Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni [SPOILER]

Discussioni su gli autori e gli anime Ghibli e Pre-Ghibli

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im-edith
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Re: Only yesterday

Messaggio da im-edith »

Shito ha scritto: Attendo inoltre un post di Im-Edith in questo thread. :)
Piano piano, con un mese di ritardo, arrivo a commentare questo film. Arriverò anche a Porco Rosso e agli altri, ma per ora, visto il gentile invito e vista l'importanza da me accordata al film, che considero quello che più mi è piaciuto in tutta la rassegna del Festival del Cinema di Roma, inizio appunto da qui.

Innanzitutto trovo la traduzione letterale del titolo “Ricordi a goccioloni” molto più significativa ed evocativa della infedelissima trasposizione inglese “Only yesterday”: perché banalizzare un titolo che è invece ricco di fascino, di originalità e che rispecchia perfettamente, in maniera metaforica ovviamente, il dispiegarsi della trama? Il filo conduttore è quello della protagonista che si ritrova, nel suo viaggio di vacanza, a ricordare e rivivere la se stessa delle elementari in tanti episodi più o meno significativi della sua infanzia. Il viaggio è la madeleine che risveglia una pioggia improvvisa di ricordi sopiti, ognuno dei quali è "un gocciolone", appunto, che bagna la protagonista volente o nolente: le scivola addosso, la inonda di sensazioni ancora vive, ancora attuali, ancora significative, e poi passa via veloce, lasciandola lì traballante d'emozione e già raggiunta da un altro gocciolone. Non è la solita trama lineare, il passato che si ricostruisce "goccia dopo goccia" seguendo il filo cronologico della crescita, no, sono proprio goccioloni pescati a caso da un'unica se stessa di 10 anni. Non sono una specialista del settore, ma se volessi rendere l'idea di come si dispiega la trama in maniera figurativa, questi ricordi non potrebbero costituirsi né come scala che porta verso una meta in divenire, né come puzzle che necessita di tutti i pezzi insieme incastrati a perfezione secondo un ordine prestabilito per avere senso: è piuttosto un mosaico, in cui ogni tessera è bella e colorata per conto proprio, sagomata in quadratini che si possono affiancare in qualsiasi maniera senza combinazioni prestabilite per dare vita a un insieme di bell'effetto, non per forza di senso compiuto. Non ricostruzione di un puzzle previsto, insomma, ma costruzione tutta nuova di un bel disegno inaspettato. La protagonista non è il risultato e il punto di arrivo di una serie di episodi che ne hanno influenzato il carettere in un rapporto di causa ed effetto (che tanto amano gli psicologi occidentali e le autrici di certi shojo). Il suo passato non ci viene presentato dal regista per capire come e perché è diventata ciò che è. Qui funziona tutto al contrario: i ricordi sono il punto di partenza per una ri-costruzione volontaria e consapevole di ciò che lei vuole essere e vuole diventare. Il passato non è nostalgia passiva (hanno la stessa radice queste due parole, passato e passivo?) ma energia attiva. E' lei che disegna il proprio mosaico stabilendo dove piazzare le tessere una volta che il gocciolone ne ha portato alla luce una. Il passato non è vincolo o condanna, ma nuova opportunità per indagare se stessa.

Il ritratto che fa Takahata di questa ragazza una volta bambina, è realistico e sincero. Lei è una ragazza come potrebbe esserlo chiunque, una ragazza del tutto incapace di incarnare i valori sinceri e incorruttibili delle eroine miyazakiane, una ragazza normale con i suoi pregi e i suoi difetti, con una storia che non ha nulla di eclatante, composta da piccoli episodi di vita fra i più banali (come la grande aspettativa per un frutto mai gustato prima o il capriccio per avere un oggetto nuovo). Una persona reale, inserita in un contesto veritiero, che soffre, gioisce e ricorda come ciascuno di noi, e prova paure che non sarà né la prima né l'ultima a sentire. Una bambina e poi una donna con i suoi lati lucenti e i suoi lati oscuri, con i suoi aspetti dolci e quelli detestabili. La perfezione dei protagonisti dei mondi di Miyazaki è qui molto lontana, e di magico o fantastico non c’è assolutamente nulla se non l’atmosfera da “fiato sospeso” che il regista riesce a creare. Ma come farlo con tante… banalità? A leggere una trama così semplice, senza colpi di scena, mostri, misteri o inseguimenti, parrebbe tutto piatto e noioso. La quotidianità, solitamente, non si addice alle storie da raccontare. Si racconta qualcosa di eclatante, normalmente, di molto drammatico o di molto comico, minacce alla terra, amori impossibili, grandi scontri, malattie, sorprendenti arti magiche, mondi fantastici, animali parlanti… Ma come fa invece Takahata a tenere sempre desta l’attenzione, a far scorrere i minuti velocemente, a trattenere i nostri occhi incollati alla pellicola e desiderosi di goderne ancora per ben 2 lunghe ore?

