Coquelicot-Zaka kara - alacremente in italiano

Discussioni su gli autori e gli anime Ghibli e Pre-Ghibli

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Porco&Bella
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Porco&Bella »

Nel frattempo mi è venuta in mente un altra perla che ho sentito ieri sera: "Baruffa".
Mi chiedo e vi chiedo, non vi era modo migliore nell'adattare simile parola e utilizzare un sinonimo più comune e orecchiabile per il pubblico?.
Questo è un altro dei numerosi esempi/scempi che si posso sentire nel film come in altri adattati dal Sig. Cannarsi.
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Heimdall
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Heimdall »

Porco&Bella ha scritto:Chi è responsabile ad adattare i film, soprattutto film dal giapponese all'italiano, dovrebbe spiegare almeno il perchè di questa sua scelta, ovvero di inserire nel film entrambi i nomi, Umi e Mer.
Capisco alcune delle tue perplessità, e ritengo che possano anche essere sviscerate con la dovuta calma.

Resta un fatto: che "Umi" significa "mare" in giapponese. Ritengo che la scelta di alcuni degli studenti di ribattezzare Umi con la traduzione esatta del suo nome in francese possa essere il portato dell'ambiente "colto" in cui vivono gli studenti, che sentono il fascino dell'esistenzialismo francese e, non a caso, battezzano il loro ritrovo con il nome del simbolo della "rive gauche" a loro coeva: "Quartier Latin".
Personalmente metto la mano sul fuoco che la dicitura "Umi" e "Mer" è stata utilizzata nell'adattamento esattamente negli stessi punti in cui questa alternanza è presente nell'originale. Se si tiene conto della premessa che ho fatto, si capisce bene che questo dettaglio aggiunge qualcosa di più nella caratterizzazione dei personaggi compiuta dall'autore. Se l'adattamento avesse scelto di ometterla o semplificarla, risulta evidente che ci saremmo persi una nuance - appunto! - voluta dall'autore, e non dal traduttore o dall'adattatore.
Poi, certo, una criticità non da poco è che i destinatari originali hanno immediatamente presente qual è il significato della parola "umi" e, quelli di loro che conoscono il francese, non avranno avuto difficoltà nel cogliere il rimando. Sventuratamente nei film non è possibile inserire note a piè di pagina, quindi non vedo come altrimenti sarebbe potuta avvenire questa invocata spiegazione.

Personalmente ho qualche altra perplessità (perché qualcuna ce l'ho anch'io), ma non questa: se l'autore ha inteso dare alla propria opera un taglio intellettuale, francofilo, esistenzialista, filosofico o quant'altro - in una parola, ha scelto di fare un'opera difficile (con tutti i limiti che questo aggettivo può avere in tali contesti), non è compito di chi traduce spiegare o chiosare le intenzioni dell'autore, ma questo non può essere imputato all'intermediario: al massimo critichiamo Gorou o chi per lui.

Siamo poi d'accordo su un fatto: che per il pubblico italiano la comprensione risulterà più difficile - magari anche molto più difficile - che non per il pubblico originario, ma è la stessa cosa con un film espressionista degli anni Venti, o con il montaggio intellettuale di Ėjzenštejn. Siamo forse noi che, per molti punti di vista, ci siamo "seduti" sul cinema mainstream, che - mercé anche la nostra omologazione al modello culturale americano - rende evidente, finanche banale, qualunque significato. Del resto nessuno ha mai detto che questo sia un film "per bambini", come non lo sono molti film di Takahata, cui Gorou deve molto del suo stile cinematografico.
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Ani-sama
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Ani-sama »

Porco&Bella ha scritto:Nel frattempo mi è venuta in mente un altra perla che ho sentito ieri sera: "Baruffa".
Mi chiedo e vi chiedo, non vi era modo migliore nell'adattare simile parola e utilizzare un sinonimo più comune e orecchiabile per il pubblico?.
Questo è un altro dei numerosi esempi/scempi che si posso sentire nel film come in altri adattati dal Sig. Cannarsi.
Sentirò anche io l'adattamento, quando metterò le mani sulla versione home-video. Però, in linea di massima, non condivido simili critiche. Esistono parole nel vocabolario italiano forse attualmente un po' fuori uso, ma non per questo "d'élite". La parola "baruffa" è forse poco in voga (ma davvero, poi? Da bambino mi sembra di ricordare di averla sentita non poche volte), ma d'altra parte non credo che nella traduzione uno debba per forza scegliere le parole solo in base al loro essere "comuni e orecchiabili". Il discorso è sicuramente più complesso di così.
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Penauts »

Si era già appurato in discussioni precedenti che categorie come "italiano corrente", "termine desueto", "parola orecchiabile" e chi più ne ha più ne metta, NON sono categorie universali, ma personali, e chi pretende che le proprie -personali- pseudocategorie debbano avere valore assoluto, sbaglia.

