Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Discussioni su gli autori e gli anime Ghibli e Pre-Ghibli

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Shito
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

Buongiorno, Lorenzo.

Non sono il padrone di casa, qui, ma come si vede i frequentatori abituali del forum paiono per lo più ridotti al lumicino. Di mio, posso dirti che mi fa piuttosto piacere leggere un messaggio di critica come i tuo, che ho trovato educato sia nella forma che nei contenuti - in senso sia italiano che inglese, per capirci (?).

Vado dunque a dare risposta alle osservazioni che (mi) proponi, premettendo però che molto di quanto sollevi ha probabilmente avuto sin troppo elaborata contrargomentazione da parte mia nei post precedenti, forse anche in quello subito sopra il tuo, rispetto al quale è datato nel tempo ma non nello spazio. Non posso evitare di chiederti, senza provocazione, se l'hai letto - in ogni caso mi scuso se per certi versi tornerò a ripetermi.

Partendo dagli specifici particolari che mi proponi.

1) Niinii in Kaze Tachinu (Kayo a Jirou)
Invero nel testo del film (audio è scritto) è NiiNii-sama. Nel copione è ニイ兄さま.

Anche io, ai tempi, pensai che fosse probabilmente "solo" un vezzeggiativo infantile "da raddoppiamento" di "(o)ni-sama", soprattutto per la seconda イ dopo il primo ニ. Ma un po' perché sul testo giapponese stampato non si capiva univocamente che quel primo "ni" fosse ニ (katakana) o 二 (kanji, che ovviamente vuol dire due, e che è lo stesso di "jirou") feci la cosa per me più sensata: chiesi direttamente allo Studio Ghibli, con cui mi stavo per altro sentendo per i provini dei doppiatori.
Btw, a little question for you: young Kayo calls Jirou as "Nii-nii-sama" [ニイ兄さま], right? Is that just derived from the first kanji of the 二郎 name, or is there some other reason? Maybe, a pun to the fact that Jirou is actually "the second child" in the family, and also "the second older brother" to little Kayo?

The tricky thing to me is [ニイ兄さま] sounds like a nickname anyway, due to the 'long' ニイ, which is an extra as for the reading of ニ both as 'two' or '二郎', right? In fact, the added kana 'イ' leads me to think this is Kayo infant (yet still respectful or a bit old-fashioned, for the -sama suffix) way of calling his brother? ^^
Direi che i dubbi che tu hai espresso nel tuo post c'erano tutti, e tutti argomentati. Chiaramente, non è che io abbia mandato una mail personale a Miyazaki Hayao, ma mi stavo sentendo con lo staff del dipartimento internazionale dello Studio, con cui pure avevo rapporto ormai da una decade abbondante.

La risposta, che non riporterò direttamente per netiquette, fu interessante: mi dissero che anche loro erano rimasti dubbiosi sul fatto, e che per questo avevano già da tempo chiesto direttamente a Miyazaki Hayao, che aveva risposto "lo chiama così perché è Jirou", dal che avevano dedotto che il punto fosse essere il fratello 二 di nome di fatto. Mi sottolinearono che sia il Jirou storico che quello fittizio del film avevano un fratello maggiore (nel film è inserito apposta un rimando al fatto che Jirou prende in prestito il dizionario di inglese di suo fratello maggiore).

Siccome sono puntiglioso E pesante, a scanso di equivoci, ancora chiesi conferma:
Indeed both the real Horikoshi Jirou and the fictional one in the movie do have an older brother themselves, yes.

So, basically, Kayo is calling him like "second brother! second brother!", right?
Mi risposero: "sì, hai capito correttamente".

Il che, valendo per me come la più autentica delle interpretazioni che potessi avere, mise un punto ai miei dubbi. E spero abbia fatto altrettanto con i tuoi. :-)

Poi, quanto al discorso di やらせていただきます.

