In realtà Shun è il mio nick usuale da tanti anni (non c'entra niente con Saint Seiya... a posteriori è un mix tra il giapponese Shin e il Sunyata del Buddhismo), Twistor l'avevo messo così perché suonava carino Gentilmente Heimdall mi ha permesso di cambiarlo.Il mio problema nella lettura di Shun (ma non era Twistor?) è che benché il suo discorso sia ben documentato e argomentato, lo trovo sempre troppo strutturato.
L'importante è che sia chiaro il punto del mio discorso.
Sì, ma leggendo i post che hai scritto finora ciò che emerge è sempre e solo “non si deve fuggire” + “ci si deve adattare”.Però, però... il mio saggio, che non sarà un saggio "su Takahata Isao", ma "sul significato ovvero sul messaggio degli ultimi cinque film animati di Takahata Isao" non lo intitolerò "Ci si deve adattare!", ma "Non si deve fuggire!".
Cito: Takahata sicuramente crede nell'adattamento e nella rinuncia dell'idealismo come apertura alla vita, SEMPRE E COMUNQUE.
Oppure: Quindi, anche ammesso che la vita di corte non sia una figata per Kaguya, perché Takahata avrebbe dovuto "dare ragione" alla sua inadattabilità, facendole dire "io dovevo vivere come un'animaletto?". E in effetti, come dicevamo al punto soprastante, Kaguya rimpiange sé stessa e il suo rifiuto/fuga, non l'ambiente in cui pure è stata forzata.
E ancora: E gli animali vivranno da animali, e gli umani vivranno da umani, e tutti vivendo proveranno gioie e dolori, ma bisogna adattarsi e sopportare e tirare avanti sempre, perché questa è la vita, e così dev'essere, finché non termina naturalmente (la vita del singolo) e si rinnova in nuove nascite, così perpetrantodosi e eternizzandosi (la vita in sé).
Per non parlare di questo: Potrei intanto dire chi ama i tragici greci, o i miti greci, sa che il ratto della fanciulla è il principio di un sacco di vita, spesso anche di felicità. Nessuno ha mai chiesto ad Andromeda se Perseo le garbasse davvero, e a nessuno è mai interessato. Questa sì, forse, è una radice etologica della sociologia umana. Tanto poi nella dinamica domestica di quei due sicuramente Andromeda avrà soverchiato Perseo, no? Sono certo che anche Yamada Takashi lo sa.
E anche: alla fine della storia Kaguya si pente. Fino all'ultimo, si pente amaramente. Dopo aver rifiutato i suoi pretendenti sin all'imperatore, dopo aver invocato la morte ed essersi già pentita di tutto, dice al suo caro amico d'infanzia Sutemaru che anche venire pestati a sangue "non fa niente", anzi "va bene così" fintanto che "si ha la sensazione di essere vivi". Il che torna col discorso generale che la vita sono gioie E DOLORI, non solo le gioie. Anche i dolori sono vita e vanno amati per questo. Questo dice Kaguya alla selenita. Come dire: "stai per lasciare questa valle di lacrime [e tornare al mondo privo di turbative emotive]" e lei ha infine capito che "no, piangere è bello, perché è un'emozione!"
Se è vero che anche tu osservi correttamente che Kaguya si pente di aver chiamato la morte perdendo così la vita con tutte le sue possibilità, ed è dunque questo il rimprovero di Takahata nonché il nucleo del film, secondo me poi ti perdi troppo a parlare dell’adattamento. Come chiunque può evincere leggendo i post precedenti parli esclusivamente di adattarsi, tant’è che la scena del dialogo e del volo con Sutemaru la analizzi solo secondo due direttrici:
1) Scena utile a dare un assaggio di vita a Kaguya prima della dipartita;
2) Dialogo in cui Kaguya dice che anche venire pestati a sangue "non fa niente", anzi "va bene così" fintanto che "si ha la sensazione di essere vivi".