Se c’è un aspetto di questo film e del suo regista che mi ha affascinata, è proprio la capacità di trasformare la quotidianità in evento cinematografico. In tanti possono essere capaci di creare storie fantastiche di grande suspance. Ma soltanto dei veri maestri, a mio avviso, sono in grado di trasformare il reale, l’abituale e quindi quasi banale o scontato, in elemento di attrazione. Takahata lo fa in questa pellicola con grande maestria, sublimando in atmosfere significative anche l’episodio in apparenza più trascurabile. Certo l’attenzione per i piccoli particolari, la cura nel disegno, nell’animazione e l’uso attento delle musiche per sottolineare e costruire anche sonoramente i momenti, non solo per accompagnarli, giocano un ruolo fondamentale nella riuscita del film. Non nascondo che ad alcuni potrà sembrare più lento, anche un po’ troppo, se sono abituati al cinema d’azione in cui deve per forza succedere qualcosa, un colpo di scena, una grande svolta finale. Ma per chi come me ama le cose semplici, persone a cui piace gustare i dettagli e assaporare i secondi su cui la cinepresa indugia un po’ di più, e che considera le espressioni (anche se di cartone animato) rappresentative quanto e anche più delle parole, un film come questo non può far altro che deliziare. La visione diventa un vero solluchero di sensazioni, di brividi, di sorrisi, in un coinvolgimento totale della parte più delicata e sensibile dello spirito. La conclusione, contaminata da una metafora visiva geniale e azzeccatissima, è il giusto coronamento di un’opera di grande spessore, a livello narrativo, strutturale e intellettuale.
Miyazaki possiede la capacità di far uscire i suoi film dallo schermo, facendo in modo che i suoi personaggi e le sue storie ci vengano incontro stimolando il lato forse più infantile e ingenuo di noi e carpendo così la nostra meraviglia. Miyazaki stupisce, strattona, rapisce. Takahata, all’opposto, ha l’abilità di prendere lo spettatore e portarlo dentro allo schermo, dentro al suo film, perché dipinge un mondo talmente reale che uno qualunque fra noi potrebbe esserne protagonista. Non suscita meraviglia, ma immedesimazione e forte empatia e così riesce a farci sospirare, mettere in ansia o rasserenarci fianco a fianco con i suoi personaggi. Takahata abbraccia, culla, accompagna. In questo caso, poi, Takahata sprigiona un’energia di vita sorprendente, una volontà di vivere, mettersi in gioco e affrontare se stessi e le proprie paure che lascia un messaggio forte e positivo allo spettatore. Bisogna affrontarsi a un certo punto, ci dice il regista, non si può fuggire in eterno da sé, dalle proprie responsabilità e dal proprio passato, perché è una fuga inutile che prima o poi dovrà finire e che non porta da nessuna parte. Non è incredibile trovare tutto questo in una storia che ci parla di piccoli episodi quotidiani accaduti a una bambina di 10 anni? Non sarebbe incredibile trovare tutto questo nelle nostre storie fatte di piccoli episodi quotidiani che ci accadono ogni giorno?
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Sono consapevole, ovviamente, che in questo mio resoconto sono infinitamente di parte. Il film di Takahata l’ho sentito molto mio e molto vicino anche per i temi trattati. Il percorso della protagonista riprende molto il percorso di vita che ho fatto io da un anno a questa parte (ma non ero così capricciosa da piccola ve lo assicuro, ero un angioletto :P). Sembrava pennellato sulla mia figura, ed era calzante anche il momento in cui ho avuto il piacere di vederlo, dico calzante rispetto al mio personale cammino.
Dunque, forse ho risentito oltremodo di questa immedesimazione che vado decantando nella mia recensione. Ma tant’è, queste sono le mie impressioni, e poiché si è fatto tardissimo è ora che il mio cervello si spenga (o forse si era spento già da metà recensione in poi?)
Ancora un grazie, a distanza di un mese, a chi ha condiviso con me la visione e i commenti sul film :)
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da dolcemind »

La quotidianità sa essere profondamente umana, soprattutto in questo viaggio alla riscoperta dell'infanzia e
del contatto con la natura. Un viaggio in se stessi in definitiva, nella memoria ma anche in ciò che siamo.
Parlo della protagonista, ma come detto da im-edith, potrebbe valere per molti.
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da Shito »

Credo sia un fatto che la fruzione reale della comunicazione artistica passi attraverso un canale empatico che si cerca di stabilire con l'autore. Difatti, senza di questo, non si fa altro che reincasellare l'altrui (l'autore) nelle forme a priori del nostro animo, e questo ovviamente rende sterile ogni comunicazione. Credo che lo sforzo ermeneutico genuino vada in questa direzione, ma ovviamente quando -per puro caso- la narrazione di un autore può avere un'eco sensibile sul nostro proprio vissuto le cose sono più facili.

