Non mi pare di star dicendo cose diverse rispetto a Raghnar, dolcemind; forse non mi sono spiegato o forse si chiede all'arte di essere univoca quando invece non lo potrà mai essere.
Un'opera d'arte è il risultato di una somma di svariati aspetti che vanno dalla riflessione filosofica dell'autore sulla vita, a quella estetica sulla propria opera, a quella storica sulle opere altrui nella medesima arte (e non), a quella "relazionale" nella quale l'autore confronta idee, stili, opinioni con altri autori suoi contemporanei, amici o meno, fino a quella dedicata al codice e pertanto a quell'incontro/confronto/scontro di cui prima parlavo più altre ancora.
Non dobbiamo fare l'errore di ragionare a compartimenti stagni, ma nemmeno mischiare dei discorsi che possono essere, in linea teorica e per praticità di comprensione, essere "slegati".
Quindi quando si parla di fruizione si parla di come una persona fruisce di una certa opera d'ingegno artistico. Ed è un aspetto.
Qui si parla (per ora...) di "cosa serve" ad un'opera per essere considerata (da chi?) arte. Si parla dunque dell'altro lato della "barricata" (prendetelo con le pinze vi prego!).
Ecco, per rispondere a questa domanda, oltre a prendermi cinque(cento) anni di vita eremitica, forse partirei da questa piccola frase:
si necessita di un'onesta urgenza comunicativa interiore narcisistica, che viene sublimata attraverso l'espressione pratica d'una attività altamente tecnica ed altamente egoistica che persegue canoni estetici propri, derivanti da convinzioni personali confrontate con codificazioni tradizionali, da donare poi a potenziali fruitori della stessa, al cui giudizio, sia esso coerente o incoerente con il pensiero del'autore, l'opera stessa dovrà poi essere vagliata e valutata per quello che essa dona.
Ecco. Partirei da qui.
Fate attenzione perchè in parecchie parti della frase si intersecano discorsi molto diversi. Uno fra i tanti quello finale dell'"incoerenza della valutazione" che praticamente significa "sovrainterpretare" ciò che l'autore voleva dire. Io sono convinto che la sovrainterpretazione o l'interpretazione personale di un'opera che NON tenga conto di ciò che l'autore stesso pensa di questa opera stessa è assolutamente deplorevole! Ma sono altresì convinto che l'autore debba LASCIARE la propria creatura AL PUBBLICO LUDIBRIO, con TUTTE le eventuali conseguenze che l'ignoranza pubblica può portare.
Quindi capite che con la mia frase sopra riportata NON VOGLIO ASSOLUTAMENTE dire che il pubblico FA BENE ad apportare soggettivamente interpretazioni totalmente sue ad un'opera: questo ripeto la considero ignoranza (qualcuno qui direbbe "non Amore" e io sono con lui!). Dovete vederla dalla parte dell'autore! E allora ecco che l'autore, a mio avviso, DEVE lasciare il pubblico TOTALMENTE LIBERO di confrontarsi con l'opera da lui prodotta. Una volta pubblicata l'opera NON E' PIU' DELL'AUTORE, è di sé stessa; l'autore deve a mio avviso farne un dono ESTREMO!
L'ho già scritto tempo fa, qui e su molte altre parti del web.
L'arte a mio avviso è la Carità di Narcisio.
L'ho scritto forse troppo tempo fa e il fatto ch elo pensi ancora un pò mi ferisce, che non sia proprio cambiato nulla del mio modo di pensare?
Il pubblico dovrà invece essere diverso, tenere conto dell'autore, dovrà capirne le ragioni e non divagare sull'opera GIUSTAMENTE lasciata a sé stessa dal suo creatore. Per questo il pubblico deve essere ALTO, deve CONOSCERSI, deve SAPERE. Perchè altrimenti NON coglie l'estremo atto di carità dell'autore e segue semplicemente quel che sente egli stesso: ne ha la facoltà, MA deve essere CONSCIO che in quel momento SOVRAINTERPRETA! Se però finisce per fruire dell'opera SOLO attraverso questa sua sovrainterpretazione, in realtà finisce per non FRUIRE realmente di tale opera e pertanto ha compiuto un gesto di egoismo assoluto, che è suo diritto fare, ma è un dovere COMPRENDERLO e marchiarlo come un proprio LIMITE! Anche questo è saper leggere sé stessi, con le proprie potenziaità e conoscendo i propri limiti.
E questo è un piccolo discorso nato da due parole contenute in quella frase sopra riportata (la quale vi assicuro mi ha fatto sudare e della quale non sono assolutamente soddisfatto, ma tant'è. Già lo scrissi: ahimè, o vivaddio, genio non sono).