Vecchia o nuova, a me sembra comunque inefficace, se applicata a prodotti che non hanno generato il minimo hype nel mercato e nell'immaginario commerciale collettivo. Che poi BV possa essere paragonata ad un editore squattrinato lo trovo quanto meno improbabile...OrsoBruno ha scritto:Una vecchia e poco elegante strategia degli editori squattrinati consiste nell'annunciare ai distributori un prodotto inesistente, valutare i preordini e decidere in base ad essi se esiste un ritorno accettabile per l'operazione.
Ma il fatto è che il pupazzo di Totoro non esiste! Mi sembra che il caso da te citato sia, nella sua emblematicità, assai esplicativo di quanto, sinteticamente, cercavo di dirti prima. Cercherò di essere più analitico (anche perché siamo OT e il botta e risposta fa crescere di non poco le pagine).rosadimaggio ha scritto:ma semplicemente la messa in onda di alcuni lungometraggi "così come sono stati girati", senza tagli nè censure in modo tale che un bambino, passando davanti ad un negozio, tormenti la mamma perchè gli compri anche un pupazzo di Totoro e non solamente il quaderno de "gli Incredibili"
Fare pubblicità è un investimento, tanto quanto produrre, e per accollarsi il rischio dell'investimento (sia della produzione sia della pubblicità) si deve avere fiducia nel prodotto. Se ancora non si fosse capito, qui, in Italia, chi dovrebbe pubblicare Miyazaki non ha fiducia (quanto meno!) nel prodotto. Non c'è fiducia, ergo non c'è produzione (o se c'è è di effimera qualità, quindi, ironia della sorte, si fa automaticamente una pessima fama), ergo non può esserci pubblicità.
Perché, volenti o nolenti, la riuscita economica di un prodotto è un mix complesso di molteplici variabili.
A voler tagliare corto: 1. la qualità del prodotto in sé; 2. la qualità della "confezione" (in senso lato) del prodotto; 3. il battage pubblicitario.
Il mercato è sensibile a tutti e tre questi elementi e genera richiesta in misura direttamente proporzionale alle aspettative che tali variabili possono indurre. Non starò qui a farvi tutte le casisitiche e gli incroci possibili. Rimaniamo a Miyazaki.
Sulla qualità artistica del prodotto non si discute: peccato che, essendo in gioco la categoria del *bello* e non (ad esempio) quella dell' *utile*, il mercato sia sensibile al prodotto in relazione alle sua capacità di rapportarsi ad una categoria estetica. Il problema si complica ulteriormente perché l' "offerta culturale" dell'animazione nipponica è del tutto estranea all'orizzonte di attesa dell' "occidentale medio", il che aggiunge nel calderone anche la non trascurabile variabile sociale (i tempi dei robottoni di Nagai non sono finiti, per certi versi ). Per farla breve, a fronte di una qualità altissima c'è un bacino di fruizione che è poco più di una nicchia (e non basta la pubblicità ad allargarla, se non c'è un progetto editoriale dietro!).
Parlare della qualità della "confezione" dei titoli Ghibli è come scoperchiare il vaso di Pandora. Mononoke: doppiaggio farlocco, titolo inventato, copertina vomitevole, extra inesistenti (si salva solo la qualità video). Chihiro: doppiaggio discutibile, confezionamento miserrimo. Kiki e Laputa: finalmente due opere del maestro trattate come si deve grazie a Shito e BV che fa? Stronca la "propulsione commerciale" (praticamente 'na fiatella ...) dell'uscita di Kiki con un interlacciamento da far accapponare la pelle e produce un numero infimo di copie di Laputa, ora come ora fuori catalogo, come tutti sanno.
Con una situazione apocalittica come quella appena descritta, la pubblicità non farebbe altro che avvicinare l'acquirente (neofita e magari pure un po' diffidente) ad un'offerta commerciale tanto fantasmatica quanto inadeguata, che lo lascerebbe quanto meno perplesso e insoddisfatto (l'indignazione è, ahimè, riservata a quelli come noi). A conti fatti, forse forse, è meglio che non venga fatta pubblicità a tanto scempio! (ormai ragiono come Alberto, che non vuole che i manga validi arrivino in Italia per evitare lo sputtanamento ad opera di Panini ! ).
Insomma, ora come ora, la pubblicità sarebbe solo una facciata posticcia con dietro nient'altro che il deserto. Inutile e controproducente. Come già dicevo prima, la prima pubblicità è quella che il prodotto si fa da solo, esistendo così com'è. Così come sono, le versioni italiane di Miyazaki coprono uno spettro che va dallo "schifo" alla "sufficienza risicata". Ovvio che non si abbia interesse a fare pubblicità, se non si ha interesse a trattare con dignità un prodotto (d'ingengno, per di più!). Da un punto di vista di mercato, Miyazaki in Italia non esiste, mettetevelo in testa.