Uff, rieccomi (sono proprio un pessimo soggetto con cui discutere...
).
Ad ogni modo, più o meno ero già a conoscenza di ciò che dici, e in generale non sono proprio in disaccordo. Ci sono però alcuni punti che sollevi su cui vorrei esprimermi.
Miyazaki Hayao *è* infantile. E' un otaku, e quindi è uno che parla per idealismi, e massimi sistemi, ed è taciturno e musone finché non inizia a parlare come per sbotto, e poi non si ferma più.
Lo so bene, ma ti dirò: secondo me non questa volta.
Sebbene tutta la storia di quest'opera sia completamente fantastica, al contrario i contenuti hanno ben poco di fantastico. Se avesse fatto Mononoke hime con la stessa forma mentis con cui ha fatto Tototo o Porco rosso, beh, non penso proprio sarebbe stato così. Il finale, in particolare, sarebbe stato secondo me molto diverso. Qui, e forse solo qui (mmm, forse pure in Kiki, ma sono comunque contesti molto diversi) Miyazaki ha avuto la forza, il "coraggio" di non inserire nulla di escapistico. Avrebbe potuto fare un po' come Lang con il suo Metropolis, il quale voleva far scappare su un razzo i due protagonisti dalla città in fiamme, per poi però scegliere, se non sbaglio dietro consiglio di produttore e moglie, di far riappacificare le parti grazie alla mediazione del "ccccuooore". Davvero, se ci pensiamo avrebbe potuto realmente fare qualcosa di molto simile, rimanendo così "fedele" al suo stile, ma, vedi, non l'ha fatto. Ha scelto la strada meno "poetica", meno bella, meno illusoria, ovvero ha scelto la strada della ragione E della concretezza.
Anche quando, parlando di Takahata nel documentario dei Yamada-kun, dice
A volte ho la sensazione che certe sue memorie infantili, il vagare nei campi inceneriti, lo vengano ancora a visitare nella sua mente, per condurlo verso un luogo dove un pusillanime come me non potrebbe mai giungere
non sembra proprio un otaku, no? Cioè, una tale lucidità di sé e degli altri in genere non appartiene ad una persona totalmente immersa nel proprio mondo.
Dunque, anche se non so in che misura precisa, a me sembra piuttosto evidente che dalla fine del manga di Nausicaa fino a Mononoke hime Miyazaki avesse messo da parte il suo animo da otaku per poter parlare seriamente di temi piuttosto importanti come quelli che vengono tratti qui.
Perciò, io considero ancora validi i miei ragionamenti precedenti. Anche se non lo escludo completamente, reputo improbabile, visti poi come si diceva anche i suoi intenti didattici, avesse voluto soltanto fare il nichilista anche stavolta, dicendo, in pratica, che dato l'uomo è quello che è, di accettare incondizionatamente tutto quello che verrà.
Non credo sia mai stato un 'ecologista'. Per MIyazaki Hayao l'ecologismo significa pulire il fiumiciattolo vicino casa (dico sul serio).
Ho parlato di ecologismo più che altro per far intendere il concetto, ma forse è stato comunque a sproposito, sì. Il fatto, ad esempio, che abbia fatto presentare il film "Nausicaa" al WWF (fatto che comunque si aggiunge anche a tanti altri piccoli "indizi") mi aveva portato a pensare che comunque Miyazaki effettivamente apprezzasse ideali e obiettivi di questo tipo di associazioni. Ma dato che ne so troppo poco e che le motivazioni possono essere svariate, tralasciamo il termine in sé. In ogni caso, però, non penso fosse errato ciò che ho cercato di esprimere nell'altro messaggio. Ovvero, a me sembra ancora piuttosto evidente che fino alla fine del manga di Nausicaa Miyazaki rappresentasse la natura come qualcosa di davvero splendindo (e dunque da amare e che probabilmente lui stesso amava) che tendenzialmente viene però violata dall'uomo. E' solo con la fine del manga e, appunto, con Mononoke che questa rappresentazione cambia, facendo vedere anche le necessità dell'uomo e dunque il conflitto probabilmente inevitabile. Ma quindi, come dicevo, a me sembra che a questo punto egli si sia disilluso e abbia accettato l'ineluttabilità di questo scontro reputando però che un atteggiamento moderato sia comunque sempre preferibile ad uno spregiudicato.