Per esempio, il solo essere maschio rende a me più difficile la lettura di un film come Omohide PoroPoro, perché per un maschio le 'femmine' saranno sempre e comunque una figura in prmis ideale (l'idea di 'femmina'). Tuttavia, si nota violentemente come le 'eroine miyazakiana' siano proprio questa idealita maschile della femmina resa feticcio: anche la loro eventuale imperfezione è perfezione adorativa, come per la idol che se stona durante il live è 'ancora più carina'. L'unica eccezione, in Miyazaki, è ovviamente Kiki - perché non è un pesonaggio miyazakiano. E un pochino anche Sophie, per lo stesso motivo. Sono due personaggi pensati da narratrici femmine, e si vede. Allo stesso modo, Taeko da piccola ha la sua fragilità, anche una certa stupidineria, persino un po' di essere antipatica e capricciosa: tutto a tratti. La banalità del capriccio per la 'borsetta di vernice' fa paura, per quanto è vera (ma del resto, il manga originale è autobiografico), e rende il personaggio davvero educativo per un pubblico maschile, come i personaggi miyazakiani non potranno essere mai.
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da Arren »

Non credi tuttavia che anche Chihiro costituisca una vivida eccezione a questo canone di idealizzazione femminile, effettivamente ubiquo nella narrativa di Miyazaki?
Il film ce la presenta, almeno per quanto ho percepito personalmente, come una bambina veramente viziata, stordita e pavida, incline all'abulia e ad un capriccio in quel caso immune da adorazioni idolatriche.
Un'immagine insomma da rigettare e anzi da rettificare, per mezzo di un'affermazione paideutica reale, quella di cui del resto la storia è intimamente pervasa.

Colgo l'occasione per ringraziare Im-edith delle intense considerazioni spese su Omohide poroporo, foriere di ulteriori appigli per una comprensione onesta da parte mia di quest'opera.

Mi permetto solo di aggiungere una piccola chiosa, forse ardita: la bella rivisitazione della rosa di Bette Midler, che fa da suggello conclusivo al film, si sofferma in alcuni passaggi sulla paura di vivere e di amare, ree di portare inevitabilmente al mancato perseguimento di entrambe.
Mi ha ricordato molto, anche se dall'altro lato del cielo, una paura analoga che serpeggia nella (distanza dalla) coscienza del personaggio che mi dà il nome...
La paura senza coscienza, anticamera dell'abulia. La volontà senza vincoli, ciglio della voragine.
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da Shito »

Quando ho scritto che Kiki è l'unica eccezione, stavo pensando a Chihiro.

Chihiro è il più realistico dei personaggi miyazakiani, certo, ma alla fine non sfugge alla regola: anche nel suo 'imbruttimento' (dovuto alla società storta e cattiva) la sua 'interiorità genuina', proprio quella la cui riscoperta viene messa in scena da miyazaki, brilla così tanto da redimere tutto: il mondo degli adulti di cui le terme sono simbolo, il bambino inane di Yuubaba, e financo il SenzaVolto, simbolo di una generazione di consumismo e solutidine tali da privare dall'identità.

Chihiro deve faticare per non perdere sé stessa, ma in compenso la 'sé stessa ritrovata' brilla sul suo altare di kore tanto da redirmere tutto il mondo.

E' proprio quel tipo di idolatria otaku per la purezza femminile infantile che è in Miyazaki, non si scappa. Solo che da uomo la incarnava nelle ragazzine, e poi da vecchio nelle bambine. :)
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da im-edith »

dolcemind ha scritto:La quotidianità sa essere profondamente umana, soprattutto in questo viaggio alla riscoperta dell'infanzia e
del contatto con la natura. Un viaggio in se stessi in definitiva, nella memoria ma anche in ciò che siamo.
Parlo della protagonista, ma come detto da im-edith, potrebbe valere per molti.
:D
Ciao Dolcemind, è un piacere risentirti :)

Rileggendo il mio post mi sono resa conto che le 2 di notte si facevano sentire, ma non saprei neanche da dove partire per metterci le mani... Alla fine nei saluti ho iniziato anche una frase che non ho finito :loool:

