Ehm, devo ammettere che mi vergogno un pochino a pubblicare questo messaggio dopo tutto il tempo che è passato, ma visto che ormai l'ho fatto, penso sia necessario fare, prima di iniziare col messaggio vero e proprio, una piccola premessa in modo da spiegare certe scelte.
Alla scomparsa di Takahata, era nato in me il desiderio di scrivere, come una sorta di mio ricordo e di mio piccolo segno di riconoscenza, non semplicemente un messaggio di cordoglio bensì un qualcosa di più articolato e ragionato, in cui avrei voluto esporre alcune mie osservazioni e riflessioni sulla sua persona, ma senza per questo cadere in qualcosa di formale e distaccato, privo di immediatezza e schiettezza, perché comunque l'idea era nata proprio da un sincero moto dell'animo, e quindi non avrebbe avuto alcun senso se non fosse stato un messaggio veramente sentito e accorato. Così, con questi pensieri e questi sentimenti in me, una volta iniziato a scrivere ho spontaneamente impostato il discorso in una maniera più diretta ed enfatica. Al solito, però, tra un'interruzione e l'altra, prima di ultimare tutto ho impiegato un'enormità di tempo. Il punto è che stavolta, al di là della solita magra figura che farò, il ritardo ha un peso decisamente maggiore. Questo perché, come si sa, il tempo passa inesorabile, e con sé porta avanti la vita di ognuno: per quanto forti, inevitabilmente tutte le emozioni tendono, col tempo, prima a mitigarsi e poi a sbiadire, e d'altronde non si potrebbe vivere se così non fosse. In poche parole, ciò che voglio dire è che quello che io ho ideato e scritto (in larga parte, almeno) con un certo stato d'animo, verrà letto con uno per forza di cose molto diverso. Troppo diverso. In un'ottica più tranquilla e distaccata, il tono e l'impostazione del messaggio potrebbero risultare sgradevoli e inoltre certi passaggi potrebbero sembrare più che altro retorici o zeppi di facili sentimentalismi. Di mio, ovviamente, posso dire di aver sempre cercato di esprimere sinceramente i miei pensieri e le mie sensazioni stando attento alle forzature, ma mi sono comunque posto il problema se non fosse effettivamente il caso di modificarlo, rimaneggiandolo un po' e facendolo così diventare un messaggio più "neutro" e dunque valido anche al di là della situazione contingente. Ma alla fine ho deciso di lasciarlo com'era: come già detto, l'idea di scrivere questo messaggio è nata più come frutto di un'emozione provocata dal triste evento che da un preciso ragionamento, così togliere al post il suo motore principale mi sarebbe sembrato troppo brutto, ecco. A questo punto, avendo fatto questa scelta, non posso far altro che - forse un po' comicamente - chiedere agli interessati (LoL, esistono? ^^) di provare a leggere questo messaggio tenendo in mente il momento e lo stato d'animo con cui è stato scritto.
Infine i seleniti sono venuti a trovare anche te, eh, Pakusan?
Mi viene da domandarmi, forse ingenuamente, se in fondo in fondo in una qualche maniera, oltre ad accettarlo serenamente come parte della vita stessa, ciò ti abbia persino reso un pochino contento...