L'unica categoria universale che si può tirare in ballo è la correttezza grammaticale, e mi pare che l'adattamento di questo film sia grammaticalmente corretto dalla prima all'ultima frase. Tutto il resto sono parole al vento.
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Porco&Bella »

Penauts ha scritto:Si era già appurato in discussioni precedenti che categorie come "italiano corrente", "termine desueto", "parola orecchiabile" e chi più ne ha più ne metta, NON sono categorie universali, ma personali, e chi pretende che le proprie -personali- pseudocategorie debbano avere valore assoluto, sbaglia.

L'unica categoria universale che si può tirare in ballo è la correttezza grammaticale, e mi pare che l'adattamento di questo film sia grammaticalmente corretto dalla prima all'ultima frase. Tutto il resto sono parole al vento.
Forse non hai compreso il succo del discorso.
Concordo perfettamente sulla correttezza grammaticale dalla prima all'ultima frase, ma qui si tratta di "adattare", ovvero rendere un qualcosa adatto a uno scopo o conforme a un uso o a una situazione, cosa che il Sig. Cannarsi non esegue perché troppo intento a tradurre nella maniera più fedele possibile quella parola e inserirla nei dialoghi, senza rendersi conto che quella parola appesantisce e stona il resto del discorso o della frase, anche la più semplice.
Purtroppo non è solo in questo film che troviamo svarioni simili nei dialoghi, e continuare a vedere il Sig. Cannarsi puntare sulla grammatica non adeguando l'insieme per ottenere un risultato migliore, mi lascia perplesso anche per il futuro.
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Porco&Bella »

Ani-sama ha scritto:
Porco&Bella ha scritto:Nel frattempo mi è venuta in mente un altra perla che ho sentito ieri sera: "Baruffa".
Mi chiedo e vi chiedo, non vi era modo migliore nell'adattare simile parola e utilizzare un sinonimo più comune e orecchiabile per il pubblico?.
Questo è un altro dei numerosi esempi/scempi che si posso sentire nel film come in altri adattati dal Sig. Cannarsi.
Sentirò anche io l'adattamento, quando metterò le mani sulla versione home-video. Però, in linea di massima, non condivido simili critiche. Esistono parole nel vocabolario italiano forse attualmente un po' fuori uso, ma non per questo "d'élite". La parola "baruffa" è forse poco in voga (ma davvero, poi? Da bambino mi sembra di ricordare di averla sentita non poche volte), ma d'altra parte non credo che nella traduzione uno debba per forza scegliere le parole solo in base al loro essere "comuni e orecchiabili". Il discorso è sicuramente più complesso di così.
Tralasciando la parola baruffa e credendoci poco che tu l'abbia spesso sentita, per di più quand'eri bambino, ti chiedo soltanto di essere sincero e non di parte, quando una volta acquistata la versione home-video ascolterai parole come fino adesso prese da esempio, aggiungendotene un altra come "vado a recarmi" e le traduzioni della canzoni, postando onestamente le tue impressioni sull'adattamento eseguito dal Sig. Cannarsi. :wink:
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Ani-sama »

Non è una parola di tutti i giorni, ma nemmeno così estranea al vocabolario. Per inciso, dovremmo domandarci quale sia l'originale giapponese. Al posto di "baruffa", cosa c'è, in italiano? "Zuffa", forse.