Ho certamente presente quello che dici e spieghi. Di questo discutemmo con la traduttrice (Elisa, che è bimadrelingua italo-giapponese, ha fatto parte delle scuole medie in Giappone, si è poi laureata a Londra in inglese e ha il nihongo noryoku shiken LV1). Questo genere di espressioni idiomatiche sono a dire il vero quelle su cui spesso ragioniamo di più, perché sono quelle in cui una resa "funzionale" verrebbe più naturale, ovvero il valore della funzionalità si massimizza in espressioni molto idiomatiche. Eppure, per esempio, anche su un banale "oyasuminasai" si può dire che "buon riposo" sia più fedele di "buona notte", giusto? Nel caso di やらせていただきます il senso funzionale è sicuramente "accetto quanto mi state proponendo di farmi fare", certo. D'altro canto, seppure nella logica della cortesia, sia il semplice "itadakimasu" ma anche l'uso del causativo yara(sa)sete apportano un senso di concessione, di privilegio, nel senso di "essere lieto di ricevere qualcosa che vi viene permesso".

Ci sono molti approfondimenti monolinguistici sull'ambiguità di simili espressioni, per esempio:

https://mayonez.jp/topic/5387

Col che, l'adattamento (che è un adattamento, certo) a cui pervenni mi parve il migliore anche nell'ambiguità del personaggio, che è il tipo di persona formalmente cortese, ma realmente molto "a modo suo", egoista e anticonformisa - il tipico otaku di vecchissima generazione! Questa è una nota mia, si capisce, ma sulla personalità di Jirou si discusse molto, anche per la resa recitativa. Paradigmatica, in questo senso, la battuta che lui pronuncia quando prende sulle spalle la tata della loli-Nahoko, in cui non c'è misoginia o disprezzo per lei, ma solo insofferenza verso la bestialità ingegneristica da lei pronunziata: le locomotive non esplodono! (e qui ci fu tutto un piccolo studio sul diverso uso tra esplodere e scoppiare, sì).

Dunque, queste sono le risposte per le questioni puntuali che sollevavi.

Venendo al generale, e qui rischio di ripetermi, come dicevo.

In primis, ribadisco che io non sono il traduttore di alcun film dello Studio Ghibli da me lavorato. Nella maggior parte sono stati tutti tradotti dalla citata Elisa Sato Nardoni, che considero la traduttrice d'eccezione (in tutti i sensi) con cui ho collaborato nel corso di quasi 25 anni ormai di lavoro (non solo su Ghibli). Siccome sono il tipo di persona che cerca di capire fino in fondo, il nostro rapporto non è mai stato "consegnami la traduzione, poi faccio io". In genere già la sento ogni qual volta durante la stesura dell'adattamento ho un dubbio di interpretazione, e poi a adattamento concluso rivediamo insieme tutte le incertezze o i dubbi. Questa è la pratica che seguo con ogni traduttore, ma si capisce che con una persona come Elisa diventa particolarmente arricchente per me. Il mio interesse linguistico e filologico esiste a prescindere dal solo giapponese, ma proprio in una lingua come quella giapponese diventa forse un percorso di autoapprendimento? Sicuramente, su alcuni idiomi specifici o su alcune finezze, è capitato che io stesso abbia fornito degli input al traduttore con cui collaboravo. E' il caso dell'idioma "sumeba-miyako", ad esempio, che compare all'inizio di Chihiro & Sen (e di mio non conoscevo dapprima l'equivalente italiano "a ogni uccello il suo nido è bello"), o ancora delle cosine in Kurenai no Buta, e altre che ricorderei ripensandoci puntualmente, ma non credo sia il caso, no?

Le difficoltà sui film di Miyazaki sono legate soprattutto al fatto che lui fa un uso del tutto personale, fantasioso e autolegittimato della lingua giapponese. Il paradigma, in questo senso, è Mononoke Hime, dove ci sono cose del tutto fantasizzate (il villaggio Emishi, i jibarashi, i kodama a quel modo, l'uso di "shishi" come lettura antica di "shika" in shishigami, e ancora altre - fino all'uso di un kanji che in giapponese si considera inesistente). Al contrario, la difficoltà maggiore nei film di Takahata è la profonda cifra stilistica culturale dei suoi testi. Takahata è un artista imperialista del linguaggio tanto quanto Miyazaki, ma secondo strade diverse. Chi ha visto lo speciale sopratutto di Yamada-kun forse se ne sarà accorto. Ma del resto, anche in un film "per bimbi" come Ponyo non è che Miyazaki Hayao si sia guardato da inserire una battuta con arcaismi presi di peso da Natsume Souseki (Io sono un gatto, nel caso), dove troviamo l'arcaismo "geni inferiori" (rettou-inshi) in lugo del moderno "geni recessivi" (ressei-inshi). Ci sono sempre cosette così. :-)