In realtà non definirei questo film come un viaggio alla riscoperta dell'infanzia o del contatto con la natura. Sarebbe un po' come dire che Mononoke è un viaggio alla scoperta della natura e Kiki o Chihiro alla scoperta dell'adolescenza .
Di se stessi e in se stessi sì, ma... Quanti milioni di film, come giustamente dici, sono viaggi alla scoperta di se stessi? Non lo sono anche i film di Miyazaki?
Mi sembra una banalizzazione. In realtà non mi pare che siano i ricordi o la campagna che facciano davvero cambiare idea alla protagonista, ne è incapace, lei, di questo cambiamento, e sono gli altri che alla fine devono metterla di fronte a un fatto inequivocabile, affinché si renda conto che lei, in quel momento, non è "né carne né pesce", non sta né da una parte né dall'altra e in questo suo voler occupare tutti gli spazi e non volerne occupare nessuno scopre la sua ipocrisia e prova anche rabbia con se stessa (mi pare, nella scena della pioggia?) mista a paura della scelta. Purtroppo non ricordo perfettamente le scene del film, in questo mi potrà aiutare Shito cortesemente, ma i suoi ricordi d'infanzia nelle scene finali in parte la tirano (nel senso fisico del termine) verso questa presa di posizione, in parte cercano di distrarla - incapaci di mantenere l'attenzione su qualcosa di così adulto - e in parte anche la ostacolano (facendo capitombolare il ragazzo della campagna?). Lei insomma è come una qualsiasi persona che vorrebbe sempre mantenersi libera da responsabilità e fatiche come una bambina, ma anche crescere e sentirsi adulta com'è naturale che sia (ovviamente per la società giapponese il concetto di matrimonio, soprattutto per una donna, ha ancora un peso certamente più significativo che da noi allo stato attuale). Anche la riscoperta della campagna mi sembra che denoti questa bipolarità di sentimento: le vacanze divertenti che sognava da piccola e non poteva avere, ma allo stesso tempo "utili per la comunità" quasi a mettersi il cuore in pace con le proprie responsabilità di adulta, da vivere in maniera energica e divertita mentre gli altri sentono il peso di quel lavoro ripetuto anno dopo anno, che si somma agli altri di stagione in stagione.

Quando dico:
"i ricordi sono il punto di partenza per una ri-costruzione volontaria e consapevole di ciò che lei vuole essere e vuole diventare. Il passato non è nostalgia passiva (hanno la stessa radice queste due parole, passato e passivo?) ma energia attiva. E' lei che disegna il proprio mosaico stabilendo dove piazzare le tessere una volta che il gocciolone ne ha portato alla luce una. Il passato non è vincolo o condanna, ma nuova opportunità per indagare se stessa."
e che non sono presentati con un rapporto causa-effetto, intendo proprio che non sono vincolanti, non ti portano ad un'unica scelta possibile (che in un film ottimista sarebbe l'eroico riscatto, in un film molto pessimista lo scatto disperato di morte).
Lei a un certo punto, per cause esterne, decide di ridisegnarsi, mettersi in gioco ricollocando a proprio piacere e secondo la necessità le tesserine di mosaico/goccioloni raccolti mano mano (ricordo il racconto del ragazzino sporco della sua scuola, che lei fa in macchina mi pare, e con il quale sottolinea la propria ipocrisia). Che ovviamente è molto più vicino a quello che facciamo noi nella nostra normalità, a meno che non abbiamo subìto davvero dei traumi fortissimi nell'infanzia - ma non è questo il caso essendo lei una persona "ordinaria". Lei descrive se stessa anche con i ricordi, ma questo non la costringe ad essere per forza all'opposto o per forza uguale a quei ricordi per non si sa bene quale legge narrativa/cinematografica.
Per questo dico che non è una scala di crescita verso un punto di svolta, quella che viene rappresentata, né un incastro perfetto in un puzzle preordinato. E così non è un viaggio di riscoperta dell'infanzia, perché l'infanzia è reale e non c'è nulla da riscoprire e forse non si vorrebbe neanche tornare indietro per riveverla come vogliono fare invece la maggior parte dei nostalgici che la riscoprono. E così non è neanche un viaggio di riscoperta della natura, anche perché il ragazzo di campagna lo dice chiaramente "tutto il paesaggio che vedi è così perché costruito dall'uomo, di naturale non c'è nulla": l'uomo e la sua volontà sono la forza motrice al centro del film, la protagonista non riscopre "la natura" nel senso Mononokiano del termine, ma riscopre i gesti rituali e atavici della ruralità, la dipendenza per la sopravvivenza data dal lavoro fisico e manuale in cui la natura e gli eventi atmosferici sono talvolta amici e talvolta nemici, dunque la tenacia e la grande forza d'animo, oltre che fisica, di quelle persone. Direi piuttosto che tanto l'infanzia quanto la ruralità sono espedienti narrativi e indizi ben congeniati per portarci fino al culmine della narrazione: l'atto della scelta compiuta, come atto di adultità (presa in carico di responsabilità), come atto di umiltà (non si diventerà mai perfetti, ma l'importante è ammettere i propri difetti e rendesi conto delle proprie mancanze), come atto di speranza (andando controcorrente, a fare una vita faticosa di campagna), come atto di volontà forte.
Da qui la forte energia che mi ha trasmesso il film e l'estrema positività che vi ho trovato: attivati! attivati! Non sei perfetta? Attivati! Sei o eri capricciosa? Attivati! Ti senti fuori posto? Attivati! Puoi fare una scelta anche drastica, sconvolgente, controcorrente, impensabile! Basta che tu sia attiva e ci metta forza di volontà! I contadini hanno cambiato il profilo del paesaggio, ti pare che tu non possa cambiare te stessa? Attivati! Credici! Infine, sempre da qui, la mia chiusura su Homo faber fortunae suae.

