Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Discussioni su gli autori e gli anime Ghibli e Pre-Ghibli

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nodisco
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da nodisco »

tasuku ha scritto: lun dic 17, 2018 1:54 amNon credo si possa paragonare un autore volgare (e, come ovvia conseguenza, popolare) come Shakespeare ad un intellettuale come Takahata.
Il paragone IMHO sarebbe un po' forzato sia per la distanza temporale che per i rispettivi campi artistici, sebbene entrambi si siano occupati della stesura di dialoghi e sceneggiature.
Anche Shakespeare comunque rientra a pieno merito nella definizione di "intellettuale", su questo non penso ci sian dubbi. Tu cosa conosci ed hai letto di lui, fra poesie, sonetti e opere teatrali?
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Sayonara no Natsu
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Sayonara no Natsu »

Salve a tutti, ben ritrovati!
Sperando sarà questo il primo post che aprirete, mi libero dagli impicci scrivendo qui due parole di spiegazioni. Brevissimamente, diciamo che, come forse vi sarete già accorti, ho voluto pubblicare una manciata di post contemporaneamente. Già da un po' desideravo riprendere alcuni messaggi che avevo accantonato ma che continuavo a trovare sempre interessanti, sebbene forse piuttosto inadeguati al luogo, sia per temi sia per prolissità. Alla fine, considerando pure che il forum si è ormai quasi spento del tutto, ho pensato che sarebbe stato in un certo senso carino portarli finalmente a termine come sorta di mio ultimo contributo per un luogo per me in fondo importante, e con l'occasione ho ripreso anche un paio di discorsi interotti tempo fa. :)
A questo punto non mi resta che auguare buona lettura ai pochissimi rimasti ma soprattutto buona fortuna a chi avrà il coraggio di provare a seguire i miei infiniti sproloqui. XD

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Parecchio tempo fa riportai le mie perplessità sulla scelta di tradurre una probabile espressione idiomatica russa presente in Delitto e castigo (o meglio, Il delitto e la pena) con "ti faccio vedere i sorci verdi" sebbene quest'ultima sia un'espessione nata durante il fascismo mentre l'opera di Dostoevskij è degli anni sessanta dell'ottocento. Ora, quasi sicuramente non se lo ricorderà più, ma il mio professore d'italian... ehm, volevo dire Nodisco si mostrò in qualche modo interessato alla questione e mi sembra che anche lui alla fine si chiese come fosse in originale. Da bravo matto, in questo tempo ho provato a risolvere la questione e in questo messaggio vi espongo quello che sono riuscito a capire finora. ^^

Innanzitutto, giusto per mettervi al corrente delle mie peripezie (XD), ho cercato e ricercato una qualche versione che avesse una traduzione in italiano o in inglese a fianco, dato che, beh, non conoscendo un'acca di russo non avrei saputo trovare la frase che mi interessava, ma niente (un sito riportava i capitoli tradotti esattamente fino, indovinate un po', al capitolo subito prima di quello che mi serviva...........). Alla fine mi arresi, e dopo aver perso dell'altro tempo per trovare la versione russa, arrivai QUI. In qualche modo, grazie ai traduttori automatici, sono poi riuscito a trovare la parte incriminata, che è questa:
— ...Так вот же тебе, почтеннейшая Лавиза Ивановна, мой последний сказ, и уж это в последний раз, — продолжал поручик. — Если у тебя еще хоть один только раз в твоем благородном доме произойдет скандал, так я тебя самое на цугундер, как в высоком слоге говорится.
Dopo essermelo ricopiato sul cellulare, sono andato da un'amica di famiglia russa, nonché insegnante del corso di russo che avevo cominciato a frequentare, e le chiesi una traduzione estemporanea senza alcuna "pettinatura", che vi riporto.
-... Allora ecco per te, rispettabilissima Laviza Ivanovna, la mia ultima sentenza/il mio ultimo discorso, e ormai questa è per l'ultima volta, - continuò il tenente. - Se da te ancora una sola volta nella tua nobile casa avverrà uno scandalo, a questo punto io ti manderò al fresco/in prigione, come si di dice in alto stile.
La parola incriminata è "цугундер" (tsugunder), che a quanto sapeva si tratta di un termine di origine tedesca a cui si legano certe espressioni idiomatiche ma che dovrebbe significare essenzialemente al fresco, nel senso proprio di carcere (noi diciamo sbattere al fresco...). Mi pare che anche in originale si tratti di un'espressione bassa, popolare, un po' rude, e infatti subito dopo è come se il tenente aggiungesse sarcasticamente "scusate il francesismo".