Tutto il discorso sulla felicità e sulla possibilità di realizzazione di questa anche attraverso la libera scelta individualistica è assente. Eppure Kaguya non dice solo “non fa nulla” e “percezione di essere vivi” ma dice anche “avrei potuto trovare la felicità”. In quella scena parla di felicità ben tre volte.
KAGUYA: fossi stata con il fratellone Sutemaru io... forse... avrei potuto trovare la felicità.
KAGUYA: Proprio così, non è nulla... se si ha la percezione di essere in vita... di sicuro avrei trovato la felicità.
KAGUYA: Vi prego fatemi stare qui solo un altro poco! Con la felicità di vivere e gioire su questa Terra!
Nella tua analisi la felicità quasi non compare e quando compare risulta esclusivamente subordinata all’adattamento, giacché non fai mai menzione di possibilità individualistiche e non analizzi la scena con Sutemaru in modo esplicito. E ripeto, non parlo di egocentrismo o individualizzazione sfrenata. Eppure questa è l’unica scena per cui Takahata ha scritto un concept, mentre per i pretendenti e per il Mikado non ha scritto nulla.
E infatti è quello che ho scritto. Il discorso di Takahata è a monte, non a valle. Il nucleo di Kaguya hime, ovvero il rimprovero di Takahata, è che Kaguya ha chiamato la morte su di sé rifiutando TUTTE le possibilità che ci possono essere in vita, quindi anche quelle di libera scelta personale.Ovvero, io credo che il punto comune al messaggio dei film di Takahata,da Seita a Kaguya, non sia la "necessità di adattamento", ma "il non rifiuto, la non rinunzia alla vita umana, nella sua naturalità individuale e sociale". Non rifiuto, non rinuncia, ovvero - nelle mie parole - NON FUGA. Perché fuggire dalla vita" è un po' come "rifuggire la vita", no?
Esatto. Ma questo lo stai scrivendo esplicitamente adesso. Nei post precedenti mica hai scritto che Kaguya poteva dialogare con il padre cercando una mediazione, oppure ribellarsi in modo commisurato alle proprie possibilità. Ora non dirmi che non è così, please.E credo che questo "non rifuggire la vita" si declini in modi diversi a seconda delle condizioni. In una condizione di vessazione obiettiva come quella di Seita, chiaramente, la "non fuga" è il tenere duro, è l'adattamento a una condizione di vita più dura, più grama rispetto a quella a cui si era abituati. Chiaramente ancor più per i tanuki la non-fuga dalla vita è "adattamento" al cambiamento, in un modo che sta a cavaliere tra la sociologia e l'evoluzione naturale, quasi.
Ma per Taeko e Kaguya non si tratta di questo. Sono entrambe, con tutte le diversità storiche, due ragazze fortunate e viziate dal benessere. Per loro la non-fuga è il non rinchiudersi, il non rintanarsi nella rigidità di idealismi infantili che conducono al rifiuto dell'offerta di vita reale, anzi, precludono anche alla ricerca di una strada propria, ma vera!
Come diceva il mio amico Fabio Palumbo, sarebbe come un annullamento della "voglia di vivere" (wille) di cui Schopenhauer a totale sbilanciamento verso l'umana, individuale, solipsistica "rappresentazione" del mondo: il "giocare alla campagna di Taeko", il diorama bucolico dell'infanzia di Kaguya. Ma queste cose sono in realtà manifestazioni dell'istinto omeostatico ovvero mortifero che pure è latente nella psiche umana.
Quindi se Seita avrebbe "solo" dovuto tener duro, per sopravvivere alla guerra e continuare a vivere durante e dopo, Kaguya avrebbe forse potuto accettare uno dei suoi pretendenti, oppure magari dialogare col padre (che sempre l'adora) e così cercare una mediazione tra la vita che era stata predisposta per la sua adultità e quella a cui si sentiva di aspirare, oppure magari ancora cercare una via del tutto individuale, ribelle, ma commisurata alle sue reali possibilità.