Quindi boh, sì, suppongo che dopo un tot di anni anche io avessi sviluppato una certa comprensione della lingua giapponese. Lo parlo, quando vado in Giappone. Mi capita anche di pensare in giapponese, come a volte penso in inglese (oh, Joyce!), a seconda del "tipo di pensiero", ho notato. Ma non mi sono mai condotto a considerarmi sufficientemente competente per tradurre un film, no. Neppure uno special di un film, no.

Quindi, sulla mia visione dell'italiano come lingua d'arrivo di una traduzione.

Sulla traduzione, tutto al contrario di quel che sono nell'ambito dei miei interessi dilettuosi (delittuosi? - ah, le sciarade della vita!) quaki filosofia, psicologia, e sociologia, o storia dell'arte, sono molto "oggettivante" ed "essenzialista" ancor più che "scientifico". La linguistica è senz'altro l'ambito dove ho studiato di più, e non intendo citare studiosi francesi o principi russi, quanto andare al cuore dei significati delle parole stesse. Uno dei miei detti è "tutto è semantica". Ammetto che il mio essenzialismo della parola è ormai giunto a livelli quasi trascendentali, ho elaborato una mia "seria" (ahahah) teoria di rilettura platonica e puranco biblica (antico testamento) in detta ottica, che qui ti risparmierò. Mi basti dire: in principio era il verbo, il verbo è l'idea ovvero l'ordine del mondo che l'uomo rappresenta dandogli nome - cosmos - pulcher - mundus. Hai mai notato in quante lingue bello, pulito e ordinato siano lo stesso concetto? O come igiene e sanità siano lo stesso concetto? O come disordine e disturbo siano lo stesso concetto?

Ma tornando seri e tornando a noi, secondo me il punto cruciale è l'ordine ontologico del compito comunicativo della traduzione. Mi pare che la questione sfugga ai più, e mi pare assurdo, ma tant'è. Ovvero, l'efficacia comunicativa, secondo me, prima del "come" deve appuntarsi sul "cosa" si comunica. Il "funzionalismo" della traduzione è o un inganno, oppure è mal interpretato.

Ora ti farò dunque un esempio concreto per dare sostanza reale a quanto predico.

Alessandro Bencivenni. Una persona squisita. Aveva scritto un libro su Miyazaki Hayao che toccai con lo sdegno che è mio tipico. Lo trovai gravido di errori e pieno di sincerità. Mi colpì per questo. Davvero, oltre a essere scritto squisitamente bene (ed è tanto, oggi), traboccava di genuinità ed era scevro tanto dalla spocchia del finto conoscitore della materia specifica, tanto dalla presunzione dell'esperto di cinema. Che meraviglia, in questo! Mi procurai (tramite una conoscenza comune) il contatto telefonico di Bencivenni e lo chiamai senza alcun preavviso: "Ciao, non mi conosci, sono Tal dei Tali, hai scritto un libro bello e genuino ma tutto sbagliato, vogliamo correggerlo?". E lui mi ha risposto "Sì", e l'abbiamo fatto.

A parte che l'ho "obbligato" a scrivere tutti i nomi con ordine giapponese (con una questione morale), una cosa che mi fece piangere è che il libro era pieno di onesti fraintendimenti causati dalle traduzioni errate dei copioni. Esempio: la visione di pre-morte di Nausicaä, che si vede bimba nella colonna dei defunti, suoi genitori in testa, e dice "no, non voglio andare lì!" - nella versione RAI diceva: "No, non voglio venire con voi", dal che Bencivenni aveva desunto e elaborato che per il regista ci fosse un'associazione tra la generazione genitoriale e la morte. Mi dispiacque così tanto che una persona intelligente e interessata, Bencivenni, fosse stata letteralmente ingannata più che fuorviata dalla superficialità di una traduzione. Per me è inaccettabile. Nella traduzione io sento una seria, seria responsabilità comunicativa, altroché.

