Non ho detto di 'sacrificare la naturalezza'Raghnar ha scritto:Non essere tautologico: ci pensa Shito stesso a dire che il suo adattamento conserva per quanto possibile lessico e sintassi del dialogo originale (su cui appunto, senza essere un esperto di Giapponese non posso che fidarmi) e per fare questo non può che sacrificare la "naturalezza".dolcemind ha scritto:Non è il primo caso perchè Maximilian per sua amissione non ha le competenze per poter giudicare o meglio può giudicare ma il suo parere vale quel che vale.
Su questo tema c'è sempre grande confusione da parte di taluni. Quel che dico è che per essere precisi sul contenuto della traduzione è necessario un uso plenario del lessico della lingua di 'arrivo' su quella di 'partenza', e questo può causare -a volte- un leggero innalzamento del livello linguistico, ma questo non ha molto a che fare con il sacrifico della naturalezza.
Il punto è che diversi popoli parlano in modo diverso, come uso dei registri.
Ovvero, in un'azienda giapponese si una un registro linguistico che per il giappone è 'cortese', laddove in un'azienda italiana si usa un registro da compagnoni.
Ora, cosa c'entra la naturalezza?
Traducendo un dialogo tra colleghi giapponesi -che è naturale ma cortese in giapponese- ne verebbe fuori in italiano un dialogo in italiano non complicato ma cortese. Senza dubbio una cosa che suonerebbe strana alle orecchie di italini abituati all'uso del turpiloquio in tv, sui giornali, figurarsi tra colleghi. Ma questo non ha nulla a che fare con la 'naturalezza' dell'italiano tradotto. Semplicemente, è ua folle, ingiusta, insensata pretesa pensare che 'a analoghe situazioni anologhe lingue tra due culture differenti'. Questa cosa è la MORTE del valore stesso di una traduzione.
Nel dialogo televisivo di Ponpoko, per esempio, non credo di aver alzato il registro linguistico. Infatti il muratore parla in un modo, il politico in un altro, e il presentatore in un altro ancora. Non parlano come parlerebbero degli italiani in quella situazione, ma questo non è un punto sensato di ragionamento. Se gli italiani in TV sono per lo più sboccati, non vuol dire che traducendo dei giapponeti in TV li si debba rendere tali. Non ha senso.Ha ammesso Shito stesso che politico e presentatore sono realisticamente resi in Giapponese... E allo stesso modo in cui mi fido che il suo adattamento sia fedele mi fido sul questa asserzione.
in Italiano boh... secondo me no... sicuramente sarebbe stato più realistico girare la frase, e questo posso giudicarlo in quanto Italiano e conoscitore, almeno un poco, dell'italica lingua.
E no, girare la frase non avrebbe reso il dialogo più realistico. Al contrario, l'avrebbe reso didascalico e libresco, da italiano scritto e non parlato.
Come spero di avere reso ora ancor più chiaro, l'idea di 'realismo in una traduzione' che qui esprimi è insensata e deforme.Ed ecco che qui abbiamo una scelta da fare: rendere in modo realistico i personaggi (e quindi assecondare l'intenzione dell'autore), o in modo fedele?
Shito per diverse ragioni sceglie la seconda, e mi sta benissimo. Maximilian, pur non conoscendo il giapponese, ritiene che non sia reso in modo realistico e quindi non si sia rispettata una delle intenzioni di Takahata...
Lasciando perdere le illazioni lettesi su altri lidi.
Hai fatto un pessimo esempio, perché 'neve' e 'gragnola' non sono la stessa cosa, come non lo è la grandine.Raghnar ha scritto:Perchè, l'utilizzare un vocabolario comune anzichè molto ricercato non è "quello che ha detto"?Penauts ha scritto:Attenzione! Non bisogna confondere "quello che ha detto" l'autore con "quello che vuole dire", perché mentre per il primo punto abbiamo il riscontro oggettivo e tangibile nel film stesso come "oggetto" (parola-immagine-suono), per il secondo abbiamo solo la nostra speculazione intellettuale.