Paradossalmente ho trovato più positivo e ottimista questo film di quelli Miyazakiani, che presentando appunto personaggi ideali e "irraggiungibili" danno sì il buon esempio, ma con modelli che nessuno (credo) si sente in grado di eguagliare. E' vero, qui la protagonista non deve salvare il mondo, i propri genitori o non so che altro. Ma deve "salvare se stessa" in un certo senso, vi pare poco? E' una cosa con cui tutti noi dobbiamo combattere ogni giorno. Per fortuna, persone chiamate a grandi salvataggi di portata mondiale o umanitaria, non ne servono molte e di sicuro la maggior parte degli spettatori non è fra quelle.
Se penso che il regista è lo stesso di una Tomba per le Lucciole, tacciato invece di grande pessimismo... Eppure, se guardiamo ai personaggi, il tipo di ritratto è lo stesso in entrambi i casi: veritiero. Anche nella tomba per le lucciole non dipingeva i bambini come delle vittime, nell'ottica del pietismo occidentale, ma come dei bambini "veri", anche capricciosi, anche viziati... Vittime solo per il periodo in cui era loro capitato di vivere.

E' un ritrattista, Takahata, non un sognatore.
Qui, di nuovo, chiudo. Sempre di parte, su questo film ;-)
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Dottor Rao ha scritto:Nascevi un secolo addietro e non c'erano i film di Miyazaki, praticamente un'esistenza inutile
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da im-edith »

Moderatori, non si potrebbe mettere SPOILER nel titolo? Forse devo scrivere alcuni pezzi in spoiler, o dovremmo aprire una nuova discussione post-visione? Non saprei da dove iniziare a mettere spoiler ai miei commenti:(
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Dottor Rao ha scritto:Nascevi un secolo addietro e non c'erano i film di Miyazaki, praticamente un'esistenza inutile
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da Shito »

La tua lettura è interessante.

Per contro, ciò che a me pare il cuore del film, è la 'risoluzione' che Taeko riesce a mettere in opera nel confronto con la sé stessa bambina.

Essenzialmente, il caso di Taeko è quello di una presa di coscienza da cui lei si è sottratta sin da piccola, e che le ha impedito di essere padrona di sé stessa.

Ovvero: che voleva fare la 'brava bambina' più di quanto non fosse, e che recitasse il ruolo del sorriso per poi essere solo una eterna irrisoluta.

E da ciò che scaturisce la vergona di fronte al discorso schietto della nonna, ed è a ciò che si ricollega il ricordo di Abe.

"Io sono sempre stata così."

Credo che tutto il discorso che tu fai sia giusto, ma mi pare che tu sorvoli un po' sulla vera ragione stessa del film:

Perché Taeko è 'tormentata', perseguitata dall'imago di sé stessa in quell'età?

Se lo chiede lei stessa nel film.

La ragione, che viene appunto sveltata, è la necessità inconscia di risolvere un autoinganno sedimentato proprio da quell'età.

Questa è essenzialmente la causa della sia irrisoluzione, e la scoperta di ciò porta allo scioglimento di quella irrisoluzione.

Ora, il punto è Toshio.

In che modo Toshio riesce a risolvere il tutto?

Toshio è molto meno strutturato di Taeko. E' una persona campagnola e schietta.

Toshio, che è piiù giovane di Takeo, fa quello che nessuno ha mai fatto: la prende sul serio.

Prende sul serio anche le cose apparentemente strane, come la questione della divisone tra frazioni. La stessa Taeko ne rimane stupefatta.

E prende sul serio la questione di Abe. Molti avrebbero liquidato la cosa come 'paranoie da bambina'.

In effetti si rende necessario risolvere proprio quelle.

