In attesa del premio veneziano, ho trovato casulamente un intervista a Miyazaki su Panorama
http://www.panorama.it/spettacoli/star/ ... 0001032224
Riporto il testo (alcune frasi sono uguali a quelle ascoltate nel filmato messo a disposizione da Jigen) e per noi appassionati non c'è niente di nuovo.
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ESCLUSIVE
INTERVISTA A HAYAO MIYAZAKI, IL RE DELL'ANIMAZIONE
Segreti del Kubrick dei cartoon
di Marco Giovannini 10/8/2005
Non scrive il copione dei suoi film. Ha vinto l'Oscar con «La città incantata», a settembre riceverà a Venezia il Leone alla carriera. Vita fantastica dell'inventore di Heidi.
Il suo ufficio è famoso: lo spazio è occupato soprattutto da una grande scrivania e da un piccolo divano. Sono ugualmente importanti nella sua attività creativa: alla scrivania passa anche 12 ore al giorno e il divano gli serve per piccoli sonnellini, che gli ridiano velocemente energia. Spesso Hayao Miyazaki non va a casa prima delle 2 di notte, per poi tornare in ufficio alle 9. Lo chiamano «imperatore delle anime», dove anime sta per cartoon, così si dice al suo paese, il Giappone. Miyazaki riceverà alla Mostra di Venezia il Leone d’oro alla carriera, un’onorificenza assegnata con parsimonia e mai prima a un regista di animazione, nemmeno a Walt Disney. È il definitivo monumento per un autore che, come dice il presidente della Mostra, Marco Muller, ha «fatto saltare le pareti dentro le quali si era voluto incasellare il cinema d’animazione. La filosofia di Miyazaki unisce romanticismo e umanesimo a un piglio epico».
Ma la carriera di Miyazaki è tutta un’eccezione: ha vinto il primo Oscar dei cartoni animati (nel 2003 con La città incantata) e con lo stesso film capolavoro è stato premiato a un festival importante come Berlino.
Il suo ufficio, che è al primo piano, diviso dal resto della costruzione da ripidi scalini proibiti a visitatori e giornalisti, sembra un suo film, pieno di porte segrete e passaggi per i regni di «chissaddove»: bisogna spostarsi di qualche chilometro ed entrare nel suo regno personale, il Ghibli Museum, una Disneyland colta. In una stanza c’è una grande casa di legno con finestrelle che, aprendosi, mostrano scene in miniatura dei suoi film. Poi improvvisamente, ad altezza di bambino, camuffate fra le altre, in una c’è proprio il suo misterioso ufficio, perfettamente ricostruito, e in un’altra c’è Miyazaki su un set, ritratto con le sembianze dell’animale che ama di più: il maiale. Infatti uno dei suoi film cui più è affezionato è Porco rosso, nome di battaglia di Marco Pagotto, il suino volante che abita sulla Riviera Adriatica ed è un virtuoso di idrovolanti.
GENIO D’ORIENTE
Chi è Hayao Miyazaki
Il regista giapponese è considerato il maestro mondiale dell’animazione.
Ha 64 anni, vive a Tokyo, lavora 12 ore al giorno nei suoi studios, Ghibli.
Nel 2003 ha vinto l’Oscar con La città incantata, premiato anche al Festival di Berlino.
A settembre, alla Mostra di Venezia, riceverà il Leone alla carriera, assegnato ai grandi del cinema.
Sempre a settembre uscirà in Italia Il castello errante di Howl, che in Giappone è al quarto posto degli incassi di tutti i tempi.
Miyazaki non concede quasi mai interviste: questa a Panorama è una delle pochissime.
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Restio alle interviste, per «Panorama» Miyazaki ha aperto i propri spazi e l’abituale bocca cucita: visita al museo Ghibli, ai suoi studi dallo stesso nome e al Mot, il museo di arte contemporanea di Tokyo, dove è in corso una spettacolare mostra dedicata al suo ultimo film, Il castello errante di Howl (uscirà in Italia a settembre). Primo commento su Venezia: «Quando il direttore Muller mi ha annunciato l’idea del Leone d’oro, gli ho detto che non lo volevo, mi sembrava una cosa da vecchi» rivela Miyazaki. «Allora mi ha spiegato che l’ultimo era stato assegnato a un Clint Eastwood talmente in forma da vincere subito dopo un Oscar. A quel punto ho accettato».
Il castello errante di Howl è tratto da un romanzo dell’inglese Dianne Wynne Jones e racconta, rivisitata in chiave circense, la prodigiosa avventura di Sophie, una ragazza di 18 anni trasformata da un incantesimo in una novantenne. Come le altre sue favole che sono autentici viaggi di iniziazione, anche Il castello vede maghi, streghe, spaventapasseri, cagnolini e fuochi parlanti, straordinari compagni di cammino della protagonista che imparerà ad accettare il suo nuovo destino senza cadere nell’autocommiserazione ma, anzi, rimboccandosi le maniche. Il messaggio è che bisogna accettare ogni fase della vita e tirarne fuori il meglio.