A giudicare dai tuoi film, si direbbe proprio di no, ma io non ti ho mai capito del tutto, sai? "Il sapere è superiore al sentimento, la coscienza della vita è superiore alla vita [...] e la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità": apparentemente come Dostoevskij (da cui le sto prendendo), tu odiavi profondamente queste parole, eppure, eppure, ho sempre avuto la sensazione che per te ci fosse comunque qualcosa di diverso. Se Dostoevskij, nonostante anche lui fosse un groviglio inestricabile di contraddizioni, alla fine sembrava desideroso di vivere veramente nel modo che professava, tu, mi sembra, eri molto diverso dall'ideale che traspare dalle tue opere. Hai esaltato la via media, la mediocrità, la moderazione in tutte le cose, eppure, quantomeno nel lavoro, hai raggiunto i fastigi del perfezionismo - richiedendo lo stesso altissimo livello ai tuoi collaboratori -, disinteressandoti delle risorse a disposizione ed eccedendo qualsiasi limite di tempo che ti era stato dato, e questo per ultimare come volevi le tue opere. Ma soprattutto, tu hai rivalutato il valore dei sentimenti e delle emozioni, hai nobilitato il vivere la vita unicamente per la vita in sé, e in un certo senso indirettamente hai sfregiato l'intelletto, la ragione: con Sutemaru e la sua spontaneità e il suo vitalismo hai probabilmente rappresentato il tuo ideale di essere umano, sapendo però benissimo - lo hai mostrato tu! - che questo ideale sottende anche abbandonare tutto, compagna e figlio compresi, puranche solo per la pulsione, per il desiderio di un momento; poi hai fatto dire - con un tremendo candore - a Heidi, dopo che il nonno aveva affermato che anche i giorni di pioggia sono necessari perché portano gli uomini a riflettere/meditare*, che a lei la pioggia 'non piace', e le hai anche fatto sognare ad occhi aperti di volare via da libri, studi e dalla raffinata corte Heia... ehm Francoforte e tornare alla sua adorata montagna, dunque a uno stadio ben più prossimo a quello di animale selvatico che a quello di un intellettuale, salutando e lasciandosi così alle spalle la vita della colta e opprimente città**. Tutto questo e molto, molto altro hai usato, hai rappresentato per provare a trasmettere la tua visione, eppure, sebbene della tua vita privata si sappia tanto poco, per te stesso sembrerebbe essere valso il contrario di ciò che professavi. Sembrerebbe che in fondo tu abbia dedicato - a modo tuo, certo - la tua esistenza allo studio e alla conoscenza, e d'altronde il tuo comportamento, le tue dichiarazioni, le tue riflessioni, i tuoi scrupoli, il tuo puntiglio, la tua stessa riservatezza e in generale il tuo modo di porti è decisamente più vicino a quello di un essere di puro intelletto che di puro sentimento. Tu certamente dovevi sapere che dedicare la propria esistenza allo sviluppo delle capacità mentali significa in un certo senso sovvertire, deviare, persino deragliare la propria natura, poiché è assolutamente impossibile che la versione "corretta" (in senso di originaria e quindi naturale) dell'essere umano sia quella di un animale sedentario che passa gran parte del tempo a speculare e a leggere, che ha membra flaccide e il corpo ormai indebolito, che vive per lo più in solitudine (per un animale sociale come l'uomo
senza ombra di dubbio è, poi!) e che non produce nulla di materiale e quindi che per permettersi tutto ciò ha bisogno di qualcun altro che lo faccia per lui, esattamente come un eterno cucciolo: no via, questo semmai sarebbe un obbrobrio della natura, altro che il suo campione. E sebbene nella realtà esistano chiaramente molte versioni con parecchie differenze rispetto a questa figura di intellettuale che ho affrescato, esse rimangono comunque assai distanti da qualunque naturalità. Lo sapevi, lo dovevi sapere molto bene, eppure hai continuato imperterrito nella tua strana via, da un lato rappresentando esseri umani che "vivono veramente" e che si lasciano alle spalle tutti gli artifici e tutti gli idealismi, e dall'altro agendo in maniera a dir poco ben diversa da quella che le tue stesse indicazioni suggerirebbero. Chi non sa nulla di te forse potrebbe credere che ciò fosse dovuto al fatto tu non avessi la forza di applicare concretamente a te stesso la tua propria visione, ma no, ovviamente io non penso affatto che sia questo il motivo. Forse le mie sono solo stupidaggini - e parlo anche per tutto il resto -, e in tal caso spero sinceramente