Io, per il resto, ringrazio soltanto Gualtiero, perché al di là di tutti questi discorsi su "pesantezza", "colloquialità" eccetera, la fedeltà all'originale è assicurata, gli svarioni non ci sono. Mi basta questo.
Ultima modifica di Ani-sama il gio nov 08, 2012 12:53 am, modificato 1 volta in totale.
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Tuffgong »

Ben ritrovati ragazzuoli!!! :gresorr:
Sono stato in letargo un anno ma vi ritrovo nel punto in cui vi avevo lasciati: adattamento/traduzione - traduzione/adattamento! :sorriso2:
Ho più volte contestato a Gualtiero termini, locuzioni e interi passaggi alquanto macchinosi. Ho più volte letto e commentato thread incentrati sulla sottile linea di confine tra il lavoro del traduttore e quello dell'adattatore. Son sempre più convinto, però, che questi discorsi e questo sviscerare finiscano per offuscare ciò che l'autore vuole trasmetterci e che - tutto sommato - non ci apparirebbe più chiaro se al posto di "baruffa" Gualtiero avesse utilizzato "battibecco" o "bisticcio". Altra cosa della quale son convinto è la totale buona fede di quest'ultimo. Penso che la passione e la dedizione che "getta" nei suoi lavori valgano ben di più che un "naso storto" in sala. :si:

Ieri sera sono stato al cinema come molti di voi e... chapeux! Che film!
Una poesia che va al di là dei termini utilizzati.
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Tuffgong »

Porco&Bella ha scritto:Tralasciando la parola baruffa e credendoci poco che tu l'abbia spesso sentita, per di più quand'eri bambino[...]
Siamo in un forum e non ci conosciamo, dunque non avrei motivo per non essere sincero. Con Gualtiero c'è stata più di una... "baruffa" dunque non vedo il motivo e la necessità di essere di parte. :sorriso2: Bene, che tu ci creda o meno, io questo termine lo utilizzavo da bambino, lo utilizzo ora e lo utilizza anche mia figlia di nove anni. Sai, a volte termini inutilizzati da noi non lo sono per altri. Può dipendere da tanti fattori, anche dalla zona del paese in cui viviamo. Di esempi te ne potrei fare a centinaia. :wink:
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Kenrico
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Kenrico »

Sono felice della possibilità datami da questo forum, non tanto di mettermi in contatto con tale signor Cannarsi, ma per mettere a nudo la mia esperienza con delle persone che condividono con me una passione; quella per le opere del geniale Hayao Miyazaki (che per la cultura italiana si dice proprio così, eh. Hayao -nome, prima- Miyazaki -cognone, dopo).
Sono stato portato qui dal mio senso di giustizia verso l'originale giapponese e per dire quello che penso del film che ho visto ieri sera al cinema con il mio amico Porco&Bella.
Sono ormai anni che studio giapponese, traduco e adatto (anche professionalmente), do lezioni, sono in contatto con amici e professionisti giapponesi. Parlo giapponese, insomma.
Il Signor Cannarsi Gualtiero (come ama essere chiamato lui, forse, con cognome prima del nome e data di nascita partendo dall'anno, poi mese e poi giorno sulla carta d'identità) è il male dei film dello Studio Ghibli.
I film dello Studio si dividono evidentemente in due filoni, uno infantile e uno più impegnato. Il signor Cannarsi ha deciso con i suoi adattamenti strampalati e desueti di far diventare ogni film dello Studio un mattone impegnatoe impregnato di caratteristiche che non gli sono proprie. Vi ricordo, prima di continuare, che studio giapponese e uno dei principali spunti di valutazione che i professori usano per valutare le prove di traduzione è proprio la resa in italiano.
Se in giapponese la struttura della frase in grammatica prevede l'utilizzo di un rafforzativo del verbo di movimento (riferendomi proprio all'esempio del "vado a recarmi") allora il pubblico giapponese non vedrà quella scelta come forzata, altisonante o, come l'abbiamo avvertito noi tutti in sala, una porcheria, ma piuttosto un modo di concepire la frase obbligatorio. Insomma, per farla breve, se in giapponese non si utilizza quell'unione di termini non si riesce a comunicare quel che si vuole.
In italiano no. L'italiano e il giapponese non sono la stessa cosa, mio caro Gualtiero.
L'italiano è bello, ricordatelo. L'italiano non ha bisogno dei costrutti di una lingua "nuova" e "recente" come il giapponese. L'italiano ha dalla sua la forza del latino, del greco e delle altre lingue del ceppo indoeuropeo. L'italiano deve essere il nostro vanto e non si deve mai prescindere da questo quando si vuole fare una traduzione.
Ma il Cannarsi non fa traduzioni, lo so bene. Fa adattamenti. E la cosa mi fa accapponare la pelle.
L'adattatore avvicina due culture. Adatta, quindi. La lingua è l'espressione più alta di una cultura. Facendo un lavoro come quello di Gualtiero, però, non si avvicinano due culture, le si allontana. Da quel che vedo negli adattamenti io percepisco una traduzione fatta così:

Tot parole in giapponese che servono alla frase giapponese per dare il senso che altrimenti non potrebbe dare.
Traduzione letterale mantenendo lo stesso numero di parole
Adattamento cercando di mantenere il numero maggiore (o totalitario) di parole, appesantendo e rendendo il tutto desueto e lontano dalla nostra cultura.