Miyazaki ha cambiato l’ambientazione del romanzo che si svolgeva nel Galles e l’ha portato in Alsazia al tempo della Belle époque. Come al solito la sua è un’Europa di sogno, un collage messo insieme dalla esperienza diretta di molti viaggi di esplorazione (quando era un giovane disegnatore fece un lungo trekking nelle valli delle Alpi per trovare riferimenti al personaggio della pastorella Heidi, protagonista nel 1976 di uno dei primi serial trasmessi dalla nostra televisione).
A differenza dei cartoni animati americani, nelle favole amare di Miyazaki spesso non c’è il lieto fine. «Mi permetto di contraddirla» dice lui. «Se Sophie fosse tornata giovane, sarebbe stato un insulto a tutti quelli della terza età, me compreso. Il lieto fine c’è eccome, ed è il fatto che lei sia contenta di come è».
Toshio Suzuki, suo socio da 25 anni, rivela che il personaggio di Sophie in realtà è basato sulla moglie di Miyazaki, Akemi Ota: «Miyazaki dice che un giorno l’ha vista in uno specchio e si è reso conto che era differente dalla ragazza che aveva sposato nel 1965». Alla moglie ha dedicato un capitolo della sua autobiografia Punto di partenza, quasi per scusarsi del suo assenteismo di tanti anni. Si intitola: Non ho visto i miei figli crescere.
Come ogni suo film, Il castello errante di Howl è stato un successo straordinario in Giappone e ora è quarto negli incassi di tutti i tempi dopo Titanic, Harry Potter, mentre in testa alla classifica rimane La città incantata. «Non ho mai avuto mire espansionistiche. Quando faccio un film penso soprattutto al pubblico giapponese». Le sue trame si prestano a molte possibili interpretazioni, e le tematiche sono così profonde che non sembrano affatto per bambini; eppure, capita spesso quello che gli ha confessato il governatore di Tokyo, a cui sono sfuggiti molti degli snodi narrativi di Principessa Mononoke e se li è dovuti far spiegare da alcuni scolari delle elementari presenti in sala.
Miyazaki racconta un aneddoto illuminante: suo padre vedeva in tv solo cose che capiva; se nei primi tre minuti gli veniva qualche dubbio, cambiava immediatamente programma. Lui però resta saldo nella sua convinzione: «Una logica eccessiva uccide la fantasia e la magia di un film». Per questo continua a lavorare senza una sceneggiatura, ma sviluppando man mano uno storyboard che all’inizio non sa esattamente dove andrà a finire.
Anche se la Disney gli distribuisce dal 1996 i film in America, non fa mistero di non amarne la produzione, almeno quella degli ultimi 40 anni, e di non gradire l’etichetta di «Disney d’Oriente». Le sue preferenze vanno invece decisamente alla Pixar, in particolare al regista John Lasseter (Toy story), con cui da anni vorrebbe girare un film a quattro mani. Lasseter dice di Miyazaki: «Quando abbiamo un intoppo e non sappiamo come risolverlo guardiamo uno dei film di Miyazaki per un’iniezione di ispirazione. E funziona sempre».
Ecologici e pacifisti sono stati sempre definiti i suoi film. Anche nel Castello errante di Howl c’è una dura critica alla guerra, sintetizzata da un dialogo che avviene mentre sul villaggio piovono bombe. Sophie: «Sono nemici o amici?». Howl: «Gli uni o gli altri, è la stessa cosa…! Dannati assassini. Guarda, quante bombe si portano dietro!».
Non c’è bisogno dello psicoanalista per individuarne l’ispirazione nel trauma subito nel 1945, quando aveva 4 anni e assistette al bombardamento della sua città, Utsanomiya. «Lo scoppio della guerra in Iraq ha influenzato molto il mio film. Per la prima volta abbiamo assistito in tv ai bombardamenti. Voleva dire che gli abitanti di Baghdad potevano vedere le bombe arrivare dal cielo e nel televisore: in che magico e orribile mondo viviamo oggi» dice. «Il mondo reale è molto più violento di quello della fantasia».
Il regista ama molto l’Italia e il suo caos creativo, odia invece i videogame che hanno reso la vita virtuale: «Quando ho chiesto a dei giovani disegnatori di schizzare delle idee per il personaggio di Calcifer, il fuoco antropomorfo, molti di loro mi hanno confessato di non averne mai visto uno vero. In Giappone i caminetti sono finti e si accendono con un interruttore». Ora che la Disney non produce più film disegnati a mano, cioè bidimensionali, Miyazaki è l’ultimo grande avversario del tridimensionale fatto al computer. A un certo punto dell’intervista è arrossito. La domanda era se, come qualche critico aveva suggerito, gli piaceva essere considerato il «Kubrick dell’animazione». «Sono solo un artigiano» è stata la sua laconica risposta.