che chi ti ha capito meglio di me mi correggerà, eppure devo dire di avere sempre avuto un po' la sensazione che tu fossi come arrivato in cima (o da quelle parti) a una montagna*** ma una volta lì e una volta aver visto quello che c'era da vedere, ti fossi reso conto che per certi versi non era poi tutto questo granché, che non era un obiettivo per cui valesse veramente la pena struggersi così tanto, ma, cosa ben più importante, è come se a quel punto ti fossi accorto che la maggioranza degli individui che tentava - per proprio desiderio o perché in un modo o in un altro la società spinge in quella direzione - di scalare la stessa montagna, non ci riusciva, raggiungendo le più disparate altitudini. Pazienza se le persone avessero semplicemente raggiunto l'altezza intermedia tra le falde e il pinnacolo, poiché, per quanto effettivamente la loro natura sarebbe stata in ogni caso adulterata e dunque sarebbe stato inevitabilmente apportato un certo grado di artificiosità alla loro vita, ciò che sarebbe stato comunque possibile "vedere" (quindi, fuor di metafora, sapere e capire) da quella posizione non avrebbe innescato il forsennato desiderio di vedere di più per il solo gusto di farlo, né tutti gli altri effetti collaterali derivanti da una considerevole "altitudine", ma viceversa sarebbe stato quel tanto che basta per vivere con semplicità ma felicemente in una società ormai complessa che spinge, anche se sovente in maniera così insensata da comprometterne l'esito, affinché tutti si lancino in ogni caso in questa impresa. Anzi, probabilmente all'interno di questo tipo di società l'unico modo per poter vivere 'veramente' è proprio mantenersi a questa altezza intermedia. Il fatto è che così non è stato per la maggior parte degli individui, e tra chi si è come fermato dopo aver percorso solo pochi passi, e dunque rimasto incapace di vedere quasi alcunché, e tra chi invece l'altitudine ha dato alla testa, causando più guai che altro sia a lui che a coloro che gli stavano vicini, è risultato evidente che a conti fatti questa montagna è stata per lo più fonte di sofferenza e rovina per gli uomini. A me sembra che a questo punto, prendendo coscienza di tutto ciò, ti fossi reso conto che no, per quanto la scalata di questa montagna fosse da sempre l'ambizione degli uomini, non ne valeva la pena, che non aveva senso condannare all'infelicità gran parte dell'umanità per il sollievo e l'appagamento spirituale di pochi fortunati. Gli esseri umani sono animali terricoli, non sono fatti per le altitudini asfissianti, e anche se effettivamente come tanti altri animali possono adattarsi a nuovi ambienti, sono pochi i benefici derivanti dall'abbandono delle proprie origini, mentre tanti sono i problemi che ne nascono, così, continuando sempre a seguire questa mia banale metafora, mi viene da immaginare che tu abbia come deciso di utilizzare le capacità acquisite per spingere quelli che non ce l'avevano fatta a raggiungere la vetta, trovandosi per questo magari in una situazione avvilente, a ripensare le loro scelte e nel caso cambiarle o quantomeno smettere di angustiarsi cercando una qualche tranquillità persino nella loro situazione attuale. In fondo, concludendo questo lungo discorso tornando a Dostoevskij, non è poi tanto diverso da quello che il giudice istruttore Porfirij, unico personaggio intelligente almeno quanto il protagonista di "Delitto e castigo" (o meglio "Delitto e pena", o meglio ancora - stando almeno ad amici russi - "Crimine e punizione"), fa con Raskol'nikov: una volta che ha deciso di mettere da parte gli inganni e i sotterfugi e di parlargli schiettamente, scompare tutta la sua gioviale allegrezza e a quel punto da uomo "finito" (35 anni) e stanco, come si definisce lui stesso, consiglia al suo giovane e simile amico di costituirsi e di non aver paura di entrare a far parte di un'altra categoria di persone. A quale categoria si riferisse, diventa ben chiaro nelle ultimissime pagine del romanzo, dove, una volta fatto un terribile incubo e a seguito di questo essere "risorto" (era la settimana santa, ovvio... sempre di Dostoevskij stiamo parlando, via ^^), il ragazzo si ritrova a contemplare estaticamente uno sterminato paesaggio della Siberia (oh, Dersu...), non pensando più, non pensando più a niente, anzi, incapace persino di farlo, dato che come dice lui stesso ormai è capace solo di
sentire (sto dipingendo un quadro troppo il romantico, vero?).