E ho fatto un esempio piccino piccino, veri? Pensa a cose come Mononoke, o Chihiro e Sen.

Ma vale anche per me. Il testo, la correttezza del testo, è presupposto imprescindibile alla comprensione del messaggio di ogni opera, e in questo senso prova solo leggere le sorti di un mia "visione troppo polarizzata2 (per dire poco) di un dialogo di Kaguya, di cui dicevo e spiegavo in altro thread.

In secundis, c'è poi un altro mio punto che credo valga sempre e pure ti ripropongo, ovvero quando si parla si "percezione" della lingua è davvero difficile dire seriamente cose come "tutti lo capiscono" o "non lo dice nessuno". Rilevamenti statistici degli usi linguistici non ce ne sono. E guarda che sì, io sono di quelli che sanno usare la ricerca di google "con le virgolette", ma sono sempre risultati numerici drogati. In vent'anni e più di esperienza ho visto diatribe in cui una mia espressione, messa in un copione, veniva criticata da taluni come "non lo dice nessuno" e c'erano altri che riportavano "da me lo dicono tutti". Letteralmente, eh. Sulle pagine di questo stesso forum, anche. Le variazioni diatopiche degli usi linguistici, specie all'interno delle variazioni diamesica "parlata" e diafasiche "colloquiale, gergale, familiare", sono davvero infinite e sempre sottovalutate. Non esiste davvero "l'italiano sub-standard", è un'invenzione formale accademica più ancora che lingua indoeuropea. Potrei davvero farti decine, centinaia di esempi reali raccolti in una "carriera" più che ventennale.

Il discorso dell'usualità della lingua è davvero viziato, spesso insensato, perché sempre presuntivo. Ogni persona si sente portatrice della "norma linguistica" della sua madrelingua, ed è insensato. Perché ciascuno di noi ha vissuto solo una vita, e ha visto e sentito solo una fettina di una gamma di variazioni. Quindi, di mio mi rifaccio sempre ai dizionari. Se Yreccani mi dice che "perituro" è arcaico e letterariao e "imperituro" no, fine della storia. Io per uno non valgo niente, come ogni "uno". Hai presente "uno vale uno"? Io, in questo ambito, aggiungo: "e quindi niente".

Quindi, se parliamo della mia logica di traduzione, per paradosso la mia visione "personale" della lingua è proprio la sua assoluta "spersonalizzazione". Ovvero, per me c'è solo il testo originale, in ogni suo più fine contenuto e sfumatura, e la lingua d'arrivo della traduzione, nella sua obiettiva, oggettiva realtà - spogliata da qualsiasi presunzione di "strandardizzazione" sussunta dall'esperienza comunque statisticamente irrilevante di una vita individuale, quella del traduttore (me). Mi baso solo sul testo dell'originale e sul testo dei dizionari. :-)

Se poi parliamo della "stranezza" o "stranianza" del testo che può risultarne, allora:

1) ti prego di riferirti al post sopra al tuo per l'argomentazione sulla reale italianità dell'uso di dislocazioni e segmentazioni nella variazione diamesica "parlata" e diafasica "colloquiale" dell'italiano. E su come la disabitudine a una lingua dialogica "reale" nei prodotti di intrattenimento sia al contrario il frutto dell'uso didascalico della lingua del doppiaggio italiano.