Questa interpretazione sarebbe coerente con un'altra traduzione che ho trovato, stavolta inglese:
... So I tell you this, most respectable Luise Ivanovna, and I tell it you for the last time," the assistant went on. "If there is a scandal in your honourable house once again, I will put you yourself in the lock-up, as it is called in polite society.
Tutto risolto felicemente, allora? Non proprio, perché in un'altra versione italiana (La biblioteca di Repubblica, trad. di Cesare G. De Michelis) oltre a fornire un'ennesima traduzione diversa, aggiunge anche certe informazioni che confondono ancor più le cose:
... Allora, spettabilissima Lavìza Ivànovna, eccoti la mia ultma parola, e sia detto per l'ultima volta, - proseguì il tenente. - Se da te, nella tua casa dabbene capitasse un altro scandalo, anche un'altra volta soltanto, io ti faccio un mazzo così*, come si dice in maniera fine.

*Lett.: "ti [mando] proprio al cugùnder", forma popolare per "punizione esemplare", dal tedesco (indotto dall'interlocutore) zu hundert, nel senso "a [beccarti] cento [colpi]"
Il senso è ovviamente chiaro, però la differenza è comunque notevole. Leggendo l'introduzione di questa versione, anche se qualche dubbio mi è rimasto, ho avuto modo di apprezzare abbastanza questo traduttore. Innanzitutto perché per una volta questa appendice parla veramente dell'opera in maniera sensata e abbastanza appronfondita, e poi perché viene spiegato abbastanza bene su quali basi ideologiche è stata condotta la traduzione, e penso che ci siano alcuni punti in comune con la visione che abbiamo qui. Ad esempio, egli rifiuta subito il nome dell'opera utilizzato in Italia in quanto sbagliato e perché enuncia indebitamente un tema del romanzo, e inoltre ricusa la tendenza abituale di tradurre in "cattolicese" tutti i termini religiosi ortodossi (niente Madonna, ad esempio, ma Madre-di-Dio, ad eccezione della Madonna di Raffaello, e niente preti ma sacerdoti o popy). Data questa maggiore attenzione posta al testo e in generale anche da una certa intelligenza che filtra da ciò che scrive, non mi sento di rifiutare a priori questa versione.

Così, sebbene qualche passo in avanti l'abbia fatto, sono purtroppo ancora in una fase di stallo... ^^
Vedremo se in futuro riuscirò a risolvere completamente questo enigma. Per intanto, questo è quello che sono riuscito a scoprire finora, e mi faceva piacere condividerlo con voi :)


P.S. Ho visionato anche quella che credo sia l'ultima versione uscita in Italia (Feltrinelli, trad. Damiano Rebecchini) e ve la riporto, ma stavolta più che altro per mettervi in guardia:
"Hmm... sì, gentile Laviza Ivanovna, questa è l'ultima volta che te lo dico, ma proprio l'ultima," continuò il tenente, "se solo un'altra volta ci saranno scandali nella tua rispettabilissima casa, be', allora ne passerai delle belle, per dirla in modo elegante, intesi?
Non stravolge niente, è vero, però già in queste poche righe vi sono diverse aggiunte del tutto arbitrarie che non mi fanno ben sperare per il lavoro nel suo complesso...
Benjamin was the only animal who did not side with either faction. He refused to believe [...] that the windmill would save work. Windmill or no windmill, he said, life would go on as it had always gone on– that is, badly.

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nodisco
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da nodisco »

Sayonara no Nastu ha scritto: dom ago 04, 2019 11:50 pm Vedremo se in futuro riuscirò a risolvere completamente questo enigma. Per intanto, questo è quello che sono riuscito a scoprire finora, e mi faceva piacere condividerlo con voi :)
Facendo ulteriori ricerche ho trovato una traduzione inglese che in quel passaggio scrive nelle note "I shall give you the zu Hundert treatment: a military expression, meaning 'I'll make you run the gauntlet'"
"Run the gauntlet" era una punizione corporale, la vittima veniva fatta passare tra due file di persone che la picchiavano o insultavano a seconda dei casi. In italiano si dice "passare sotto le forche caudine".
Non ho trovato nulla riguardo all'espressione tedesca "zu Hundert", è probabile che sia caduta in disuso.
Riguardo a "цугундер" son quasi sicuro di aver visto altre parole nelle quali la G (г) è usata per traslitterare la H aspirata, quindi non mi stupisce che "zu Hundert" sia diventato così invece di "цуxундер".

