Mmm, dico la mia.
La prima volta che ho visto il film, come al solito, ho pensato bene di documentarmi il meno possibile, in modo da godermi appieno l’impatto nudo e crudo della proiezione, senza preconcetti di sorta.
In questo caso arrivavo alla Biennale con un bagaglio di qualche immagine e poco altro.
Sapevo che era di Kon (di cui avevo visto tutto) per cui una certa aspettativa c’era. Ma nulla più.
Forse c’era il desiderio di vedere qualcosa di assolutamente meraviglioso e nuovo come Millennium Actress.
Sta di fatto che dopo 5 minuti le sensazioni di dejavù era così tante che già cominciavo a temere il peggio: plot, chara, ost (uhuhuh, altri termini visigoti da aggiungere?) tutto sapeva di già visto.
La prima cosa che ho pensato è stata: “Ok, Kon al quarto film comincia a ripetersi, stiamo messi bene.”
E la seconda, di conseguenza: "Vabbè, prendiamo sto film così come viene e gustiamo quello che di buono potremmo trovarci."
Innazitutto, di cosa parla? Non parlo della trama ma del messaggio veicolato da questa.
Secondo me il tema è quello del “retro della medaglia”.
Kon dà un nome a questo lato oscuro: lo chiama “sogno”, inteso, però in un senso più ampio rispetto a quello di uso comune. Il personaggio in cui la dualità è più marcata è senza dubbio quello della dottoressa, ma tutti i protagonisti (e nel delirio finale, l’intera umanità) hanno un proprio alterego.
E’ una dimensione che ci appartiene e da cui non possiamo staccarci: è come un’ombra.
Possiamo far finta che non esista, possiamo esserne sopraffatti, possiamo conviverci con un certo equilibrio, ma non possiamo in nessun caso liberarcene.
E’ un aspetto così profondamento incarnato nel nostro essere che a volte ci spinge a chiederci se non sia più reale della nostra realtà (non lo dice Paprika stessa alla dottoressa?).
Qualcuno potrebbe addirittura non rendersene conto, relegando questo "altro sé" nell’inconscio, senza riuscire a controllarne il riaffiorare episodico. Però quest'ombra c'è e, volenti o nolenti, prima o poi farà sentire la propria presenza.
Ognuno la vive in maniera diversa e vi accede, di conseguenza, secondo vie proprie e personali: per qualcuno potranno essere i sogni veri e propri, per qualche altro i fantasmi del passato, per alcuni l’incontrollabile pulsare dei propri vizi, per altri ancora la fuga dalla realtà, per altri, infine, l'arte o l'immaginazione.
E allora abbiamo l’assistente del dottor Tokita che diventa una delle bambole che costruisce in casa, la fredda dottoressa Atsuko che si trasforma nella libertina Paprika, l’investigatore Konakawa che si confronta su una pellicola con l’ex compagno di scuola o Tokita che da “bambino intrappolato nel corpo di un genio”, gira come un robottone con tanto di lanciamissili.
L’ombra, il sogno, è qualcosa di privato, incomprensibile per chiunque estraneo, “sacro” come lo definirebbe il Presidente in carrozzella.
Non rappresenta solamente ciò che non si è e si vorrebbe essere, ma anche ciò che si è stati ed ora non si è più, oppure ciò che si poteva essere.
Si dilata nel passato e nel futuro, anzi, in tutti i possibili passati e futuri.
Il messaggio che, forse, vuole trasmettere Kon è proprio questo: l’ombra è parte inscindibile di noi e non importa quale sia il nostro rapporto con essa. Sappiate però che l’equilibrio dell'universo si fonda proprio sulla sua presenza come controaltare del mondo fisico.
Ed infatti è quello che dice Paprika prima dell’attacco finale al Presidente (caos e ordine, luce e ombra, uomo e donna, blablabla). L’alterità garantisce la vita.
La questione realtà, finzione, cinema, internet sono solo manifestazioni di questa ombra e porte per accedervi, come dicevo prima.
Anche la trama finto-poliziesca (con tanto di investigatore) è solo un pretesto per portare avanti ben altro discorso: infatti scopriamo fin da subito l'identità di Paprika, del primo responsabile del furto dei DC mini, del capo dei cattivoni. Praticamente nessun colpo di scena.
E' come l'intervista del giornalista all'attrice di Millennium Actress, un modo come un altro per dare una consistenza alla trama.
Ma tutte queste cose Kon le dice chiaramente nel film, non serve manco interpretarle, secondo me (non per nulla ho citato, con i buchi di memoria che mi ritrovo, le stesse frasi dette dai personaggi).
Peccato, però, che Kon avesse già trattato un tema simile (magari con un taglio più negativo) in Paranoia Agent.
Anche lì la “componente paranoica” si manifesta in ciascuno dei protagonisti in maniera diversa (fuga dalla realtà, vendetta, falso perbenismo, rimpianto, vera e propria malattia) fino ad assumere una consistenza ed una realtà propria che sfugge al controllo degli stessi (spesso inconsapevoli) creatori.
Come Shonen Bat da semplice fantasia di una bambina diviene una forza incontrollabile che arriva a distruggere un’intera città, così la parata orgiastica risucchia i sogni, le ombre di tutti, inglobandoli in un magma informe e senza significato.
Nel caso di Paprika l’artificio narrativo che permette una vera e propria fusione tra realtà e sogno e sembra rendere tangibile la propria ombra è rappresentato dal DC Mini: anch’io ho trovato abbastanza semplicistico, una soluzione di comodo adottata da Kon per rendere subito accessibile a tutti “l’altro mondo”.
Probabilmente i tempi di un film non sono quelli di una miniserie, in cui la presa di coscienza può essere graduale, per cui di meglio forse non si poteva fare. Resta però, almeno in me, una sensazione di incompiutezza e di scarso approfondimento.
Detto questo il mio giudizio sul film è comunque abbastanza negativo.
Kon rimane sempre un maestro nel calibrare i tempi di intercalazione tra i vari piani narrativi, mantenendo alto il ritmo per tutta la durata del film e la sua capacità visionaria è davvero unica.
Ma credo che debba trovare la maniera di rinnovarsi sia nei temi che nelle sceneggiature.
Vabbè, basta così, parliamo di cose serie
Haku ha scritto:Sapete no che "Sogni di ragazzi" è il prossimo film di Kon vero?
Uh?
Ma quale delle due versioni? Con o senza ragazza?