Faccio un esempio estremo così ci capiamo (spero):
In Inuit esistono 20 parole diverse per parlare di Neve tutte comuni, e io, per tradurre un'espressione faccio dire a un bimbo "Gragnola" sto facendo la seguente operazione: l'autore eschimese ha fatto parlare un bimbo come un bimbo, utilizzando una parola che i bimbi eschimesi usano. Io, nel mio adattamente, sto facendo utilizzare ad un bimbo una parola "scientifica" con cui il bimbo (ma anche l'adulto) italiano non è affatto familiare per esprimere il più adeguamente possibile il riferimento filmico ed essere, secondo il linguaggio di Shito, "Più fedele possibile".
Ora, davanti a un'azione di questo tipo, esistono due posizioni antitetiche:
1- "Gragnola" è Italiano? E' desueto, ricercato, complicato, non verrebbe mai in bocca a un bimbo italiano? Chissenefrega.
PRO: sono lessicalmente più fedele possibile all'originale. CONTRO: Un bimbo che è supposto parlar da bimbo (e questo è "quello che ha detto", non una speculazione nostra, perchè la lingua è lingua) parla come il colonnello Giuliacci. Questo potrebbe rovinare l'atmosfera del film: generare ilarità non prevista (o al contrario rovinare l'ilarità prevista), dipingere un WTF nela faccia degli spettatore...etc...
2- Un bimbo direbbe mai "Gragnola"? Ma neanche un adulto! Allora facciamogli dire "Neve".
PRO: Un bimbo parlerà da bimbo, "quello che ha detto" l'eschimese sarà reso in quanto bimbo, senza rovinare l'atmosfera che anche quella "sta nelle parole" e non è frutto di un "processo alle intenzioni" ed ha la stessa dignità ontologica (se non di più, per come lavoro io) della grammatica e del lessico. CONTRO: ho perso la sfumatura (a cui frega a molti italiani francamente) fra "Gragnola" e "Neve".
Secondo me sono entrambe scelte possibili, entrambe affrontabili, entrambe discutibili se fatte come capita, entrambe valide se fatte con criterio.
In entrambi i casi qualcosa viene "perso nella traduzione", chiunque parla in modo decoroso più di una lingua sà che non ne si può fare a meno, specialmente nelle espressioni parlate, specialmente se le lingue sono molto diverse fra di loro. Nel primo caso viene perso il realismo di far parlare un bambino come un bambino, nel secondo caso viene persa una sfumatura lessicale.
Forse il primo caso può essere rimediato con un'ottima recitazione, forse il secondo caso non è così fondamentale per un Italiano coglierla (se lo fosse anche la parola "Gragnola" sarebbe comune quanto "Neve" e il problema non si presenterebbe) ma a questo punto sì che si fa della speculazione.
Difficilmente esistono sinonimi perfetti. Molto difficilmente.
Esistono aree semantiche dai confini non nettissimi, certo.
Quando in Lolita 'mist' viene tradotto sempre e comunque come 'bruma', trovo la traduzione appesantita indebitamente, perché 'mist' è un modo semplice per dire 'nebbia', e non c'era bisogno di usare un sinimo più ricercato. Allo stesso modo, quando Nabokov usa un'espressione colloquiale come 'it doesn't matter a jot' e questa viene resa con un'espressione al contrario di registro medio-alto, penso 'epic fail'.
Il semplice assunto è che la libertà della traduzione si esplica NEI LIMITI della correttezza contenutistica.
Ovvero avrei potuto tradurre 'a jot' come 'un fico', 'un cavolo', 'un bel niente', ma NON come "un'inezia".
In Ponpoko, Takahata per primo usa una grande ricchezza lessicale e sintattica, accordata con i registri linguistici dei parlanti. Del tono letterario del narratore si passa a quello giornalistico, a quello politico, a quello aziendale, a quello militante sessantottino, sinanco ai dialetti. E' un testo impegnativo anche per i giapponesi, c'è poco da fare.
D'altro canto, ogni giudizio di 'naturalezza' della lingua si base sempre su quell'odiosa presunzione inconscia di capire come parli l'italiano medio. Che non ha senso. Di sapere che 'nessun bambino direbbe così'. Che non ha senso. E tante altre insensatezze simili.