Ma la specie umana è in grado, con l'intelletto, di far divergere la propria condotta dalla propria naturalità, eventualmente ponendosi in una condizione di sfruttamento competitivo delle risorse naturali rispetto a tutto il resto dell'habitat. Questo forse pensava Miyazaki all'inizio di Nausicaä. Poi alla fine di Nausicaä si è reso conto che anche questo comportamento umano non è che sia antinaturale. E' naturale pure quello, è la natura dell'uomo. Anche le colonie di cavallette sono portate a consumare tutta la vegetazione di un pianoro e, eventualmente, a estinguersi per questo. Forse l'umanità non è che una colonia transeunte su questo pianeta, no?
Aspetta però, secondo me c'è comunque un po' di differenza. Se parliamo di natura nel senso di essere portati istintivamente a fare qualcosa, vorrei allora precisare che quel raggrupparsi in sciami è una caratteristica propria delle locuste, ovvero non è qualcosa di realmente anomalo per quella specie, ma anzi rientra - più o meno - nell'ordinario. Dunque, anche qualora parte di loro finisse col morire a causa della loro voracità, sarebbe qualcosa di comunque davvero "normale". Molto diverso per gli altri esseri viventi, che solo quando c'è un qualche squilibrio piuttosto serio (in genere la mancanza di un predatore) che li porta a moltiplicarsi fino al raggiungimento della saturazione dell'ambiente, finiscono col morire dopo aver consumato tutte le risorse disponibili. Io penso che nonostante tutto anche l'uomo rientri in quest'ultima categoria. Dunque, se la nostra estinzione fosse dovuta a queste cause, per quanto anche questa sarebbe una fine 'naturale' dato che non si tratta di un meccanismo creato artificialmente, non sarebbe comunque la corretta conclusione della nostra specie che si estingue una volta arrivata alla fine del proprio ciclo vitale, poiché sarebbe un po' come se, ad esempio, un terremoto (evento naturale) uccidesse un'intera comunità di animali: sempre di fine naturale si tratta, ma in questo caso è comunque diverso sia dalla corretta conclusione della vita di un organismo sia dalla comune selezione dei più forti, dato che non viene privilegiata nessuna caratteristica che potrebbe essere sviluppata nelle successive generazioni. Questo per dire che no, tendere a fare questa fine non è esattamente la "natura dell'uomo". In effetti è proprio banale, ma in realtà l'uomo tende, come molti altri animali, semplicemente a vivere e a far continuare la sua razza, ma proprio questo istinto alla vita potrebbe, se non vi è qualcosa a limitarlo, ucciderlo, perché nell'incoscienza animale pur di sopravvivere sarebbe disposto a sfruttare fino alla distruzione ciò che lo nutre, condannando così l'intera propria specie.