Proprio questa è la critica che ti muovo. Sta tutta qui la differenza tra la mia e la tua interpretazione.
Ti ricordo che a Sayonara no Natsu hai risposto:
E col senno di poi, aveva assolutamente ragione.Ti do al volo uno spunto: a te nel film l'imperatore non sembra una persona del tutto genuina?
Quando alla fine lui lascia Kaguya come lei gli chiede, non mi colpisce tanto il fatto che lui, l'imperatore, si "abbassi a obbedire", quanto il fatto che poi le dice "credo comunque che per te la cosa migliore sarebbe divenire mia". Mi pare totalmente sincero, in quella frase. E col senno di poi, aveva assolutamente ragione. Nella situazione in cui Kaguya versava, certo il rifiuto dei cinque pretendenti macchietta era forse ancora comprensibile, ma rifiutare l'imperatore, nel momento in cui Kaguya comunque non aveva dimostrato la forza per spiegarsi al padre e perseguire una sua propria realizzazione di vita (essendo abbiente e amata in famiglia di certo avrebbe potuto cercare una SUA mediazione), l'imperatore sarebbe stato un ottimo partito "di vita". Tant'è che Takahata, coerentemente al Taketori Monogatari, ce lo fa vedere nel finale, affranto, che osserva la dipartatita di lei.
No, non ci siamo proprio. “Assolutamente ragione” no, “relativamente ragione” va già meglio.
Takahata non fa mai un discorso a valle. Il punto del film è sempre e solo a monte.
Nella situazione in cui Kaguya versava l’errore è stato sempre e solo l’aver chiamato la morte su di sé. È solo questo l’errore. Anche quando lei si arrabbia con se stessa – "ma io su questa terra cosa mai mi sono messa a fare? Solo stizzirmi dicendo no al divenire proprietà di qualcuno. Ho soltanto calpestato i desideri di mio padre, ingannando il mio stesso animo con piccoli campi e monti fasulli." – non è assolutamente certo che lei si rimproveri per non aver detto sì al divenire proprietà di qualcuno, bensì è anche plausibile che lei si rimproveri per aver perso tempo a fare quel gioco (stizzirsi, dire no, calpestare, diorama) anziché mettersi a progettare attivamente qualcosa, ad esempio dialogando con se stessa e con i genitori.
Kaguya non aveva dimostrato la forza per spiegarsi al padre e perseguire una sua propria realizzazione di vita, è vero. Ma il discorso a posteriori per cui l’Imperatore sarebbe stato un ottimo partito di “vita” è vero solo a metà. Infatti l’errore di Kaguya non è l’aver rifiutato il Mikado, ma è l’aver desiderato di “non essere più qui”. Questo è l’errore.
Per fare un esempio concreto è come se una persona che subisce una violenza (bullismo, stupro, etc.) non regge e si suicida inevitabilmente, quando invece dovrebbe resistere, superare l'evento (magari con aiuto psicologico) e poi trovare la propria felicità. Il punto non è "adattarsi ai bulli e allo stupratore tanto è tutta vita", bensì il punto è "farsi forza per resistere a queste disgrazie, quindi superare l'evento e cercare attivamente la propria felicità". Dubito fortemente che Takahata sostenesse la violenza domestica, d'altronde Takashi Yamada afferma che: “Per quanto orribile un comportamento, fino a quando questo non sia il prodotto d'una cattiva intenzione, rassegnandosi, si può perdonare…!” La rassegnazione, la sopportazione e il perdono per mantenere la stabilità della vita in famiglia non sono applicabili indefinitamente contro ogni “orribile comportamento”, una soglia c’è ed è quella delle cattive intenzioni. Poi che nell'epoca Heian il Mikado avesse concubine che non si sono suicidate perché avevano ritenuto che quella condizione fosse un buon compromesso, oppure che esistessero donne pazienti come la prima moglie di Ishitsukuri non lo metto in dubbio, anzi come ho scritto nei commenti precedenti anche questi adattamenti fanno parte del film. Il problema è che tu hai polarizzato l'interpretazione in tale direzione.
