Riciao!
Hai tirato fuori due discussioni che avevo attentamente letto anche ai tempi.
Mi stai facendo fare un sacco di "analisi regressiva", ma ti ringrazio davvero tanto, perché adoro la linguistica e adoro parlarne, anche se la mia consorte mi sgrida dicendo che sono solo perdite di tempo da sfigato sui forum. XD
Dunque, avrai notato che prima ti parlavo, elaborando sulle regole sintattiche, degli "aspetti" (mio abuso linguistico?) volitivo o dichiarativo/enunciativo delle oggettive in relazione ai modi e ai tempi verbali da intendersi corretti.
Riprendo i punti chiave delle discussioni che citi:
[...] una buona grammatica ti dirà che il verbo "dire", facente parte della categoria dei verbi di giudizio e di percezione, regge di norma l'indicativo.
Certo, si potrebbe obiettare - giustamente - che talvolta anche questi verbi reggono il congiuntivo: 1) quando assume senso volitivo ("mi disse che non mi dimenticassi di comprargli il giornale); 2) quando assume un senso eventuale ("dicono che sia morto"); in una frase negativa ("non dico che non sia comprensibile"); 4) in una frase negativa ("chi mi dice che sia comprensibile?).
Già questo discorso ti fa capire che l'aspetto di una proposizione non è categoricamente vincolato al verbo nella sua essenza, ma nel suo uso: "dire" è genericamente dichiarativo, ma può usarsi in aspetto volitivo, o d'opinione.
Procediamo, perché il nostro vero caso è:
"Ritengo che sarebbe giusto che l'incaricato settimanale corra"
Nella frase realmente in caso,
il verbo reggente della principale *non* è "dire", ma "ritenere".
L'uso di quel verbo restinge chiaramente il contenuto della subordinata di primo grado, una oggettiva dichiarativa/enunciativa, all'ambito dell'opinione. Ovvero, come nel caso del "senso eventuale", c'è un ambito di incertezza, di opinabilità. Questo induce all'uso di un congiuntivo o di un condizionale presente, da consecutio temporum (caso della contemporaneità). Tra i due, il congiuntivo presente su reggente indicativa presente comporta una contemporaneità "perfetta" che intrinsecamente sottende che le cose siano già come si dichiara opinabile - cosa che volevo evitare e che si evita con l'uso del condizionale sempre presente, che proprio in virtù della sua portata condizionata ha un leggero tocco di "futuribilità ideale".
Quindi siamo arrivati alla correttezza della principale con la sua subordinata di primo grado, ovvero:
"Ritengo che sarebbe giusto che"
Poi, sempre negli esempi da te addotti:
La regola è che quando nella reggente c'è il condizionale presente di un verbo di opinione ecc., il verbo della subordinata oggettiva va al congiuntivo presente (penserei che sia), ma nel caso di verbi indicanti volontà o desiderio viene usato il congiuntivo imperfetto (vorrei che fosse). Nel caso poi di un'oggettiva retta da dire, in questo caso verbo di giudizio, si usa l'indicativo (dico/direi che è), ma si può usare il condizionale quando l'azione è legata a una condizione, a un'ipotesi, anche sottintesa (direi che potrebbe andar bene un Orvieto classico [,se il pranzo è a base di carne]).
Come vedi, proprio nella "tua fonte", si da ragione alla mia resa, perché nella frase in esame NON abbiamo né un verbo dall'aspetto/contenuto "volitivo", né il vero "dire" o un dichiarativo/enunciativo puro. E' palese che "sarebbe giusto" sia un costrutto che costituisce un "verbo di opinione", tanto più quando è a sua volta retto dalla principale "ritengo". Tipicamente, la regola "condizionale presente > congiuntivo imperfetto" viene dal fatto che nella stragrande maggioranza degli usi, specie NON retorici, il condizionale presente nella principale si usa per enunciati volitivi, che chiaramente rendono irreale il contenuto nella oggettiva subordinata (se voglio qualcosa, si vede che ancora quella cosa non è in atto), da cui -> congiuntivo imperfetto. Ma ribadisco dunque, la tua fonte dice:
"La regola è che quando nella reggente c'è il condizionale presente di un verbo di opinione ecc., il verbo della subordinata oggettiva va al congiuntivo presente (penserei che sia)."
In totale onestà, e partendo dal presupposto che queste fonti non sono testi attestati (lol), ma singoli individui, io per uno non sono del tutto convinto che "le regole" siano come qui si dice, anche se "mi darebbero ragione". Potrei dire che, nel nostro discutere, tu portando quelle fonti si sei fatto un autogol, e io per contro non sono sicuro che il pallone sia entrato in rete.
Questo per me è doveroso, perché in totale onestà, come ti dicevo, su quella frase ho continuato ad avere dubbi anche se di testi e libri ne ho consultati parecchi (dislocazione!), sui quali ho rivenuto non pochi "conflitti" tra regole di consecutio e reggenze modali, che poi si intrecciano fra loro - specie con due subordinate tra loro subordinate.
Proseguendo nella discussione che tu stesso riporti, poi, qualcuno ammette l'uso del condizionale anche dopo il verbo "dire", come "forma di cortesia". Questo è quello che anche io introducevo come forma di "retorica", se ricordi. Infatti alla fine, in assenza di una norma sintattica chiara e univoca, mi sono risolto a pensare a una "constructio ad sensum" in cui ho valutato gli aspetti sia della reggente principale sia della subordinata reggente di subordinata, nonché del tono retorico implicito nella variazione soprattutto diafasica del dialogo.
Davvero, ti ringrazio tanto per il bel dialogo - dico ora il nostro, qui.