Raghnar ha scritto:Ani-sama ha scritto:Anche perché altrimenti parlare diventerebbe più complicato di fare matematica, dove al contrario l'attribuzione di un significato preciso ad un dato termine è necessaria e anzi irrinunciabile (questo peraltro crea delle terminologie a volte al limite del ridicolo, tipo "arboricità"
).
Questo si chiama filosofia.
Però sono d'accordo con lui nell'affermare che forse bisognerebbe ricercare una certa "onestà di linguaggio" senza arrivare magari a un rigore filosofico ovviamente. Concordo nel dire che i fumetti non sono "d'autore" e "commerciali" sono semplicemente "belli" o "brutti". Un autore una sua nicchia commerciale se la trova sempre, proprio perchè "autore" professionista non è che scrive (almeno non solo, almeno non sempre) per l'amore e l'arte ma ha in mente una destinazione commerciale (almeno spesse volte).
Spesso sono meno commerciali prodotti (fumetti...etc...) di autori emergenti che scrivono egoisticamente unicamente per loro stessi e la destinazione commerciale viene attribuita in un secondo momento.
Quindi beh, che senso ha chiamare "commerciale" e "d'autore" un fumetto che non puoi sapere se è stato fatto seguendo il cuore dell'autore o analisi di mercato?
In ogni caso, per me l'importante è capisse, e anche se posso essere d'accordo con una purificazione del linguaggio da queste forme improprie tranquillamente eliminabili e cerco di non usarle, non è che vado a stoppare un discorso interessante per ammonire la semantica del mio interlocutore, una volta che riesco a capirla... Sarò un po' eudemone, ma pazienza
comunque beh, si sta esulando un tantino dal topic, di certo non è stato il cuore dell'autore a disegnare quelle vignette... ^^'
Shito ha scritto:La cosa DAVVERO terribile, se ci avete mai pensato, e per rendere ancora più chiaro il sacrosanto messaggio di Raghnar, è che dire "d'autore" è in effetti una trovata commerciale. Ovvero serve a massaggiare l'ego dei facente parte di una nicchia di persone che si sentono bene a dire (a loro stessi, in primis) che loro leggono fumetto d'autore, eh! Mica cavoli!
Lo stesso vale per il cinema, per l'arte, per tutto o quasi. Ovvero, posto che esistono cose belle e brutte, questo implicita che per giudicare bisognerebbe avere la necessaria cognizione di causa e la FORZA per emettere un giudizio sensato. Cosa che in pochi hanno. Quindi, a scopo commerciale, si inventano le categorie -spesso del tutto fasulle anche a livello meramente logico- perché nella determinazione fasulla i consumatori si sentono bene. Cosa è 'di lusso', cosa no, cosa è 'd'autore' e cosa no. E' una forma di indottrinamento al consumismo. Per vendere bisogna individuare dei target, sapete? Miyazaki per primo, in occidente e in Italia, ne è vittima. 'Venduto' come OH-MIO-DIO-IL-GRANDE-POETA a un certo tipo di pubblico che si 'sente bene' a pensarsi 'amante della soave poesia d'oriente'.
E invece è un onesto, intelligente, e semplice narratore per l'infanzia (principalmente e per vocazione), artigiano di un mezzo espressivo nato quando un paese era ancora povero abbastanza per vare 'il lavoraccio' per altri paesi, in primis l'America, dove già si 'creava senza produrre realmente'. E infatti ora il Giappone esprorta il lavoro d'animazione nei paesi più poveri, è la stessa cosa.
Tornando ad Anisama.
Vogliamo parlare di linguaggio?
Il linguaggio si basa sull'inconscia presunzione che il sistema di significanti-significati sia comunemente biunivoco per tutti i comunicanti. Ovvero, che tutti intendano medesimo significato per medesimo significante. Anche se la lingua reale è un sistema funzionalistico in se, e tende alla massima efficienza (in senso 'scientifico), comunque questo sussunto di base resta implicito, ovvero 'si fa come se fosse così'.
Capisci bene, quindi, che la discomunicazione nasce proprio dall'essere impreciso della lingua. Il 'giocare a capirsi' funziona davvero solo con un minimo di rigore (che non significa ricchezza lessicale, significa chiarezza del valore di ogni parola).
E' anche per questo che combatto. Discomunicare è peggio che non comunicare, a mio dire.
Rag: no, non sei eudemone nella non correzione del prossimo. Perché alla fine, se tu hai capito, TU 'stai apposto', ma l'altro ha sbagliato, e non sa di averlo fatto. E tu, che invece lo sapevi, non hai fatto nulla per lui che captare la sua benevolenza. Quindi non corregendolo ma compiacendolo compi un atto di egoismo puro. E' una cosa tipica della nostra epoca, che è arrivata in profondo sin nei rapporti sentimentali. In realtà è la solitudine reale della debolezza. Ovviamente, c'è più amore nel farsi odiare per la correzione che nella debolezza del 'farsi amare' per captatio benevolentia. Non parlo qui di te, si capisce, ma prendo il tuo leggerissimo spunto. Scrissi una volta che "Ogni amore reale deve vivere del coraggio di farsi odiare, altrimenti è solo brama di ricevere benevolenza".
"GET A LIFE!"
ok scusate! scusate! non voleva essere offensivo ma... mi è uscita troppo spontanea!!!!