neodago ha scritto:Sto leggendo con molto interesse questa discussione e vorrei portare un mio contributo (se interessa a qualcuno) da vero profano della linguistica (sono un'informatico, l'esatto opposto di un linguista direi).
Il mio punto di vista è quindi quello di un "italiano medio" appassionato delle opere dello Studio che non si sofferma sulla correttezza grammaticale dei dialoghi o sulla loro fedeltà rispetto all'originale (non conosco il giapponese), ma che si "gusta" il film e basta.
Con queste premesse dico solo che quando ho sentito la frase "vado a recarmi" mi si sono rizzati i capelli in testa e ho subito pensato (passatemi il termine che autocensuro): "ma come ca..o parla questa?". Questa mia perplessità è comune anche ad altri amici che erano in sala, ne abbiamo discusso dopo la proiezione.
In tutta onestà non avevo mai sentito un'espressione simile (e ho 38 anni), ma, dopo le esaurienti spiegazioni di Cannarsi Gualtiero in questo thread, mi sono convinto che sono io ad essere ignorante in materia di linguistica ed evidentemente in Italiano è una frase corretta sotto tutti i punti di vista. Nonostante questo però, la frase in questione continua a suonarmi strana ed è quella che ricordo per prima pensando al film...
Personalmente l'avrei sostituita con una frase più comune, anche se un po' meno corretta, come ad esempio "vado/andrò dalla nonna" o "mi reco/recherò dalla nonna". In questo modo il senso del discorso non sarebbe cambiato e non avrei storto il naso focalizzandomi su una singola frase per qualche istante, ma avrei continuato a godermi il film senza distrazioni.
Sbaglierò, ma io, da ignorante, avrei fatto fatto scelte diverse per compiacere maggiormente il pubblico, anche a discapito di una traduzione un po' meno precisa e rigorosa. Questione di scelte ovviamente, io volevo solamente aggiungere alla discussione anche il mio pensiero che mi pare sia condiviso da molti.
Ad ogni modo faccio comunque i complimenti a Shito per l'impegno e la professionalità che ci mette nel suo lavoro.
Mi accodo a quest'ultimo intervento perché lo trovo molto vicino alla mia sensibilità.
E parto dalla fine, facendo miei i complimenti, davvero sinceri, a Gualtiero per il suo lavoro, per l'entusiasmo e la dedizione che mette in ogni adattamento, ed anche per la disponibilità a discutere con noi delle scelte che fa (o, quantomeno, a darcene ragione).
E' in virtù di tale incontestabile dedizione ed analoga disponibilità che ieri mi sono permesso un intervento sgarbato e "fuori sincrono" rispetto ad alcuni attacchi gratuiti che mi parevano un po' preconcetti e persino orchestrati. I miei interventi sono stati - giustamente - cancellati da Pippov, al quale ho già chiesto scusa via PM ed altrettanto faccio ora con tutti voi, quantomeno con chi li ha letti.
Fatta questa doverosa premessa, passo al dunque: a differenza di Neodago io, che di lavoro faccio l'avvocato, ho una certa consuetudine con l'uso della lingua italiana, possibilmente corretta (pur non avendo fatto studi approfonditi in materia), e sovente mi capita di dover utilizzare, nei miei scritti, termini, frasi e costruzioni sintattiche che non utilizzo né utilizzerei mai nel parlato o in scritti, diciamo così, non tecnici.
Detto questo, osservo che le critiche mosse a Shito non riguardano soltanto "La collina dei papaveri" (che, per inciso, non ho visto per cui non mi posso esprimere sul punto) ma, in buona sostanza, tutto il suo lavoro di adattamento, compresi i prodotti più "infantili", vale a dire Totoro e Ponyo.