Toshio osteggia Taeko sull'interpretazione della condotta di Abe, portanto Taeko al suo unico moto riottoso in tutto il film (Ma cosa ne sai tu!)

In questo, Taeko viene fuori dal suo guscio di accondiscendenza recitata e vittimismo escapista.

E in questo, Toshio si dimostra risolutivo per Taeko.

Da tutto questo il finale, direi.

La risoluzione.
L'autore della risoluzione.
Il desiderio di affidarsi a quella persona.

Credo sia la matrice di ogni sensibilità femminile, qualora riesca a guardarsi genuinamente allo specchio.

E credo sia la ragione per cui nella nostra società c'è tanta tanta solitudine.

Poiché la comunicazione interpersonale contemporanea è fasulla, nessuno ha voglia, intezione, capacità e modo di essere 'risolutivo' per nessun altro.

E allora, tutti soli in compagnia.
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni [SPOILER]

Messaggio da im-edith »

Mi piace molto la tua lettura del film. Mi hai ricordato tanti punti che ahimè avevo dimenticato :( Purtroppo per un film di questo tipo una sola visione, peraltro sottotitolata, di certo non è abbastanza.
Mi piace molto e mi ha dato modo di capire alcuni frammenti che giustamente non riuscivo a collocare, proprio come il ruolo di Toshio (non ricordavo neanche i nomi come avrete notato :oops: ).

Ci sono due punti del tuo testo su cui sono perplessa:
Essenzialmente, il caso di Taeko è quello di una presa di coscienza da cui lei si è sottratta sin da piccola, e che le ha impedito di essere padrona di sé stessa.
La mia interpretazione della cosa non era che Taeko si fosse sottratta fin da piccola alla presa di coscienza, ma che si fosse comportata da piccola come molti altri bambini, ma le fosse poi mancato il momento di "svolta", che di solito delimita l'essere adulta dall'essere bambina o adolescente e che comporta tale presa di coscienza e padronanza di se stessa. Cioè, non vedo sbagliato il suo modo di essere bambina e mi sembra naturale che se ne sottraesse da piccola, la cosa "innaturale" è che sia diventata tanto grande senza attuare mai quella svolta, che è poi il climax del film. Dal tuo punto di vista invece, mi pare di capire, trovi anche nel suo atteggiamento da bambina la particolarità che deve essere raccontata per capire poi il senso del film. Ecco, a me invece la Taeko bambina sembra talmente normale che a tutti i frammenti dell'infanzia non ho accordato la tua stessa importanza (da qui il mio sorvolare su questo aspetto).
Poiché la comunicazione interpersonale contemporanea è fasulla, nessuno ha voglia, intezione, capacità e modo di essere 'risolutivo' per nessun altro.
Questo forse non c'entra con il film e forse dovremmo andare da qualche altra parte a discuterne. Ma sinceramente non mi sembra che la comunicazione interpersonale in passato fosse diversa, anzi: molto più cerimoniale, molto più gerarchica, per non dire in famiglia fra genitori e figli comunicazione non ce n'era proprio. Se per te "risolutivo" significa che si potevano dare ordini e imporre cose che venissero rispettate, o che ci fosse un'etichetta da rispettare assolutamente, allora questo è un altro discorso. Ma non la chiamerei comunicazione. Direi piuttosto che la società era impostata in un modo in cui non c'era spazio per i dubbiosi, gli indecisi, i poco risolutivi che al limite venivano tenuti a un certo punto "fuori" dalla società stessa, bollati con qualche aggettivo tipo perditempo, nullafacenti, nel caso delle donne zitella visto che il loro primo dovere era sposarsi ecc. ecc. Ma non si tratta di sincerità della comunicazione, era solo una società che in sé destinava alla risolutezza per una via quasi obbligatoria e ovviamente non lasciava alcun tipo di libertà o quasi. Che poi questo fosse bene o male se ne potrebbe parlare a lungo... Ma nell'ambiente rurale del film, casomai, ho visto questa mentalità, non una comunicazione schietta. Poi Toshio ha un carattere gentile e comprensivo di suo, sicuramente affronta le cose in maniera semplice senza troppe sovracostruzioni, e probabilmente dipende dall'ambiente in cui è nato e cresciuto. Ma la semplicità non deriva da una comunicazione più schietta, casomai da un approccio alla vita che non lascia spazio alle sovracostruzioni perché si occupa a tempo pieno del contingente, per imposizione, per destino o per inclinazione personale. Mi pare che la sorella o cugina di Toshio faccia capricci per le scarpe, da cui il ricordo di Taeko sulla borsetta di vernice: poi cambia idea a seguito del racconto di Taeko, come interpretare quell'episodio? Sicuramente la ragazza è più giovane di Toshio, ma magari sta seguendo anche un percorso diverso, andando a scuola ecc, vuole studiare e da qui la sua semplicità va a farsi friggere? Toshio è semplice perché si è dato sempre alla vita dei campi e gli piace collezionare canzoni tradizionali di tanti paesi invece che cercare di conoscere il mondo con altro genere di aspirazioni (viaggi, libri, ecc.)?
Non so, mi chiedevo a questo punto se fosse una differenza culturale fra schiettezza e sovrastrutturazione data da due diversi ambienti (rurale vs colto, semplice vs raffinato, fatica fisica vs fatica mentale, sopravvivenza stagione dopo stagione vs relativo benessere) e quindi nel film, più che il rapporto città-campagna, fossero messi a nudo questi aspetti. Forse in questo intendevi tu il rapporto passato-contemporaneità?
Forse ho interpretato male la tua frase, che meriterebbe una maggiore attenzione che non in coda a un post.