Ma tu, dunque, in realtà che "rapporto" avevi con i "seleniti", come li consideravi veramente? Li disprezzavi sinceramente oppure li hai stigmatizzati più che altro per una sorta di amore per gli uomini? Insomma, in conclusione, tu anelavi o no alla... "luna"?
So bene che gli elementi a disposizione sono pochi e che c'è sempre il rischio di piegare anche involontariamente la realtà ai propri gusti e alle proprie idee, eppure le cose che ho scritto non mi sembrano errate, infondate. Per parecchio tempo ho riflettuto su tutto ciò, e se effettivamente non ho preso un abbaglio, allora penso che la direzione che, salvo non sia totalmente incapace di comunicare, trapela da questo messaggio sia quella giusta. Detto questo, per quanto sia buffo scrivere una cosa simile a questo punto arrivati, a essere sincero io stesso non mi sento in grado di dare una risposta definitiva. A pensarci bene, forse non è poi neanche tanto sensato, quando si parla di esseri umani, ragionare in termini così netti e schematici, e sarebbe magari meglio tornare a un livello, appunto, più "umano", mettendo un po' da parte le categorie troppo assolute.
Qualunque sia effettivamente la verità, in definitiva ciò che mi sento di poter affermare con sicurezza è che tu eri davvero una persona strana, particolare, che celava anche qualcos'altro dietro quel perenne sorriso.
Ma, a pensarci bene, un'altra cosa che mi sento di poter affermare con sicurezza è che, nonostante io non ti abbia mai effettivamente conosciuto di persona, in qualche modo mi mancherai. Buona notte, Pakusan, e, nuovamente, grazie di tutto.
*: Questo è uno di quei casi in cui mi maledico per non conoscere il giapponese (un altro è quando leggo Akutagawa...). Tempo addietro, siccome mi sembrava di ricordare che ci fossero alcune parti interessanti per capire il pensiero di Takahata, rividi alcune puntate di Heidi su YouTube sottotitolate in inglese amatorialmente (con un po' di senso di colpa, in verità. Ma cos'altro avrei potuto fare? Come fra poco si capirà, non avrebbe avuto alcun senso acquistare i DVD della versione italiana...). Trovato questo scambio di battute tra il nonno e Heidi che, come si capirà, mi sembrò parecchio interessante, cercai conferma, memore di tutti gli errori di traduzione che facilmente si fanno, anche in versioni persino di lingua diversa (usando però dizionari e traduttori automatici). Il risultato è stato piuttosto, uhm, 'curioso'. In verità, inizialmente avevo qui riportato il link a (quasi) tutte le versione da me controllate, ma ho poi scoperto (no, non guardando praticamente mai roba in streaming, non so niente delle varie leggi ^^) che non si può proprio fare, così mi è toccato arrangiarmi. La puntata in questione è
questa (la versione spagnola la riporto perché è stata pubblicata direttamente dal canale ufficiale). Qui il nonno parla del vento che a volte soffia ferocemente e che colpisce le finistre, ma non di preoccuparsi perché è solo il suo linguaggio e che anzi ha molte cose da raccontare se lo si ascolta con attenzione. Conclude dicendo che quando piove tutto sembra invitare alla meditazione e 'al ricordo'. Nella versione francese, il nonno dice che il vento soffia così furiosamente da "far vibrare la casa, ma questo è solo il suo modo di dire buongiorno", e se lo si ascolta racconterà delle "belle storie", e quando pioverà Heidi vedrà come sarà "bello sedersi a riflettere" [qui però non sono sicurissimo della correttezza della traduzione]. Le versioni inglesi invece sono due che riporto integralmente. La prima: << Heidi: Grandfather, maybe i