2) non mi stuferò mai di ribadire che il nocciolo della questione reale sta in quelle che si intendono le finalità, da cui i modi e le maniere, della traduzione. Per come la vedo io, la traduzione non deve ingannare che un'opera straniera sia men che straniera. Ancora una volta, la semantica e l'etimologia ci dicono tutto: STRANiera. Il diverso è diverso. Non si più, infingardamente, ricondurre il diverso al proprio. Non è mediazione culturale questa, è abbattimento culturale. E' sottomissione dell'alia la sé, ed è colonialismo culturale implicito. Sicuramente la mia mentalità è integralista, ortodossa e radicale — ma la logica di base è limpida. Una cosa giapponese è Giappone, come una cosa francese è Francia. Si traduce la lingua, come mero mezzo o tramite, in cui quelle culture si esprimono. Ma quelle culture devono restare loro stesse, solo espresse nella nostra lingua "per falso di servizio". Il risultato sarà comunque un mostro, certo, ma almeno, se persegue lo scopo genuino e buono della diffusione culturale *per quello che una cultura è in sé stessa*, c'è un fine comunque nobile. L'unico che possa, a mio dire e pensare, giustificare una cosa turpe e violenta come la traduzione. Senza questo fine, senza questa pratica, la traduzione è per me ingiustificabile e sinanco priva di raison d'etre in assoluto.


E dunque, quali sono i limiti dell'accettabilità di questa (sempre presunta e soggettiva) "straniante stranezza" di una "lingua tradotta", dici?

Beh, il limite, per me, è quello della chiarezza intesa come univocità di intendimento. Voglio dire, anche concordando che "in Italia NESSUNO chiama suo fratello maggiore come "fratellone"..." (e ancora non concordo con quel NESSUNO, ma tant'è), il punto è che usando FRATELLONE non è che si possa capire altro che quello che è, realisticamente. Anche perché le opere audiovisive sono alquanto aiutate dall'autoesplicazione di scena e recitazione. Quindi, ok: sono giapponesi, dicono cose "strane" ma il cui significato è chiaro - per chi abbia il cervello acceso. Tanto basta, anzi è l'ideale. Chi vuole, impari che i giapponesi non sono italiani, ovvio, che gli Yamada non sono i Cesaroni, ovvio, e semmai proprio a questo servirà fruire intrattenimento straniero. Chi non vuole applicarsi neppure questo minimo, beh... chi se ne importa? Io no, no di certo.

Sempre per capirci, io saluto regolarmente dicendo "le auguro un buon giorno!" - come ho fatto dire a Kiki. Mi hanno detto "non lo dice nessuno!", e concordo che sia un costrutto forse poco usuale, ma sai cosa? Quando saluto dicendo "le auguro un buongiorno", nessuno mi ha mai mandato a quel paese in risposta. In genere mi dicono "anche a lei!". Penseranno forse "che strano 'sto tizio" - io sono italiano - ma la comunicazione si dimostra efficace abbastanza. Quindi? Non è necessario far parlare dei personaggi giapponesi "come degli italiani", anzi è follia nefasta e controproducente. Bisogna solo farli parlare "in italiano". Anch'essa una lingua "dentro alla quale tutto si regge", e finché si regge, regge - oh, Ferdinando mio!

Dunque, tra l'intento culturalizzante e onesto della traduzione linguistica, e la disonestà della pigrizia mentale e il lassismo frivolo del tradimento culturale, tu cosa scegli? Davvero, cosa sceglieresti mai?

Dico così perché queste sono le mie idee che ho PRATICATO nel mio lavoro, non le ho scritte su un saggio o su un libro. Ma forse, dietro la mia pratica professionale, c'era più riflessione e convinzione che dietro certi libri accademici. ;-)

E queste visioni, nella pratica, sono anche andate affinandosi. A tal proposito, prova a dare un occhio onesto a questo messaggio e thread da me principiato:

viewtopic.php?f=21&t=3672&p=72376

Nota come io argomenti citando di testi precisi.

E infine, per quanto riguarda la questione della risposta "del pubblico", che dire? Credo sia fisiologico che le persone che vogliono capire qualcosa siano sempre la minoranza. Capire costa fatica, sforzo persino. Le perosne sono prigre e quando non lo sono da principio spesso si impigriscono lungo la via, come credo ben si evinca dal topic che ti ho appena linkato. Ma non si può sacrificare la minoranza volenterosa e interessata per la maggioranza indolente e svogliata. Anche perché la seconda è perduta comunque, non ha speranza.

Hai presente Eboshi? "Alle donne [il pubblico] è stata fornita tutta la preparazione possibile. Ognuno si salva da sé"

Davvero anche io la penso in questo modo, e lo pratico, oltre che pensarlo.