P.S E Taeko ha 27 anni vero? Perché è precisa la mia età :loool:
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni [SPOILER]

Messaggio da Shito »

Taeko, lo dice chiaramente, era 'peggiore di tutte'.

Era quella che più aveva repulsione per Abe, ma fingeva di non averne.

Trattandolo con questa sufficienza, elargendo questa buonistica pietà, in realtà lo emarginava più di tutte.

Taeko, a dieci anni, realizza questo e prova una grande vergogna del sé.

Ma nasconde la testa sotto la sabbia, ovvero la sabbia sotto il tappeto.

Continua a vivere con quella falsità, e in questo non 'risolve' (in senso psicanalitico) il suo trauma.

La vergogna provata dinanzi alla sua falsità adulta ("gioco solo alla campagna"), scatenata dalla semplice e onesta verità del discorso della nonna ("perché non sposi mio nipote, visto che ti piace stare qui?"), creano un ritorno al trauma originale, e all'autoinganno di personalità, da cui il protrarsi della sua irrisolutezza.

Nel film si dice chiaramente, lo dice lo stessa Taeko, che il punto è "come mai PROPRIO LA ME STESSA DI QUINTA ELEMENTARE?"
C'è un ricordo da disseppellire, elaborare e risolvere.

Per fare questo, si prova necessario Toshio.

Anche questo è detto chiaramente: quando Taeko inizia a realizzare i suoi sentimenti, pensa "ma ad aver sbrogliato il mio animo ingarbugliato... era stato Toshio".

Quando parlo di 'elaborazione' e 'risoluzione' mi riferisco all'uso psicanalitico di questi termini. :)
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da dolcemind »

im-edith ha scritto: In realtà non definirei questo film come un viaggio alla riscoperta dell'infanzia o del contatto con la natura. Sarebbe un po' come dire che Mononoke è un viaggio alla scoperta della natura e Kiki o Chihiro alla scoperta dell'adolescenza .
Di se stessi e in se stessi sì, ma... Quanti milioni di film, come giustamente dici, sono viaggi alla scoperta di se stessi? Non lo sono anche i film di Miyazaki?
Mi sembra una banalizzazione. In realtà non mi pare che siano i ricordi o la campagna che facciano davvero cambiare idea alla protagonista, ne è incapace, lei, di questo cambiamento, e sono gli altri che alla fine devono metterla di fronte a un fatto inequivocabile, affinché si renda conto che lei, in quel momento, non è "né carne né pesce", non sta né da una parte né dall'altra e in questo suo voler occupare tutti gli spazi e non volerne occupare nessuno scopre la sua ipocrisia e prova anche rabbia con se stessa (mi pare, nella scena della pioggia?) mista a paura della scelta.
in effetti sono stato un pò troppo generico e banale parlando di questo film.
Non sapevo di avere di fronte una così grande estimatrice.
Ho letto l'interessante discussione che tu e Gualtiero avete portato avanti concordando più in alcuni punti e
meno in altri. C'è da dire che lo vidi molto tempo fa ma l'impressione che mi diede è che da bambina Taeko era
sempre fuori posto. Sempre in ritardo sulle cose, tontolona, credulona, come se l'epoca che le altre bambine stavano
vivendo fosse diversa. Le bambine "grandi" avevano un parente in campagna presso cui passare l'estate, mentre lei andava ai bagni pubblici o faceva gli eserciza da sola al parco. Avevano il ciclo e lei no.
Parlavano e cinguettavano dei primi amori mentre lei era tutto un rossore.
Credo o mi pare lo dicesse che era un bruco mentre le altri erano crisalidi pronte a diventare farfalle.
Credo anche che Taeko abbia portato fino all'età adulta questa fanciullezza anche se più matura.
Il viaggio che compie è perchè sa di voler diventare Farfalla e quindi forse sceglie. Se non ricordo male
non è la prima volta che va in campagna e quindi ha già fatto un tentativo.
A me sembrano tentativi di entrare nel mondo adulto, sentendosi pronta.
Probabilmente Toshio è la sponda tra i due mondi che infine riesce ad attraversare.
:D
p.s: la campagna è laddove andavano le sue amiche bambine "adulte", il viaggio rimane in se stessa.
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni [SPOILER]

Messaggio da Shito »

Credo che in questo caso tu ricordi male.