can hear the birds singing in the morning. Nonno: Yes, you'll hear them. And you'll hear the wind the sometimes blows very hard. But don't be afraid, it's just it's [è scritto proprio così] way of speaking. And when it rains, it invite us to meditate. People need those days to think. Heidi: I don't like the rain. [...] I really don't! Nonno: Me neither. >>. La seconda: << Heidi: Grandfather, i wonder if the birds come to say "Good morning!" in the morning. Nonno: Of course, they come. The wind might knock on the window like a mischievous boy, but that's just a greeting to the king of the castle. When you get used to it, he can be a pretty good person to talk to. A rainy day brings sad things to think about. Humans need that kind of day. Heidi: I don't like the rain. [...] I really don't!. Nonno: Me neither. >>. Il campione indiscusso, però, è la versione italiana (che ad essere sincero forse deve condividere il podio con quella tedesca, che credo sia molto simile). Prima mi ero assolutamente rifiutato di riportare il link per rispetto del suo autore, che questo messaggio a modo suo tenta di commemorare, e ora mi rifiuto di riportare anche solo il testo in maniera più o meno integrale. Basti sapere che la prima parte è una sorta di accozzaglia di tutte le altre versioni (con ulteriori aggiunte, si capisce), ma soprattutto che L'INTERO dialogo sulla pioggia è stato cancellato. Dico proprio totalmente, non c'è nessun accenno, zero. Qui alla fine Heidi chiede se è proprio vero che il vento sappia così tante storie importanti (al che il nonno le ride in faccia... E per spiegarne il motivo hanno dovuto reinventare totalmente e ripeto totalmente di sana pianta la battuta successiva...). In pratica, un poveretto come me che non conosce il giapponese non potrà mai sapere cosa cavolo stanno effettivamente dicendo Heidi e suo nonno...
**: Non avendo letto il libro completo ma solo le parti che mi interessavano, non posso confermarlo al 100%, ma sia questa parte
(qui, dalla riga 42 alla 45) che quella di Heidi e del nonno che parlano delle giornate di pioggia
(qui, dalla quattordicesima alla trentaduesima riga) molto probabilmente sono state ideate completamente da Takahata o comunque da chi si è occupato della trasposizione animata.
***: Inizialmente, avevo immaginato questa montagna semplicemente come la rappresentazione della ragione, nel senso che più la si "scala" (ovvero più si sviluppano le proprie capacità) più si allarga la visuale e più si ha modo di vedere in lontananza (ovvero si riesce a considerare e a comprendere più cose). E' successo però che mentre scrivevo ho finito con l'elaborare maggiormente questa (scema) metafora, e a quel punto, riflettendoci con maggiore attenzione, ho finito con l'alterare leggermente anche il significato della metafora stessa. Questo perché mi sono reso conto che se la montagna rappresentasse la semplice ragione allora sarebbe una stupidaggine dire che tutti coloro che anche solo iniziano a scalarla si ritrovano con la propria natura adulterata. Questo perché la ragione E' parte della natura umana, è all'uomo connaturata e non è 'assolutamente' frutto di una educazione, e difatti non esiste né essere umano né comunità umana che ne sono completamente privi, e dunque essa non può adulterare un bel niente di per sé. Dunque, la ragione di cui io parlo qui è da intendersi come la "ragione della civiltà", ovvero la ragione libresca, la ragione educata, la ragione che si è elevata molto più (ma anche in maniera molto diversa) di quanto sarebbe naturalmente possibile per un essere umano.