Sempre in divenire, eh!

E' perché sono molto convinto delle mie posizioni, che sono molto ragionate, che ho il coraggio di discuterle realmente, sempre assumendomi il rischio di DOVERLE CAMBIARE qualora riprovato in torno. Per me il dialogo è questo: sciogliere un'antinomia. Come nella dissertazione filosofica francese. non è che si possa avere tutti ragione contemporaneamente dicendo cose opposte, no. Evidentemente qualcuno ha torto. Ma quel qualcuno potrei essere io, in toto o in parte, indi se discuto è per mettere alla prova con gli altri e con me stesso quello in cui credo. A rischio di doverlo destabilizzare, sì. :-)
"La solitudine è il prezzo da pagare per essere nati in un'epoca così piena di libertà, di indipendenza e di egoistica affermazione individuale." (Natsume Souseki)
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Levi »

Salve, apprezzo la grande passione di Gualtiero Cannarsi ma credo che in certi casi il risultato finale sia inadeguato. Mi piacerebbe discutere col diretto interessato, che vedo attivo in questa pagina, delle seguenti frasi presenti nei suoi lavori, che o non hanno senso, o nessuno mai pronuncerebbe così:

- In classe ora Muto viene tenuta in disparte. E infatti è perché pensano che si faccia notare in vari modi.
- Tenuta in disparte?
- In disparte in vari modi.

- I soldi li prenderò da papino. Te li restituirò per bene, non preoccuparti.
(Si possono anche restituire male?)

- La mia amicizia è arrivata adesso.

- Ehi, ma un gatto mai veduto.

- Haru-chan (e che diamine significa chan in italiano?!), va' al crocicchio!

- A breve, sul binario quattro, giungerà un treno in risalita. Poiché è pericoloso, vogliate arretrare sin dietro la linea bianca.
(Questa è fenomenale. Qualunque annunciatore in una stazione parlerebbe così, vero?)

- L'esuvia di un om!

- Io penso sarebbe giusto che l'incaricato settimanale corra per acciuffare chi corre in corridoio e gli faccia fare il rifarlo daccapo.
(Poesia.)

- Non c'è né ma né merda!

- Piuttosto la banana è di gran lunga più buona. E infatti il re della frutta mi sa che è la banana, eh? Mi mangerò una banana.

- E sai? Su tutta Tokyo, sai? A un concordo di relazioni sui libri, sai?

- Ma com'è, non vieni, Ta-bimba?
(ahahah)

- Si tratta di un'agricoltura ganza.

- S'arriva a dire che i figli crescono persino senza genitori, quindi se li si abbraccia con l'animo genitoriale del se gattoni alzati, se ti alzi cammina, perlopiù in qualche modo ce la si fa.

- Silenzio, l'uno e le altre!

- Potrebbe chiamarci la sua mamminina?

- Setsuko, si fa il pasto.

- Del tuo nome abbine cura, eh?

- Mi sono divertito tanto, io piccino!

- Sei pur venuta per bene qui.

- Papà, mi concedi la radio?

- Con un vestito un pochino più stupendo sarebbe meglio.

- Questa è una circostanza di follia!

- Mettetevi presto tutti in fuga, per piacere.

- Scappate per bene, eh?

- Vado a recarmi un pochino dalla nonnina.

- È parecchio completato!

- Guarda, prova a vedere!


Eccone alcune, grazie mille per la eventuale risposta.
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Shito
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

