Beh, come vedi le mie conoscenze sono molto meno profonde delle tue...
Grazie per i collegamenti consigliati, ne farò tesoro.
Quanto alla foto che "coglie l'attimo" arrivi a quel che volevo discutere con te e chi di voi vuole.
A mio umilissimo avviso la fotografia va considerata Arte o almeno tale deve essere considerata dal fotografo nel momento dello scatto. Già al momento dello scatto il fotografo opera delle scelte che falsano la realtà sotto la sua personale visione e quel che vuole comunicare in quel momento (ISO/ASA, Focale, taglio, composizione, velocità otturatore ecc). Già questo significa che la fotografia non è cogliere l'attimo, ma costruire tale attimo in base a quel che sentiamo (e che riusciamo a fare attraverso la nostra tecnica). La seconda fase poi è quella della post produzione, che sia in camera oscura o chiara non cambia nulla. La terza è l'eventuale aggiunta di elementi che nella realtà non esistevano (luci, timbro clone, via i pali della luce ecc) e tutto questo per ribadire, riaffermare con maggiore forza quello che in quel momento il fotografo ha sentito di voler comunicare attraverso lo scatto.
Quindi per me tutto questo non è solo lecito, ma auspicabile, anzi imprescindibile. Ben sapendo che un grande fotografo è come un grande batterista: si nota la grandezza in quello che NON fa.
Tutto questo per dire che rag ha ragione a par mio a dire che Adams ha esagerato (e il caro Ansel lo sapeva naturalmente), ma che anche la sua affermazione mi pare una generalizzazione e ho voluto puntualizzare.
Inoltre ho notato in alcuni scatti proprio di Rag che lui ha voluto sottolineare "no PP" come se questo fosse un valore aggiunto allo scatto. Per come la vedo io è semplicemente uno scatto non sfruttato completamente, a meno che lo stesso scatto senza nemmeno un filo di contrasto comunica esattamente quel che Raghnar aveva intenzione di comunicare, ma allora non è necessario dire che è lo scatto puro. Non è la prima volta che sento discorsi tipo:
IO "eh, ho capito che è bella, ma scusa il bianco è spara qui"
L'ALTRO "uhe, non l'ho toccata e comunque hai visto cosa è uscito? Certo a toccarla migliora, ma non farei vedere cosa so fare con la sola fotocamera"
IO "beh con la fotocamera sai fare solo quello che sanno fare tutti: negativi, che siano analogici o digitali non cambia una virgola. E i negativi vanno sviluppati, altrimenti sempre negativi restano"
L'ALTRO "uhe guarda che dalla mia macchina escono i jpeg fatti e finiti!"
IO "tendo a decidere io quando e come tramutare un mio negativo in foto veramente finita"
Come mi comporto io con le foto? Beh se per me non è nemmeno accettabilmente comunicativa non la mostro. E se per esserlo deve passare sotto il vaglio di un'ora secca di Post produzione non mi pongo nessun problema. Anche se in questa ora ricostruisco un'intero crinale montano!
Concludo quindi la mia primissima striminzita discussione con una riflessione dell'amico
Michele Vacchiano, apparsa pochi mesi fa sul suo forum:
Come diceva Racine (credo proprio fosse lui) l'arte non deve essere vera, basta che sia verosimile. Alle agenzie interessa una bella immagine, non interessa se le persone ritratte siano davvero montanari o attori travestiti.
A volte esse stesse chiedono di manipolare le fotografie. Ad esempio un'agenzia internazionale con cui collaboro (con sede negli USA) è talmente attenta alla privacy che mi fa cancellare i numeri civici sopra i portoni, o i nomi dai campanelli quando ritraggo un portone, o il nome della via se compare in una foto di architettura. Non vogliono che siano ripresi marchi, sigle e loghi di nessun genere, e diventa un problema se nell'inquadratura entra una stazione di benzina. Per fortuna in alta quota non se ne incontrano spesso... La ricostruzione in postproduzione di un crinale è evidentemente un falso, ed è condannabile perché fornisce una falsa informazione. Ma tutto dipende dalla destinazione finale dell'immagine. Se questa fosse destinata a una guida alpinistica, allora la mia ricostruzione fasulla sarebbe non sono scorretta, ma addirittura criminale!
Se invece la foto fosse destinata alla copertina di un romanzo fantasy, la mia foto elaborata sarebbe del tutto legittima, avendo io "creato" una situazione non esistente nella realtà, ma ben presente nella mia "realtà interiore".
Cartier-Bresson, con la sua foto degli innamorati, ma aggiungo anche Robert Capa con la sua foto del miliziano morente (consideriamola costruita anche se la questione è tuttora controversa) non hanno fatto una foto "vera", avendo usato degli attori, ma hanno fotografato con estrema efficacia delle situazioni, delle atmosfere, hanno impressionato lo spettatore scaraventandolo dentro la realtà di cui in quel momento erano testimoni. E se è vero che il reportage non è la singola immagine ma il servizio nella sua globalità, le immagini parigine di Cartier-Bresson e le immagini di guerra di Capa sono
grandiosi affreschi, rappresentazioni non necessariamente della realtà, ma di come il fotografo l'ha vissuta, interpretata e proposta ai suoi spettatori. Questo è il mio personale punto di vista al riguardo, che non pretendo certo debba essre l'unico accettabile. Ma è sempre stata mia preoccupazione evitare per quanto possibile l'equivalenza fotografia=riproduzione, anche a costo di portare a conseguenze estreme il filo del ragionamento. [...]
Insomma, ricitando il Maestro Vacchiano:
"la fotografia è arte, non riproduzione, e quello che va giudicato è l'immagine nei suoi valori compositivi e comunicativi. Il resto è chiacchiera."
Che ne pensate?