Perché l'opera dell'adattatore è, mi si permetta di ripetermi, adattare. E adattare non si fa così. Quello per cui viene pagato Cannarsi è tradurre letteralmente mettendo in bocca ai suoi personaggi frasi che non fanno avvicinare lo spettatore B alla cultura della lingua A.
Se poi c'è un qualcosa che il maestro degli adattamenti Mario Maldesi ci ha insegnato è che l'illusione che deve dare un buon doppiaggio e adattamento è che un'opera debba sembrare nata per avere quel doppiaggio e quel parlato. Se ci immedesimiamo al meglio in quello che sentiamo e se la nostalgia (perché di nostalgia questo film è portavoce) che sentono i personaggi assale anche il nostro cuore, allora l'adattamento (come tramite dei sentimenti culturali che il film vuole portare con sé) è riuscito nel suo intento.
Sono contrito e rattristato dal vedere gente al cinema che in un momento di profondo pathos è costretta a ridere per colpa delle parole scelte dal signor Cannarsi. Le parole sono importanti, lo diceva anche Nanni Moretti (o Moretti Nanni? Nah! Siamo in Italia!) diceva in un suo famoso sketch. Non dimentichiamo di essere un popolo con una cultura che non ha niente da invidiare al Giappone, e non deve Gualtiero Cannarsi considerare l'italiano un mero mezzo per tradurre l'originale giapponese. L'italiano può arricchire e migliorare, senza snaturare, grazie alla potenza e alla ricchezza delle sue parole e della sua storia e cultura.

Pregherei Cannarsi di abbandonare la carriera da lui intrapresa, ma sarebbe chiedere troppo.
Mi piacerebbe, però, smettesse di considerare la lingua giapponese come un qualcosa di impossibile da rendere in un bell'italiano.
Si deve portare rispetto per la lingua e per la cultura che porta con sé.
Spero che le risate che ho sentito ieri al cinema le sentano anche negli uffici dirigenziali della Lucky Red.

P.S. come sono felice di poter mettere come avatar un Jigen proveniente dal grande capolavoro Ghibli che non è stato insozzato dalle brutture stilistiche fatte da Cannarsi :gresorr:
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MrGuglielmo
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da MrGuglielmo »

Salve a tutti, questo è il mio primo messaggio all'interno del forum. :)
Anch'io sono reduce dalla visione dell'ultimo capolavoro dello Studio Ghibli, visione rovinata - ahimé - dal solito adattamentucolo in perfetto stile Cannarsi.
Avrei voluto scrivere dopo Arrietty, che credo sia stato l'apogeo del delirio linguistico attualmente in corso.

Il compito di un bravo adattatore non è solo quello di adattare in una lingua straniera la parte letterale di un testo, ma anche e soprattutto quello di comprendere e recepire l'intento dell'opera e dell'autore per poterlo trasmettere in maniera esatta.

Questo significa che in una scala piramidale la traduzione in quanto tale e l'attinenza al testo originale si collocano uno o più gradini sotto la trasposizione dell'intenzione.
Se un autore intende trasmettere l'idea di "andare al mare" con un verbo che trova il suo corrispettivo in italiano, ma in italiano tale verbo è inusuale allora io, da bravo adattatore, ho il compito di trovare quel verbo che nella lingua risultante abbia semanticamente lo stesso ruolo, nonostante dal punto di vista linguistico o etimologico sia più corretta la prima opzione.

In casi come questi prendo sempre come esempio una delle deliranti frasi di Arrietty, mi riferisco all'espressione "mi è scaturito il coraggio di vivere": l'adattamento in italiano non è assolutamente corretto.
Si presume che un bambino dodicenne, istruito ed educato che legge la Comedia sappia utilizzare pienamente ed in maniera corretta la sua lingua. Un bambino di tali caratteristiche non pronuncia frasi inusitate, al massimo può creare eleganti sinestesie, una metalessi (che in questo caso, per una trasposizione più ardita, sarebbe stata perfetta) o, perché no, anche zeugmi, ma non parla a sproposito. Questo vuol dire che evidentemente in giapponese l'espressione 湧いてきた si addice al linguaggio pulito di un signorino.