Se Kaguya avesse semplicemente rifiutato l’Imperatore senza spezzarsi rivolgendosi disperatamente alla morte, i seleniti non sarebbero arrivati, lei sarebbe rimasta in vita e avrebbe potuto aprirsi alle possibilità della vita, cercando la propria felicità tra adattamento e libere scelte. Anche questo è un discorso a posteriori ugualmente valido. Però lei capisce troppo tardi questa cosa perché così vuole il pattern del Taketori monogatari. Takahata ha cambiato molte cose, ma il pattern rimane quello del racconto.
Qui sono d’accordo.E invece no, perché la storia di Kaguya, nel film di Takahata, è una storia di rifiuti e chiusure successive. Tutte le cose che Kaguya "prova a fare" sono bambinate, sono scatti d'ira infantile, non è mai niente di edificante. Dapprima fa i capricci e rifiuta l'educazione cortese alla quale pure sarebbe stata portata (il talento per il koto), poi scappa come una pazza, ma quella fuga è tanto effimera che non si capisce neppure se sia un momento reale o sovrannaturale. Cosa impara? E ingannare il tempo, a giocare a nascondino con la vita.
Riguardo il volteggio sotto i petali di ciliegio stai polarizzando l’interpretazione. La cosa si può vedere anche in un’altra ottica: Kaguya gioisce sotto i petali perché è se stessa, ma quando riceve le scuse e vede i bambini correre si incupisce perché si rende conto che non sta più vivendo a modo suo. Tuttavia non se ne rende conto in modo davvero sensibile come avviene dopo aver invocato la morte. Ancora una volta il punto non è che lei non si sta adattando a corte, il punto è che lei è diventata passiva, quasi sedata.Manda a spasso cinque disgraziati, crede di essere tanto in gamba e di essere tornata bambina, ma quando volteggiando sotto i ciliegi inciampa in un neonato chiedono scusa a lei.
Sì, direi che vive passivamente.Vede Sutemaru che viene pestato e non alza mano o voce. Si fa il giardino dell'otaku, che poi distruggerà rendendosi conto che "il suo gioco" è costato la vita di un giovinetto. Allora poi si rinchiude in casa tipo hikikomori, e quando arriva persino l'imperatore a desiderarla (il suo "abbraccio" mi pare metafora di uno stupro, onestamente), lei invoca persino il ritorno al nulla - ovvero si suicida.
Essenzialmente, da dopo il fagiano un poi, Kaguya è una ragazza viziata che "non ce la fa a vivere", né a modo suo né a modo altrui.
Ma non importa se è reale o simbolica, ciò che importa è che Takahata ha inserito questa scena, con tutti i dialoghi.Quanto alla scena della riunione con Sutemaru, a parte che mi piacerebbe tradurre più puntualmente le fonti citate da Shun, credo che il punto sia che una volta pentitasi amaramente del suo errore a "non aver vissuto la sua vita", Takahata decide di inserire una scena in cui Kaguya prima della morte ha almeno un singolo assaggio della vita che non è stata in grado di gustare appieno.
L'abbraccio tra i due in cielo mi è sempre parso una metafora dell'atto sessuale umano. Lei che riceve lui, lui che praticamente "entra" in lei. Una cosa molto naturale.
Ma anche tutta quella scena, come la prima rabbiosa fuga di Kaguya, vive sul filo del simbolismo allegorico e surreale. Volano davvero? O fanno solo l'amore nel bosco? Tabimba di certo non saliva le scale del cielo dopo il suo strike sui giorni nuvolosi.
Sì avevo notato la presenza di una ragazza simile, tuttavia ripeto: non sappiamo niente di come si è svolta la relazione tra Sutemaru e la ragazza. Nulla.Ah, la moglie di Sutemaru si vede nella prima parte del film, se ci fate caso, è la bambina più taciturna e arruffata del gruppo.