Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani
Inviato: gio nov 08, 2012 11:09 am
Ciao a tutti. Ritorno temporaneamente in vita (attiva) su questo forum, anche se mi ero ripromesso di non farlo più (vista l'inutilità pragmatica del mio contributo), per consigliare una lettura a mio avviso imprescindibile per ogni buon traduttore:
Cardinaletti, Garzone (a cura di), L'italiano delle traduzioni, Franco Angeli
Info: http://www.francoangeli.it/ricerca/Sche ... x?id=12997
Purtroppo il volume non si concentra sul giapponese (a dire il vero, non lo prende proprio in considerazione), ma esamina alcuni casi nelle principali lingue europee. Ma non è importante, visto che le riflessioni che stimola sono a mio avviso universali.
In particolare mi permetto di consigliare a Gualtiero Cannarsi il saggio di Laura Salmon, insegnante di Teoria e tecnica della traduzione e dell’interpretazione presso l’Università di Genova e traduttrice letteraria dal russo.
Secondo lei (e io condivido), un testo tradotto non deve essere in alcun modo riconoscibile da un testo spontaneo nativo. In altri termini, una traduzione dovrebbe “suonare” naturale all’orecchio di un parlante nativo della LA (Lingua di Arrivo), così come il TP (Testo di Partenza) “suona” naturale all’orecchio di un parlante nativo della LP (Lingua di Partenza).
Perciò, almeno a livello teorico, il cosiddetto “italiano delle traduzioni” che dà il titolo al volume non dovrebbe esistere, in quanto il traduttore non dovrebbe fare uso di una lingua diversa dalla L1 standard (Lingua Madre). Nonostante ciò, più concretamente, il traduttore fa spesso uso di una “pseudolingua” diversa da quella standard, veicolando elementi di disturbo non presenti nel testo originale. Per Salmon, la presenza di tali interferenze determina il fallimento del compito della traduzione, ovvero quello di restituire un TA (Testo di Arrivo) equivalente al TP sia sul piano formale che sul piano funzionale (ad esempio, il fatto stesso che un testo tradotto presenti soluzioni linguistiche “innaturali” nella LA costituisce una deviazione funzionale del TP, originariamente privo di quella connotazione).
L’autrice dell’articolo ritiene che l’origine del fallimento sia imputabile a due ragioni:
- la mancanza di consapevolezza del traduttore nei confronti dell’interferenza che la L2 (Lingua Seconda) esercita sulla sua L1 durante il processo traduttivo
- le scarse capacità progettuali del traduttore che, facendo un esempio in scala ridotta, prima di tradurre i singoli costituenti di una frase dovrebbe riflettere sulla funzione che la frase ha nella sua interezza.
Io traduco dall'inglese e dal francese, ma ciò non significa che per le lingue orientali non debba valere lo stesso principio.
Il pericolo di passare da una traduzione straniante (non meno valida di una addomesticante, sono solo scelte) a una cattiva traduzione è labile.
Parteggiare per la lingua di arrivo non aiuta la traduzione, la quale è per me (ma credo per tutti) sempre un compromesso, un artificio: per questo, le due lingue devono incontrarsi a metà strada. C'è addirittura chi sostiene che, visto che il destinatario di un testo tradotto è il parlante della LA, "funzionalmente" sarebbe più giusto propendere per lui. Io non sono di questo avviso. Ma non penso nemmeno che per onore di fedeltà all'originale la traduzione debba apparire come un collage di lessico in LA e grammatica in LP (per fare un esempio). Non propendo né per una "bella infedele" né per una "brutta fedele": la buona traduzione sta a metà.
Detto questo, il mio intervento non vuole accodarsi agli altri (dei quali condivido solo alcune parti, poche.. sulle quali non ho voglia di soffermarmi).
Non ho voglia di entrare nel merito delle questioni (sono pigro! e poi ormai il film è uscito, quindi a che serve?), in realtà non so nemmeno perché mi sono preso la briga di scrivere questo post. Spero almeno che, data la natura dello stesso, venga preso in considerazione REALE.
Per quanto mi riguarda, non auguro a nessuno di cambiare lavoro. Tuttavia spero sempre che, pur mantenendo le sue convinzioni (che immagino avrà maturato nel tempo) Gualtiero impari a mettersi in discussione REALE, senza sollevare scudi e puntuali giustificazioni per ogni virgola. Conta anche la "visione d'insieme", non solo i singoli traducenti che compongono il puzzle.