Ad ogni modo, però, se mi limitassi a dire questo, in fin dei conti avresti comunque ragione tu (nel senso che comunque si finirebbe con l'estinguersi a causa del proprio comportamento), ma il punto è che quanto ho appena espresso vale solo per l'animale 'uomo', e non per il "vero" essere umano. Vorrei far notare, infatti, che comunque noi non abbiamo più un antagonista naturale da tempi immemori, e come prevedibile abbiamo continuato incessantemente ad aumentare di numero, eppure noi siamo riusciti a sopravvivere nonostante avessimo superato la capacità massima di persone a cui l'ambiente normalmente potrebbe garantire il nutrimento. Questo non può che essere dovuto all'utilizzo *più* sapiente che è stato fatto dell'ambiente in cui vive. In pratica, comprendendo, per esempio, che il terreno che si utilizza per procurarsi il proprio sostentamento produce di più o quantomeno non diventa inservibile se si hanno alcune attenzioni verso di esso (la rotazione triennale delle colture, tipo), l'essere umano è riuscito a spezzare o comunque a incrinare "l'ordine naturale" (bisogno -> abuso dell'ambiente -> estinzione) riuscendo, così, a sopravvivere contro ogni previsione tutto questo tempo. A conti fatti, l'uomo deve la propria sopravvivenza unicamente alla propria intelligenza che gli ha permesso di scoprire come non sciupare le poche risorse a disposizione, a differenza ad esempio degli animali da pascolo che ovviamente incoscientemente danneggiano il terreno in cui vivono al punto che per ritornare allo stato originario ha bisogno di parecchio tempo, portando gli animali stessi a doversi spostare o a morire per questo. Perciò, esortare a non curarsi di queste cose significa né più né meno che esortare a smettere di pensare e dunque di perire.
In sostanza, visti i più che evidenti vantaggi che si hanno nell'avere un approccio ragionevole con l'ambiente e dato che nonostante tutto l'uomo è stato già capace in passato di avere certi accorgimenti, il che significa non è un'impresa che la nostra razza non può compiere (lo scalatore e la montagna, per intenderci), non riesco a condividere il tuo pensiero, Shito. In effetti, è già tutto nella mia firma: falliremo, è vero, ciò non di meno, ci sono fallimenti migliori di altri. Il non riconoscerlo mi sembra proprio quel disfattismo sciocchino di cui parlavo, che però normalmente non mi sognerei mai di attribuire ad una persona come te...
Dunque, sebbene io veda la - diciamo così - "caducità" della razza umana (e al di là del mio pensiero, in ciò non vedo nulla di realmente brutto, poiché la stessa sorte è toccata, si calcola, a più del 99% degli esseri viventi che sono passati su questa terra, eppure nessuno piange la scomparsa di questa o quella specie), penso sia un errore, a questo punto, credere che la nostra fine avverrà per "natura". L'uomo ha già parzialmente tagliato il cordone ombelicale che lo legava alla natura, riuscendo a superare diversi dei limiti imposti al suo debole corpo e al suo comportamento. Inoltre, essendo qui parlarne, è piuttosto evidente che già in passato ha evitato di estinguersi grazie alla propria intelligenza, ed ora più che mai ha conoscenze e mezzi sufficienti per evitare la propria disfatta dovuta ai propri istinti. Se scomparirà, dunque, sarà dovuto semplicemente alla sua scelta di scomparire. E aggiungo pure che sarebbe una morte non naturale in qualunque caso, poiché anche ci limitassimo incoscientemente a consumare tutto per poi sparire dopo averlo fatto, avendo la possibilità di non dover agire in questo modo, sarebbe comunque una nostra volontà. Cioè, l'ignavia, il non scegliere equivale comunque alla *scelta* di non scegliere.
Dunque, quando dici
Ovvero, è anche 'naturale' che gli umani dopo una bastonata 'ci provino' a coesistere un po' meglio con la natura. Non ci riusciranno. Perché è la loro natura.
per quanto riconosca che sovente finisce così, non concondo in ultima analisi con questa visione.
Perciò, tornando brutalmente a parlare del film (perdonate tutte le mie divagazioni... XD), nonostante tutto sono ancora piuttosto convinto delle mie idee riguardo al messaggio ultimo di Mononoke e dunque del pensiero di Miyazaki stesso.
Anche se, in conclusione, riconosco che l'interpretazione che stai dando della frase di Jiko è interessante e potrebbe effettivamente suggerire, se si rivelasse corretta, un certo scetticismo dell'autore verso quanto nella sua stessa opera viene fino a quel momento espresso (espresso sempre secondo la mia visione, chiaro).