Taeko bimba è -come tutte- a volte viziatella e capricciosetta, ma è una bambina normalissima, inserita socialmente nella sua classe, e semmai intellettivamente più dotata.

Tutte le cose che tu citi non sono sue esclusive: c'è chi non ha ancora il ciclo, come lei, e qualcuna (rara) che lo ha già. Il riferimento al 'rito di passaggio' da bruco a farfalla viene portato dalla Taeko adulta come una cosa di tutte, non sua esclusiva. Non è quello il punto.

Peraltro, il viaggio che fa Taeko nel film è il SECONDO, l'anno prima è stata nella stessa campagna, viene detto più volte.

Diciamo che non è quello il punto, ecco.
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni [SPOILER]

Messaggio da dolcemind »

Debbo proprio rivederlo allora.
:D
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni [SPOILER]

Messaggio da im-edith »

Ci siamo, ci siamo ^__^ Anche questa discussione mi ha dato molto. Una seconda visione è purtroppo irrinunciabile :P
Speriamo in LuckyRed ^_^

Edit: ah sìsì ho ricordato una cosa e la devo condividere con voi XD
Mio fratello quando era piccola e i manga non erano così diffusi, comprava delle riviste in giapponese (formato più o meno come le nostre riviste settimanali) per guardare le figure dei nuovi manga e anime del giappone (non si poteva fare molto altro essendo tutte in giapponese). Poi me le passava.
Su una di queste riviste, che ancora ho, è stampata in copertina proprio Taeko grande e piccola (mi pare la locandina del film).
http://www.cinemaisdope.com/news/films/ ... o_poro.jpg

Poiché dentro c'erano gadget come cartoline, poster, adesivi ecc, c'era una cartolina che riprendeva un'immagine del tramonto che ho rivisto nella pellicola, ma non riesco a trovare in giro... Bene, è stata appesa nella mia cameretta per anni ^^' *quando si dice il caso o il destino ahahah* Ovviamente essendo un'immagine così generica non sapevo appartenesse proprio a quel film O_o (era tutto in giapponese, che ne so^^')
Dal Salento con furore... Dove nessun cinema trasmette film Ghibliani (almeno non quando escono nel resto d'Italia!)
Dottor Rao ha scritto:Nascevi un secolo addietro e non c'erano i film di Miyazaki, praticamente un'esistenza inutile
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Re: Omohide PoroPoro - Ricordi a goccioloni

Messaggio da ghila »

im-edith ha scritto:Quanti milioni di film, come giustamente dici, sono viaggi alla scoperta di se stessi?
E l'arte stessa, per un artista, cos'è se non questo? :)

Shito ha scritto:Essenzialmente, il caso di Taeko è quello di una presa di coscienza da cui lei si è sottratta sin da piccola, e che le ha impedito di essere padrona di sé stessa.
Ovvero: che voleva fare la 'brava bambina' più di quanto non fosse, e che recitasse il ruolo del sorriso per poi essere solo una eterna irrisoluta.
[...]
Toshio, che è piiù giovane di Takeo, fa quello che nessuno ha mai fatto: la prende sul serio.
Prende sul serio anche le cose apparentemente strane, come la questione della divisone tra frazioni. La stessa Taeko ne rimane stupefatta.
E prende sul serio la questione di Abe. Molti avrebbero liquidato la cosa come 'paranoie da bambina'.
In effetti si rende necessario risolvere proprio quelle.
Strepitoso.
La ricerca di una vita autentica attraverso il ridisegno della realtà attraverso lo specchio della mente senza deformazione, in piena onestà con sé stessi. E, come al solito, è la cosa più difficile di tutte, affrontarSI nella libertà senza inganni o maschere autocostruite (dallo stesso TE)...
O meglio, riprendendo shito e il suo intervento illuminante:
autoinganno sedimentato
Perfetto.
Buon cammino a tutti.
Intanto grazie a tutti per questi illuminanti interventi, pieni di acume, ok, ma soprattutto di vita vissuta raccontata senza remore. Senza timori di giocare "prendendosi sul serio".

:)
Raro concedit, numquam negat, semper distinguit