Io credo di essere un fruitore medio dei prodotti Ghibli, cioè mi approccio ai medesimi con l'entusiasmo dell'appassionato (sappiamo bene tutti di essere, in Italia, un bacino di nicchia, e non certo a causa degli adattamenti di Gualtiero quanto piuttosto per l'addormentamento culturale imposto dall'animazione di provenienza statunitense che ha imperversato ed imperversa nel nostro Paese) ma, al contempo, cerco in quei film emozioni visive ed intellettuali senza pormi troppe domande sul significato recondito di ciò che vedo; e soprattutto, la visione dei film Ghibli avviene sempre in compagnia delle mie figlie (oggi 14 e 9 anni rispettivamente).
Orbene, ci tengo a precisare che né io né le mie figlie abbiamo mai avuto sussulti o drizzate di orecchie alla visione ed all'ascolto (ripetuto più e più volte) di Totoro e Ponyo, così come di Howl, Terramare, Porco Rosso, Arrietty e Laputa: la bellezza della storia, lo splendore delle immagini e dei colori, le musiche, la poesia, non ci hanno mai fatto avvertire alcun fastidio per eventuali dialoghi contenenti espressioni forzate o distanti dalla nostra abitudine.
Discorso a parte va fatto per PonPoko, opera di per sé complicata e di non immediata lettura (non a caso, l'unico film Ghibli di cui le ragazze non mi abbiano mai chiesto una seconda visione) per la quale, come più volte spiegato in queste pagine da Gualtiero, i dialoghi sono, anche nell'originale, lo specchio di un film fortemente connotato sotto il profilo culturale e di difficile fruizione per un pubblico non giapponese.
L'unico film, tra quelli adattati da Gualtiero per conto di LR, ad aver suscitato in me perplessità in merito a certe scelte di adattamento linguistico è stato - come ebbi modo di evidenziare, a suo tempo, nell'apposita discussione - Mimi wo sumaseba.
In quel caso ho effettivamente avvertito degli appesantimenti, delle frasi che suonavano "male", delle asperità linguistiche che non mi sarei aspettato; quel film, che ho riprodotto sul lettore nella versione in inglese per chissà quante volte, è (era?) il preferito della mia primogenita, che all'acquisto del BD in italiano si è commossa sino alle lacrime. Eppure, dopo la prima visione non ha più voluto rivederlo, proprio perché colpita negativamente dalle scelte di adattamento, certamente corrette sotto il profilo linguistico - come mi spiegò Shito in una sua esaustiva e dettagliata risposta ai miei dubbi - ma ugualmente "sbagliate" all'orecchio di una ragazzina che quel film lo ha amato tantissimo per la storia che racconta.
Ecco, quello che voglio dire, in definitiva, è che da parte mia non ho alcuna critica da muovere al lavoro di Shito, anzi, lo trovo davvero ragguardevole; per la maggior parte delle opere che lui ha adattato non ho neppure avvertito "rumori di fondo" fastidiosi nei dialoghi; tuttavia, nel caso di Mimi, mi sono veramente chiesto se una scelta di adattamento meno rigida (ma sempre fedele all'originale, ovviamente) non fosse possibile.
Ora, io non sono dell'idea che l'adattamento di un film tradotto da una lingua straniera all'italiano debba essere valutato in funzione del fatto che una o più frasi pronunciate ci sembrano desuete o suscitano ilarità non dovute; però è un dato di fatto che se tante persone (non so, a dire il vero, se chi ha preso la parola su questo forum possa essere considerato un campione significativo, certamente non lo è mia figlia per Mimi) manifestano perplessità, per di più motivate, non riguardo alla correttezza formale di una scelta quanto alla sua "opportunità", se mi si passa il termine, qualche domanda, sommessamente, bisognerebbe anche porsela.
Il tutto fermo restando che non sarà, per il sottoscritto, un "vado a recarmi" piuttosto che un altrettanto corretto e più familiare (perché di questo stiamo parlando) "sto per recarmi" a pregiudicare l'enorme senso di gratitudine per il lavoro straordinario che Gualtiero sta portando avanti a beneficio di noi tutti appassionati.
Scusate la lungaggine, ci tenevo a dire la mia nel modo più completo possibile.