La traduzione più o meno letterale in italiano di questa frase risulta totalmente artificiosa e si confà ad un ragazzino scemo che non sa parlare o, ancor peggio, ad un ragazzetto di borgata che cerca a fatica di costruire un discorso di medio livello collegando tra loro parole a caso, magari ricercate se decontestualizzate, ma sempre a caso. Questa frase in italiano non si addice ad un ragazzino colto, casomai alla sua parodia.

Quindi, Gualtiero, il tuo compito era forse quello di parodiare l'autore? No, dovevi adattarne l'intento.
E se il suo intento era quello di far uscire dalla bocca di Shō una frase pulita che esprimesse non il ritorno, ma la comparsa del coraggio di vivere potevi usare un verbo importante che in italiano e in questo contesto sarebbe stato il sinonimo più corretto di "spuntare" e "scaturire", benché etimologicamente diverso: nascere.
Questo verbo, in un costrutto più ricercato (ad esempio "Dentro di me è nato..."), avrebbe mantenuto la peculiarità del linguaggio pulito di Shō pur esprimendo il concetto originario, senza farlo risultare artificioso.

Per quanto a volte troppo arditi, gli adattatori scelti da Valeri Manera durante la sua gestione, che tanto disprezzi, non avrebbero commesso errori del genere, in quanto adattatori professionisti. Che poi fossero manovrati da esigenze di rete questo è un altro discorso, che non ha niente a che fare con la loro qualifica.

Inoltre bisogna distinguere tra opere e opere. Quando nell'intento dell'autore è irrilevante l'origine di un personaggio (ma la fa solo per esigenza, come la nazionalità giapponese dei protagonisti), non ha alcun senso (anzi è altamente deleterio) sfruttare un prodotto per riportare lo spaccato di una società o il suo modo di esprimersi. Questo è esattamente quello che fai, utilizzi questi prodotti per ostentare un'ideologia, in questo caso quella nipponica, o una fazione, in questo caso quella filonipponica. Ma ciò non ha alcun senso se il prodotto NON lo richiede.
Questo significa che non si può e non si devono affiancare opere come "Ponyo" o "Arrietty" a opere come, ad esempio, "Haikara-san ga tōru" (Mademoiselle Anne).

I primi (contestualizzati, appunto, quasi solo per esigenza) sono paragonabili alla forma letteraria della favola. Molto spesso le favole sono ambientate in posti ignoti, non in una specifica cultura, questo perché l'intento primario non è quello di far sapere che Cenerentola viva a Vaduz e quindi far capire tramite il suo modo di parlare il PIL del Liechtenstein, ma semplicemente che venga sfruttata come una serva.

Il secondo invece ha, tra i suoi scopi, quello di trasmettere caratteristiche e costumi della cultura giapponese, quindi la priorità va assolutamente anche al modo di parlare tra i personaggi.

Non puoi venire a dire quindi che per tradurre i discorsi in Arrietty hai tenuto principalmente conto della nazionalità dei protagonisti, perché in tal caso avresti commesso un grave errore. Non era necessario, era superfluo. Fossero stati cambogiani, non sarebbe cambiato nulla.

In questo caso, è chiaro.

Questo è il motivo per cui autrici come le CLAMP hanno preteso che le edizioni europee di Rayearth traducessero i nomi delle protagoniste con un nome etimologicamente comprensibile dalla cultura europea. Questo perché volevano trasmettere qualcosa sin dal nome e il loro intento era trasmettere quel qualcosa, non l'origine nipponica di talune parole.
E quando qualcuno ha provato a lasciare i nomi originali (si vedano gli OAV), le CLAMP hanno subito fatto fare retromarcia correggendo nuovamente Hikaru, Umi e Fū in Luce, Marina ed Anemone (si veda il ridoppiaggio della serie).

Prima di adattare bisogna quindi sempre distinguere qual è la priorità dell'autore: se raccontare una storia, se trasmettere una cultura o se fare entrambe le cose. Ho quasi paura che se fossi stato tu a tradurre i dialoghi in italiano di una serie come "Versailles no bara" saresti stato persino capace di far parlare in più occasioni Oscar con frasi astruse solo perché i costrutti dei dialoghi originali nipponici erano così... da francese che era, saresti stato capace di farla diventare giapponese.

