Sì, ne aveva detto prima Buta, se ben ricordo, e poi Hols, entrambi con piena ragione.Ani-sama ha scritto:Non so se qualcuno ha ancora parlato del concetto di *responsabilità*. Che io ritengo fondamentale in un rapporto sentimentale. Ciò significa certo limitare la propria libertà, ma in nome del "bene comune"
Per come la vedo io, ogni rapporto comporta uno 'scambio mutuale di potere', poiché volere bene a qualcuno significa entrare in possesso della potenzialità di farlo soffrire. Attenzione: 'farlo soffrire' non solo per quello che si fa, ma eventualmente anche per cio che si potrebbe 'smettere di fare' (che è diverso da 'non fare'), il che si lega strettamente al concetto di responsabilità. Per questo ho sempre pensato e detto che l'amore è un sentimento violento, e pertanto va vissuto con responsabilità. Amando qualcuno si crea in lui non solo un'asepttativa, ma una dipendenza affettiva (ovviamente, a veri livelli, a seconda del rapporto). Credo si dovrebbe sempre essere coscienziosamente presenti dinanzi a questo. Ovviamente, sto parlando da uomo che sono.
Per me si tratterebbe di prostituirne l'immagine, ovvero usare la sua immagine come mezzo e non come fine, e questo non me lo perdonerei.Ani-sama ha scritto: Faccio un discorso un po' più terra-terra (cosa inusuale per me!): mi cadono le braccia, per dire, quando sento certi uomini vantarsi in pubblico delle proprie avventure sessuali con le donne. Per me "responsabilità" significa anche che "certe cose mie intime non le dico a nessuno". Pensando anche e soprattutto a quella che amo. Di certo lei si sentirebbe mortificata a sentire che io parlo di certe cose con gli "amici del Bar Sport" (per dire). Sarebbe d'altra parte per me, questo, un... svenderla, anche tradirla.
Torno al concetto di Julius "chi ama qualcosa la tiene per sé"
Il punto non credo sia tanto 'usare la donna come mezzo di soddisfacimento fisico', o 'usarla come mezzo di soddisfacimento intellettuale', le cose mi sembrano ugualmente ree di usare la donna 'presunta amata' come mezzo, e non come fine della propria vita. L'artista non crea l'arte perché gli serve l'opera d'arte, ma perché per lui vivere è fare arte, quindi l'opera stessa diviene ragione di vita. Come dicevo, non esiste uno scultore senza marmo da scolpire. In questo senso, appunto, io credo che l'uomo ama la donna perché lei è ciò che da senso alla sua esistenza divenendo piuttosto il fine di quella. In questo senso, a un 'più alto livello', la donna è mezzo solo *puramente esistenziale* della vita di un uomo che ha bisogno di un fine incarnato fuori di sé per vivere, o eventualmente per morire.Ani-sama ha scritto: D'altra parte, io reputo "irresponsabili" anche tutti quegli uomini che si rivolgono al genere femminile guardando le donne come mero soddisfacimento dei propri bisogni più "animaleschi", o come modo per sentirsi forti e orgogliosi di sé (della serie "guarda quante donne ho in giro e quanto sono figo!) "Donna come oggetto", si direbbe. Questa è una cosa per me intollerabile. Al contrario, io sono convinto che sia tutto molto più complesso... e anche più bello, volendo andare nel profondo, volendo conoscere veramente a fondo una donna.
Mi rendo conto che il confine tra 'donna come mezzo di autocompiacimento intellettuale' e 'donna come fine di vita, e in questo mezzo del poter vivere' è molto sottile. Io stesso ci rifletto spesso. Dove finisce la gioia di fare il bene dell'altro e la gioia di vedere sé stesso che fa il bene dell'altro? Eppure proprio qui sta la discriminante fondamentale, per me, tra l'idolo (oggetto) vivo e l'idolo (oggetto) inerte. Ci penso molto, credo ci penserò ancora molto.