Tornando a Dostoevskij, che con quel termine intendesse dire "vi sbatto in galera" o "vi faccio passare dei guai" non mi sembra troppo importante, l'intenzione del tenente (minacciare Laviza) è comunque chiara.

P.S.
Ho trovato adesso la pagina russa del wikizionario https://ru.wiktionary.org/wiki/%D1%86%D ... 0%B5%D1%80 e se ho capito bene sembra che voglia dire sia "prigione" che "punizione corporale" a seconda di come è usata nella frase. Io però non conoscendo il russo ho letto usato il traduttore, non so se ho interpretato bene.
Curioso che l'origine del termine possa essere yiddish e non direttamente tedesca.
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Sayonara no Natsu
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Sayonara no Natsu »

Grazie per la risposta e per l'ulteriore approfondimento!
nodisco ha scritto: lun ago 05, 2019 11:16 pmTornando a Dostoevskij, che con quel termine intendesse dire "vi sbatto in galera" o "vi faccio passare dei guai" non mi sembra troppo importante, l'intenzione del tenente (minacciare Laviza) è comunque chiara.
Ma certo! Il mio puntiglio, infatti, è del tutto giocoso! Questo non è un passaggio che esprime i contenuti dell'opera, e oltretutto io non sono un traduttore che ha il compito di "scavare" il più possibile perché dal suo lavoro dipendono molte altre persone (i futuri lettori), quindi non ho mai inteso questa ricerca come qualcosa di realmente serio. Semplicemente, la questione ha stuzzicato la mia curiosità e mi divertiva l'idea stessa di compiere un'indagine di questo tipo. Già che c'ero, però, mi sono sforzato di farla come si deve, perché anche quando si gioca un po' di serietà non guasta. ^^
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Chinnico »

Caro Gualtiero,

dopo la tua molto più che dettagliata risposta, per molto tempo ho oscillato tra il risponderti a tono e il lasciar perdere.

Volevo risponderti, ma mi tratteneva una sensazione di dubbio di fondo, causata dal fatto che proprio in apertura della tua replica mi ha indisposto un'aggiunta -indelicata - di un punto di domanda tra parentesi al tuo incipit. Come se sottintendesi che il complimento che mi hai fatto non fosse in realtà sincero. Cito:
"Di mio, posso dirti che mi fa piuttosto piacere leggere un messaggio di critica come i tuo, che ho trovato educato sia nella forma che nei contenuti - in senso sia italiano che inglese, per capirci (?)."
Come a dire che sembro sveglio, ma forse non abbastanza da cogliere la differenza di significato che inglese ha il termine 'education' rispetto all'italiano.

Così, pure dopo aver cominciato a scrivere una risposta puntuale sulle questioni più imprtanti, ho tentennato a lungo, e infine mi sono detto: 'lascia perdere'.

Ora, però - pure a un anno di distanza - ha vinto il rimorso di qualcosa di lasciato incompiuto. Prendilo pure come un capriccio infantile. Non certo per avere l'ultima parola, che non mi interessa. Quanto piuttosto per una vera e propria urgenza di dire qualcosa che va detto.

Sotto riporto la risposta, seppre incompiuta, che iniziai a scrivere più di un anno fa.

Permettimi quindi di dubitare della tua 'conoscenza' del giapponese, almeno fino a un anno e più fa. Magari hai fatto progressi. Dopo.

Ecco il testo, per quello che vale.

"
Ti ringrazio per esserti preso la briga di rispondermi in modo così dettagliato. A dire la verità contavo su una tua risposta ma non mi aspettavo addirittura una replica (altrettando 'educata', in entrambe le tue accezioni che capisco benissimo) in tempi così rapidi.
Ho letto con attenzione il post precedente, soprattutto le tue repliche, nonchè altre discussioni che si possono facilmente trovare in giro. Quindi mi sforzerò di non costringerti a ripetere.

Non posso esimermi dal replicare sugli adattamenti particolari da cui ho cominciato la discussione, non certo per cavillare, quanto piuttosto perchè nella tua replica vedo gli elementi utili a portare la discussione sul metodo.
Questo è infatti, come spero si sia già capito, quanto mi sta più a cuore, piuttosto che poter dimostrare di aver avuto ragione su una singola questione.