In sintesi, quindi, questi adattamenti sono quanto di più deleterio ci possa essere, perché in realtà stravolgono il senso dell'opera: il messaggio dell'autore non arriva, l'atmosfera originaria non si crea, il senso della storia svanisce.

Un'opera è ben adattata quando questi tre elementi sono fedeli all'originale e il fruitore straniero li recepisce esattamente come farebbe il fruitore originario: se ciò che rimane fedele, invece, è un insieme di sillabe, allora al povero spettatore non rimane altro che un confuso groviglio di termini incomprensibili.
Nausicaa della valle del vento rimane, ad oggi, l'unico film dello Studio Ghibili adattato in italiano, con una splendida quanto nostalgica interpretazione di Paola Del Bosco. Il resto, purtroppo, deve ancora essere adattato.

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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Kenrico »

MrGuglielmo ha scritto: Quando nell'intento dell'autore è irrilevante l'origine di un personaggio (ma la fa solo per esigenza, come la nazionalità giapponese dei protagonisti), non ha alcun senso (anzi è altamente deleterio) sfruttare un prodotto per riportare lo spaccato di una società o il suo modo di esprimersi. Questo è esattamente quello che fai, utilizzi questi prodotti per ostentare un'ideologia, in questo caso quella nipponica, o una fazione, in questo caso quella filonipponica. Ma ciò non ha alcun senso se il prodotto NON lo richiede.
MrGuglielmo ha scritto: Non puoi venire a dire quindi che per tradurre i discorsi in Arrietty hai tenuto principalmente conto della nazionalità dei protagonisti, perché in tal caso avresti commesso un grave errore. Non era necessario, era superfluo. Fossero stati cambogiani, non sarebbe cambiato nulla.
MrGuglielmo ha scritto: In sintesi, quindi, questi adattamenti sono quanto di più deleterio ci possa essere, perché in realtà stravolgono il senso dell'opera: il messaggio dell'autore non arriva, l'atmosfera originaria non si crea, il senso della storia svanisce.
MrGuglielmo ha scritto: Un'opera è ben adattata quando questi tre elementi sono fedeli all'originale e il fruitore straniero li recepisce esattamente come farebbe il fruitore originario: se ciò che rimane fedele, invece, è un insieme di sillabe, allora al povero spettatore non rimane altro che un confuso groviglio di termini incomprensibili.
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da MrGuglielmo »

Quello che vorrei capissero gli utenti del forum (accaniti sostenitori di questa tipologia di adattamenti) è che, così facendo, diremo addio per sempre alla diffusione cinematografica dei film dello Studio Ghibli. Quest'ultimo film è stato proiettato solo un giorno. E il prossimo? Forse non verrà proiettato nemmeno.

La resa italiana ha pesantemente ghettizzato questi film. I film non arrivano al cuore del pubblico e, se non arrivano, non si crea il fenomeno. Questo significa che il pubblico perde interesse e, di conseguenza, la distribuzione delle opere dello Studio Ghibli si ridurrà fino a scomparire.
La cosa più avvilente è che questi film, anno dopo anno, non arrivano più al target che dovrebbe esserne il fruitore primario: i bambini. Volenti o nolenti, noi siamo il companatico. Per quanto sia brutto dirlo, questi film non nascono per noi.

Purtroppo Gualtiero Cannarsi ha distrutto la percezione italiana dei film dello Studio, etichettandoli come film d'élite. Sono diventati i film diretti a una ristretta cerchia di fruitori, tre volte più adulta di quello che dovrebbe essere il vero pubblico di queste opere.

E' triste dover rendersi conto che, se questi film avessero goduto di veri adattamenti pensati per il tipo di pubblico a cui sono realmente diretti, probabilmente avrebbero avuto lo stesso riscontro di mezze calzette come I Gladiatori di Roma.

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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da Ani-sama »

Sono arrivati i loggionisti contestatori. :mrgreen:

No, vabe', scherzi a parte, credo che Gualtiero sapra' rispondere punto per punto alle critiche che gli sono state mosse. Io, di mio, dico solo che posso tollerare mille volte una qualche artificiosita' o desuetudine o anche forzatura, se poi comunque l'effetto e' che, almeno, l'adattatore non si e' messo sopra l'autore, cioe' non ha caricato l'opera di qualcosa che essa non ha. Quella si', e' una grave forzatura.

