Situazione simile sarebbe potuta essere per Kaguya; ma lei non ha avuto nessuno a prenderla sul serio come Taeko.
Alla fine la principessa realizza gli inganni interiori (quando confida ai genitori che proviene dalla Luna), e nell'incontro con Sutemaru quando lui dice "per la gallina e il fatto di avermi fatto prendere come un ladruncolo, non è niente" lei sottolinea proprio "sì, giusto, non è niente", in riferimento al fatto che le difficoltà della vita campagnola vanno accettate, perché quello è il mondo di cui lei avrebbe voluto fare parte. Quindi vediamo un percorso di crescita e maturazione, ma che tuttavia non finisce bene, poiché come dicevi lei ormai aveva deciso di morire.
Tra l'altro alla fine lei, non è nemmeno una terrestre. Anelava alla vita terrena, ma il baratro di disperazione in cui era sprofondata, l'avevano portata a dire: ma io che ci sto a fare qui? Quindi sì, il Mikado l'ha fatta traboccare, ed ora con la mente lucida, condivido la metafora del suicidio che ieri sera non capivo XD
Lei evoca il popolo della Luna, per venire a riprenderla, o meglio, evoca la morte per far cessare una vita che la sta schiacciando nella disperazione.
Lei non è riuscita a condividere il suo essere; nemmeno il padre, così ossessionato dalla sua visione, vedeva la sofferenza della figlia "ma tu non percepisci le sue sofferenze?" (o qualcosa di simile) dice la mamma ad un certo punto. La signora era l'unica che in qualche modo percepiva i turbamenti della principessa, e anzi, se non ci fosse stata nemmeno lei, probabilmente Kaguya avrebbe richiamato ben prima la morte. Tuttavia nell'inevitabile vicolo cieco in cui Kaguya si vedeva, non ha avuto via di scampo.
Taeko ha trovato il centro di se stessa (non in senso di individualismo, bensì in senso di comprensione di sé), e poi ha trovato persone con cui essere se stessa, e quindi un ambiente a cui appartenere.
Kaguya no. Lei ha maturato il centro di se stessa, ma poi non ha trovato l'ambiente, o meglio, le vicissitudini e un mattone dopo l'altro, l'hanno portata ad un abisso da cui non ha realizzato via d'uscita.
Sul disprezzo di Takahata riguardo la trascendenza non saprei, io ci vedo l'analisi lucida di due mondi differenti.
Alla fine Isao Takahata ha messo gli esseri umani al centro del film, che sembra dirci che le nostre emozioni, le gioie, i dolori, il divenire e le imperfezioni dell'essere umano, vanno accettate come tali, perché tale è ciò che è. O per lo meno, tale è la nostra attuale percezione dell'esistenza.
Questo percorso risulta quindi il miglior modo per permettere la vita in questo stato di cose terreno e per far sbocciare la compassione.
A questo punto nel finale del film mi è venuto in mente quando Prospero, nell'atto IV della Tempesta di Shakespeare dice:
Come t’avevo detto, quegli attori
erano solo spiriti dell’aria,
ed in aria si son tutti dissolti,
in un’aria sottile ed impalpabile.
E come questa rappresentazione
- un edificio senza fondamenta -
così l’immenso globo della terra,
con le sue torri ammantate di nubi,
le sue ricche magioni, i sacri templi
e tutto quello che vi si contiene
è destinato al suo dissolvimento;
e al pari di quell’incorporea scena
che abbiam visto dissolversi poc’anzi,
non lascerà di sé nessuna traccia.
Siamo fatti anche noi della materia
di cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d’un sogno
è racchiusa la nostra breve vita.
Come a sottolineare la piccolezza delle nostre vite terrene, ma al contempo la loro rarità e beltà, all'interno di un universo ignoto, all'interno di un tempo lunghissimo. Cosa sono 100 anni, rispetto ai 13 miliardi dell'universo?
In tal senso, come dicevo nel precedente commento l'amore per la vita, per tutto ciò che è, per la nostra finita e ristretta percezione delle cose, sono lo splendido messaggio di questo film.
Però detto ciò, non vedo una critica ad un'eventuale vita/esistenza/statodicose/realtà trascendente. Semplicemente, se esiste, allora essa stessa farebbe parte della realtà (qualunque cosa sia la realtà).
Ciò che vedo nel film di Takahata, è il non riuscire a vivere questa vita terrena per ciò che è. Come dicevo nel commento precedente: non puoi coltivare melanzane se vuoi mangiare peperoni. Come esseri umani, siamo chiamati a vivere sulla Terra, qui e ora. Ovvero come dici tu, questa è una vita per la vita.
Nella mia totale sospensione di giudizio penso sia sbagliato contrapporre due (eventuali) stati di esistenza/di realtà, così come contrapporre ragione e fede. Non ha senso. La vita è il gioco degli umani. La vita trascendente è il gioco successivo. Poi magari ci saranno altri giochi, o forse no. In tal senso chiudevo il commento con la sospensione di giudizio, perché abbiamo una visione ristretta della realtà (citando evangelion...) Tutto qui ^^
Film splendido. Peccato solo che i cinema richiedono troppo per vedere questi film; altrimenti lo avrei rivisto sicuramente oggi! Aspetterò il dvd!!!
In definitiva posso dire che insieme a Omohide poro poro, questo sia il mio Ghibli preferito.
Scusate il papiro, ma ieri non sono riuscito a scrivere tutto quello che volevo XD