Parto dal caso più semplice, che quello di 'yarasete itadakimasu'.
Innanzitutto non hai replicato all'osservazione che la resa come 'mi concedo di' è fondamentalmente sbagliata. Quella giapponese, non la definirei neppure una 'espressione idiomatica' in quanto è semplicemente un normale utilizzo della grammatica giapponese dei verbi di dare e ricevere nel registro di linguaggio onorifico.

Inoltre, concedimi, questa espressione, come quelle correlate, non è per nulla ambigua.
Il testo che citi non parla di ambiguità, quanto di opportunità di usare 'yaraseru' piuttosto che 'saseru', per la sfumatura di cui si fanno carico.
Per la cronaca, come conferma il testo di cui riporti il link, il 'yara(sa)sete' che citi non è una versione alternative, come si potrebbe intendere; bensiì è un errore di grammatica che capita di fare ad alcuni giapponesi quando cercano di 'parlare forbito'. Gli scappa un 'sa' di troppo. Mutatis mutandis, l'effetto all'ascolto è simile a quando da noi qualcuno dice 'famo' invece di 'facciamo', anche se il paragone è un molto stirato. Come effetto emotivo è come quando da noi si sbaglia la coniugazionie di un congiuntivo.
Citando dal link:
「やらせていただきます」は良くても、「やらさせていただきます」は、よろしくありません。 「させる」を謙譲表現として誤用した「さ入れ言葉」をあちこちで頻繁に見聞きします。
Per chi si chiede cosa sia una 「さ入れ言葉」 (sa-ire kotoba) la spiegazione si può trovare, sempre in giapponese, su (primo link che mi è piaciuto):

https://www.goodcross.com/knowledge/words/2125-2015

Tengo a queste precisiazioni perchè mi pare che l'errore sia ricorrente e non limitato al personaggio di Jiro di 'Si alza il vento'.
Per esempio mi sovviene 'la Principessa Mononoke'. Ho memoria del protagonista maschile che dice qualcosa come 'questa ragazza mi concedo di prenderla per me'. Non ho il testo originale a disposizione, ma credo che l'analogia si veda. Se mi sbaglio, chiedo scusa in anticipo.

Il punto è che il verbo 'concedere' è errato rispetto proprio a quei criteri di corrispondenza a cui ti vorresti attenere, indipendentemente dal personaggio che pronuncia la battuta.

Spero che non ti sia stufato di leggere, e con te chiunque altro segua, perchè il punto che segue credo che possa essere molto più stimolante per la discussione.

Grazie per la spiegazione di come è nata la scelta di 'secondo fratello'.
Non so a te, ma a me sporge immediata e chiara una riflessione. Spero di riuscire a farti prendere il mio punto di vista per un momento. Non perchè sia migliore di quello di chiunque altro o del tuo, semplicemente perchè penso possa offrti l'occasione di riprovare un cambio di prospettiva, di cui penso beneficeresti.

Quando un giapponese ascolta le battute del film, quello che intende naturalmente, perchè corrisponde immediatamente alla lingua che ha imparato, è il nii-nii come nomignolo infantile. Probabilmente in un secondo (o anche terzo o quarto) possono arrivare al gioco di parole, magari non senza una spiegazione. La reazione che ho visto io è 'ah... so iu koto ka...' oppure 'naruhodo'.

Con la tua scelta di adattamento invece l'effetto sullo spettatore italiano è il contrario. Arriva solo il gioco di parole, che peraltro risulta come tale incomprensibile in italiano; mentre il fatto che sia un nomignolo viene perso completamente.

Puoi allora definire davvero 'autentico' il tuo adattamento?
Dove finisce "la chiarezza intesa come univocità di intendimento"?
Lo spettatore intende univocamente quello che hai voluto far risaltare tu.
E' veramente colpa della pigrizia dello spettatore?

L'univocità è una presunzione e il tuo adattamento non è la 'scelta più corretta' in termini assoluti, che non esistono. E' una scelta frutto di una predilezione di criteri di aderenza lessicale, sull'altare della quale preferisci sacrificarne altri, che pure influenzerano la comprensibilità e pertanto l'apprezzabilità.

Tu razionalizzi questa predilezione in ragione della teoria che ti sei costruito. Tuttavia dovresti riconoscere che, semplicemente spostando le categorie di valutazione, ne potresti costruire molte altre e alterttanto ferree.