Del resto, trovo assurdo rievocare addirittura localizzazioni notoriamente atroci come quelle Mediaset. Per avere dialoghi che scorrono bene uno stravolge le frasi e, di conseguenza, il loro significato.
Quello che vorrei capissero gli utenti del forum (accaniti sostenitori di questa tipologia di adattamenti) è che, così facendo, diremo addio per sempre alla diffusione cinematografica dei film dello Studio Ghibli. Quest'ultimo film è stato proiettato solo un giorno. E il prossimo? Forse non verrà proiettato nemmeno.
No, non credo proprio. Come la maggior parte delle persone si sorbisce gli adattamenti televisivi, sicuramente pieni di svarioni, non credo stia molto a pensare "che brutto doppiaggio" quando sente "baruffa" o "sorellona" o quant'altro. Anche perche' poi il pubblico e' piu' colpito dalla vocalita', credo. Quando si riconosce una voce familiare, ecco che uno e' quasi automaticamente felice.

Io credo semmai che la... baruffa qui sia quanto piu' di nicchia possa esistere. Tra appassionati, ben fuori dal grande pubblico.
La cosa più avvilente è che questi film, anno dopo anno, non arrivano più al target che dovrebbe esserne il fruitore primario: i bambini.
Anche questo mi sembra smentito dall'esperienza. Bambini alle proiezioni ce n'erano; alcune delle famiglie degli amici di mio fratello o sorella (piu' di una) conoscono i film Ghibli e portano i loro figli al cinema appena possono. E, come ho gia' detto, di certo questo tipo di pubblico non passa ore (peraltro in piena notte, da quanto vedo!) a lamentarsi di una scelta di localizzazione.
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Re: Dalla Collina dei Papaveri - diario dei lavori italiani

Messaggio da pippov »

Beh, adesso sono curioso di sentirlo questo abominio! :sorriso2:

Solo una cosa:
parlate di fatti e di cose che conoscete, come fate - al mio occhio del tutto ignorante di quegli argomenti - nei post precedenti.
Interventi come quello che riporto non servono a nulla, se non a costringere i moderatori a pulire periodicamente il topic.
Per capirci, gli adattamenti di Shito sicuramente si possono discutere. Le politiche commerciali, la fantaeditoria, le proiezioni di mercato, il marketing e simili, no. Perchè non ci può essere nessun riscontro effettivo, per rispetto di chi quei film li distribuisce, per rispetto di chiunque altro ci lavori e non abbia la possibilità e la voglia di venire qui a controbattere.
Ma soprattutto, perchè non ho nessuna voglia di "pulire" dopo. :tongue:
MrGuglielmo ha scritto:Quello che vorrei capissero gli utenti del forum (accaniti sostenitori di questa tipologia di adattamenti) è che, così facendo, diremo addio per sempre alla diffusione cinematografica dei film dello Studio Ghibli. Quest'ultimo film è stato proiettato solo un giorno. E il prossimo? Forse non verrà proiettato nemmeno.

La resa italiana ha pesantemente ghettizzato questi film. I film non arrivano al cuore del pubblico e, se non arrivano, non si crea il fenomeno. Questo significa che il pubblico perde interesse e, di conseguenza, la distribuzione delle opere dello Studio Ghibli si ridurrà fino a scomparire.
La cosa più avvilente è che questi film, anno dopo anno, non arrivano più al target che dovrebbe esserne il fruitore primario: i bambini. Volenti o nolenti, noi siamo il companatico. Per quanto sia brutto dirlo, questi film non nascono per noi.

Purtroppo Gualtiero Cannarsi ha distrutto la percezione italiana dei film dello Studio, etichettandoli come film d'élite. Sono diventati i film diretti a una ristretta cerchia di fruitori, tre volte più adulta di quello che dovrebbe essere il vero pubblico di queste opere.

E' triste dover rendersi conto che, se questi film avessero goduto di veri adattamenti pensati per il tipo di pubblico a cui sono realmente diretti, probabilmente avrebbero avuto lo stesso riscontro di mezze calzette come I Gladiatori di Roma.

:(
Si tratta della mia filosofia di vita. Io rispetto tutti, se qualcuno dice che Mourinho non e' meglio di lui sono d'accordo. Ma non posso vivere in questo mondo competitivo pensando che qualcuno sia meglio di me - Jose' Mourinho