Grazie per l'attenzione e buona lettura/discussione.
Cardinaletti, Garzone (a cura di), L'italiano delle traduzioni, Franco Angeli
Info: http://www.francoangeli.it/ricerca/Sche ... x?id=12997
Purtroppo il volume non si concentra sul giapponese (a dire il vero, non lo prende proprio in considerazione), ma esamina alcuni casi nelle principali lingue europee. Ma non è importante, visto che le riflessioni che stimola sono a mio avviso universali.
In particolare mi permetto di consigliare a Gualtiero Cannarsi il saggio di Laura Salmon, insegnante di Teoria e tecnica della traduzione e dell’interpretazione presso l’Università di Genova e traduttrice letteraria dal russo.
Secondo lei (e io condivido), un testo tradotto non deve essere in alcun modo riconoscibile da un testo spontaneo nativo. In altri termini, una traduzione dovrebbe “suonare” naturale all’orecchio di un parlante nativo della LA (Lingua di Arrivo), così come il TP (Testo di Partenza) “suona” naturale all’orecchio di un parlante nativo della LP (Lingua di Partenza).
Perciò, almeno a livello teorico, il cosiddetto “italiano delle traduzioni” che dà il titolo al volume non dovrebbe esistere, in quanto il traduttore non dovrebbe fare uso di una lingua diversa dalla L1 standard (Lingua Madre). Nonostante ciò, più concretamente, il traduttore fa spesso uso di una “pseudolingua” diversa da quella standard, veicolando elementi di disturbo non presenti nel testo originale. Per Salmon, la presenza di tali interferenze determina il fallimento del compito della traduzione, ovvero quello di restituire un TA (Testo di Arrivo) equivalente al TP sia sul piano formale che sul piano funzionale (ad esempio, il fatto stesso che un testo tradotto presenti soluzioni linguistiche “innaturali” nella LA costituisce una deviazione funzionale del TP, originariamente privo di quella connotazione).
L’autrice dell’articolo ritiene che l’origine del fallimento sia imputabile a due ragioni:
- la mancanza di consapevolezza del traduttore nei confronti dell’interferenza che la L2 (Lingua Seconda) esercita sulla sua L1 durante il processo traduttivo
- le scarse capacità progettuali del traduttore che, facendo un esempio in scala ridotta, prima di tradurre i singoli costituenti di una frase dovrebbe riflettere sulla funzione che la frase ha nella sua interezza.
Io traduco dall'inglese e dal francese, ma ciò non significa che per le lingue orientali non debba valere lo stesso principio.
Il pericolo di passare da una traduzione straniante (non meno valida di una addomesticante, sono solo scelte) a una cattiva traduzione è labile.
Parteggiare per la lingua di arrivo non aiuta la traduzione, la quale è per me (ma credo per tutti) sempre un compromesso, un artificio: per questo, le due lingue devono incontrarsi a metà strada. C'è addirittura chi sostiene che, visto che il destinatario di un testo tradotto è il parlante della LA, "funzionalmente" sarebbe più giusto propendere per lui. Io non sono di questo avviso. Ma non penso nemmeno che per onore di fedeltà all'originale la traduzione debba apparire come un collage di lessico in LA e grammatica in LP (per fare un esempio). Non propendo né per una "bella infedele" né per una "brutta fedele": la buona traduzione sta a metà.
Detto questo, il mio intervento non vuole accodarsi agli altri (dei quali condivido solo alcune parti, poche.. sulle quali non ho voglia di soffermarmi).
Non ho voglia di entrare nel merito delle questioni (sono pigro! e poi ormai il film è uscito, quindi a che serve?), in realtà non so nemmeno perché mi sono preso la briga di scrivere questo post. Spero almeno che, data la natura dello stesso, venga preso in considerazione REALE.
Per quanto mi riguarda, non auguro a nessuno di cambiare lavoro. Tuttavia spero sempre che, pur mantenendo le sue convinzioni (che immagino avrà maturato nel tempo) Gualtiero impari a mettersi in discussione REALE, senza sollevare scudi e puntuali giustificazioni per ogni virgola. Conta anche la "visione d'insieme", non solo i singoli traducenti che compongono il puzzle.
Grazie per l'attenzione e buona lettura/discussione.