Che cosa è più forte? Il contenuto storico di significati delle parole o la tradizione di relazioni fra le stesse? In presenza di indicazioni contradditorie, cosa prevale?

Nel caso di 'secondo fratello', il prezzo da pagare per catturare un significato di dimensioni minime rispetto a quello principale è stato che quest'ultimo non è proprio passato. Ne è valsa la pena? Su che criteri lo giudichiamo?
Non puoi farlo su quelli della tua stessa teoria su cui hai fatto la scelta, perchè sarebbero autoreferenziali e la riposta logica conseguente sarebbe 'sì assolutamente'.

L'unico modo di avere una valutazione è cercare altrove il confronto, separandosi dalla tentazione del solipsistico autocompiacimento della propria arte.

Qusesta compensibilità globale è data infatti da una serie di elementi, di cui il lessico è una piccola parte e probabilmente la più semplce da gestire, visto che - senza voler sminuire il tuo lavoro, di cui riconosco l'onere - è sufficiente fare un uso sistematico ancorchè quasi meccanico dei dizionari.

Quando produci un adattamento, sulla base di cosa andresti a valutarne la qualità? I criteri su cui mi sembra che ti sei basato finora sono autoreferenziali ed è logico che quindi ti sembri di stare facendo un ottimo lavoro.



Mi spiace smontare la tua bella teoria ma non esiste alcun mondo delle idee-verbi platonico-veterotestamentari.

Da quello che dichiari, capisco che tu prediligi la prima perchè intravedi un'essenza dei 'verbi', di cui le parole delle varie lingue sono una manifestazione.

Sei d'accordo con me che in ogni caso, non esiste una scelta 'corretta' in termini assoluti? Ovvero che in qualunque modo si traduca, non si lede la maestà di alcun abitante
Nel tuo caso questa predilezione è sempre estrema.



--interrotto

mi spiace. Come dicevo all'inizio, è un discorso interrotto.
Davvero. Se sei contento tu e sono contenti gli acquirenti dei dischi coi tuoi adattamenti, niente più da eccepire. Tanto "tutto e soggettivo".
Io lascio perdere. Non ne vale più la pena.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

Chinnico ha scritto: mer set 18, 2019 1:16 am Caro Gualtiero,

dopo la tua molto più che dettagliata risposta, per molto tempo ho oscillato tra il risponderti a tono e il lasciar perdere.

Volevo risponderti, ma mi tratteneva una sensazione di dubbio di fondo, causata dal fatto che proprio in apertura della tua replica mi ha indisposto un'aggiunta -indelicata - di un punto di domanda tra parentesi al tuo incipit. Come se sottintendesi che il complimento che mi hai fatto non fosse in realtà sincero. Cito:
"Di mio, posso dirti che mi fa piuttosto piacere leggere un messaggio di critica come i tuo, che ho trovato educato sia nella forma che nei contenuti - in senso sia italiano che inglese, per capirci (?)."
Come a dire che sembro sveglio, ma forse non abbastanza da cogliere la differenza di significato che inglese ha il termine 'education' rispetto all'italiano.
No, no. Quel punto interrogativo era per dire che avevo espresso una cosa bislacca (l'uso anche anglofono del termine "educati" [educated] per dire "edotto", o simili), e tutto sommato era stato stupido/cretino da parte mia fare una cosa appunto bislacca "per capirsi" (un controsenso, no?), da cui il mio punto interrogativo, del tipo "magari mi sono spiegato ancor peggio". :-)

A leggere quello che scrivi in quest'incipit verrebbe (nota il modo verbale) da dire che tu sia (fossi?) o molto in mala fede, o un po' insicuro - perché un punto interrogativo tra parentesi non è che un velo di dubbio, ed era posto su una *impersonale* [per capirsi] di un mio tentativo di autoesplicazione - indi perché leggerlo come un mio dubbio sulle tue capacità di intendimento, per di più dopo una chiara e limpida (quella sì) dichiarazione di apprezzamento delle stesse?

Scritto rapidamente il che, torno agli impegni di lavoro e mi riprometto di leggere con attenzione e gusto tutto il tuo post - non sono irretito dall'ampia differita temporale. :-)
"La solitudine è il prezzo da pagare per essere nati in un'epoca così piena di libertà, di indipendenza e di egoistica affermazione individuale." (Natsume Souseki)