E' quel che penso anch'io. A mio avviso, a Takahata interessa più che altro mostrarci i fatti nel modo più lucido possibile, in modo tale che noi si possa ragionare su quali sono i motivi che hanno portato ad un finale così tragico. Takahata non prende posizione, non ci impone il suo punto di vista, bensì mette di fronte a noi tutti gli elementi che sono in suo possesso per poterci mettere nelle condizioni di giudicare autonomamente, per quanto possibile.Flegias ha scritto:Comunque il discorso non è su chi ha ragione o chi ha torto, su chi è nel giusto e chi è nell'errore. Si tratta di capire le cause e gli effetti e, a posteriori, valutare.
Il comportamento di Seita nei confronti della sorellina mi ricorda molto il comportamento del padre nei confronti del ragazzino (suo figlio) nel bellissimo e tristissimo DODES'KA-DEN. Anche in quel caso, la storia finisce in tragedia (la morte del figlio per malnutrizione -il padre si era procurato del pesce marinato andato a male, facendo la spola tra i vari locali a cui avanzava del cibo-, col padre che poi scivola totalmente nel suo mondo di fantasia, perdendo di fatto completamente il senno perché la sua mente si rifiuta di accettare la terribile realtà e soprattutto il fatto che lui stesso ne è stato causa, come succede anche a Neri/Amedeo Nazzari nel finale de LA CENA DELLE BEFFE), ma è evidente che la responsabilità di tutto ciò non è unicamente del padre, bensì di un sistema di valori che lo porta a comportarsi in un certo modo (l'uomo/il capofamiglia è tenuto a dimostrare di potersi prendere cura dei propri figli/fratelli minori ecc. con le sole proprie forze, senza gravare su nessun altro) (detto per inciso, DODES'KA-DEN è a mio parere forse il film più lucido di Kurosawa, insieme ad IKIRU). Vale anche per Seita: non a caso, più volte lo vediamo mentre ode in modo del tutto casuale i discorsi della zia coi vicini, ed i vicini si mostrano sorpresi del fatto che la zia si prenda carico di due bambini che non appartengono alla sua famiglia, cosa che fa sentire enormemente in colpa Seita. Senso di colpa aggravato dalle continue esortazioni della zia a "fare qualcosa" per dimostrarsi all'altezza dei cugini che invece "si sono mostrati degni" del ruolo che è stato loro assegnato. La zia indica chiaramente cosa Seita dovrebbe fare: mettersi in contatto con gli altri suoi parenti e rendersi utile unendosi al corpo ausiliario antincendio. La prima opzione risulta impraticabile perché Seita non sa come contattare i propri parenti (e neppure suo padre, che forse è già morto), sulla seconda non è molto chiaro il motivo dell'inerzia di Seita (forse non sa come conciliare un suo eventuale impegno negli ausiliari con la necessità del prendersi cura della sorellina -che sente come prioritaria-, o forse -più semplicemente- non sa neppure a chi dovrebbe rivolgersi per entrare nel corpo ausiliario)... Ed ecco la scelta "obbligata" (?) ("obbligata" in un contesto di valori che un bambino può facilmente interpretare scorrettamente, e di cui non può comunque ancora avere una piena consapevolezza) di Seita di staccarsi da una realtà divenuta penosa, preferendo l'incertezza di un'esistenza randagia ad un contesto in cui si sente accusato.
Poi, quando la sorellina comincia a sentirsi davvero male e Seita la porta dal medico, a mio parere il medico si rende conto della gravità della situazione, ma utilizza degli eufemismi ("si tratta semplicemente di malnutrizione, le occorre solo nutrimento") perché in quel periodo situazioni del genere erano assai comuni e difficilmente rimediabili, purtroppo (non a caso, Seita gli risponde rancoroso: "E dove lo trovo il nutrimento???", pur disponendo di ingenti somme di denaro). Sicuramente ci sarà stata molta gente che per sopravvivere faceva ricorso al mercato nero, così come in quegli anni succedeva anche in Europa, ma quello è un canale che con ogni probabilità era totalmente inaccessibile ad un bambino, ed ecco l'errore tragico di Seita: scegliere di non affidarsi a nessun adulto, condannando così la sorellina ad una sorte inevitabile.