Levi ha scritto: mar mag 08, 2018 5:16 pm Salve, apprezzo la grande passione di Gualtiero Cannarsi ma credo che in certi casi il risultato finale sia inadeguato. Mi piacerebbe discutere col diretto interessato, che vedo attivo in questa pagina, delle seguenti frasi presenti nei suoi lavori, che o non hanno senso, o nessuno mai pronuncerebbe così:
Salve. In effetti mi trovo un po' in imbarazzo a esplicare frasi che -al netto di taluni errori di trascrizione e della loro decontesyaluzzazione [amputazione del piano sintagmatico] hanno senso compiutissimo e sono espresse in corretto italiano, perché questo non è un forum di linguistica nostrana e neppure un'aula di scuola dell'obbligo, tuttavia, proverò a chiarire almeno alcuni dubbi epslcitamente espressi:
- I soldi li prenderò da papino. Te li restituirò per bene, non preoccuparti.
(Si possono anche restituire male?)
Sì, si possono restituire in modo parziario, centellinato in piccole rate, o anche solo dietro ripetuti richiami. Muto qui intende semplicemente dire che attuerà una corretta restituzione del prestito, che li restituirà "come si deve", uin un modo appropriato e quindi decente.
- La mia amicizia è arrivata adesso.
Lui è una mia amicizia, lei è una mia amicizia. Il termine "amicizia" significa, per metonimia, non solo il sentimento di "amicizia", ma anche un soggetto che ne sia oggetto. Come quando si dice "è una mia conoscenza", che è sinonimo alternativo di "è un mio conoscente". In questo caso, era necessario non esplicitare il sesso dell'amicizia, perché questa "anticipazione" avrebbe guastato lo svolgimento scenico degli eventi.
- Ehi, ma un gatto mai veduto.
Direi che questa è proprio trascritta male. La battura mi pare fosse un po' diversa.
- Haru-chan (e che diamine significa chan in italiano?!), va' al crocicchio!
-chan non significa nulla in italiano per sé, perché è un suffisso diminutivo-vezzeggiativo Giapponese. Haru è un nome giapponese di un personaggio giapponese e quindi la sua suffissazione è intesa seguire la sua lingua, tanto quanto il diminutivo di John è Jhonny, benché la lettera Y non sia per sé parte del nostro alfabeto (italiano). Ci avevi mai pensato?
- A breve, sul binario quattro, giungerà un treno in risalita. Poiché è pericoloso, vogliate arretrare sin dietro la linea bianca.
(Questa è fenomenale. Qualunque annunciatore in una stazione parlerebbe così, vero?)
In Giappone sì, proprio così. La scena è infatti ambientata in Giappone e il contenuto dell'annuncio è un annuncio giapponese tradotto IN italiano. Guardando la scena, si sta guardando e ascoltando qualcosa che accade in Giappone, non in Italia. Non è un annuncio ferroviario italiano. Anche se tradotto in italiano, resta un annuncio ferroviario giapponese. Un annuncio ferroviario giapponese tradotto in italiano e un annuncio ferroviario italiano sono cose diverse. Ci avevi mai pensato?
- L'esuvia di un om!
"ohm", oltre all'errore di trascrizione del quale, altro non posso dire oltreché: pregasi consultare dizionario italiano.
- Io penso sarebbe giusto che l'incaricato settimanale corra per acciuffare chi corre in corridoio e gli faccia fare il rifarlo daccapo.
(Poesia.)
No, non è poesia. Non c'è metro, non c'è rima. e' una riga di dialogo espressa in corretto italiano di prosa, semmai.

Analizziamola insieme!

"Io penso" <- proposizione principale

"sarebbe giusto" <- proposizione subordinata di primo livello, di tipo oggettivo, dove la congiunzione "che" è stata lecitamente messa per sottinteso.

"che l'incaricato settimanale corra" <- proposizione subordinata di secondo livello, di tipo oggettivo, con congiunzione "che" espressa.

"per acciuffare chi corre in corridoio" <- proposizione subordinata di terzo livello, di tipo finale

(nota: quel "chi" implicita "colui che", quindi implicita una successiva piccola subordinata di quarto livello, relativa)

"e gli faccia fare il rifarlo daccapo" <- questa è una subordinata oggettiva coordinata alla precedente di secondo livello, e quindi anch'essa di pari livello.

Peraltro, è una frase molto bella. Trascrivendola èpiù correttamente:

> Io penso sarebbe giusto che l'incaricato settimanale corra per acciuffare chi corre in corridoio e gli faccia fare il "rifarlo daccapo".

E' molto bella perché viene pronunciata dall'alunna "che si atteggia" durante la riunione di classe. Il problema sono gli alunni che corrono in corridoio (condotta proibita dal regolamento scolastico). Ogni settimana, c'è un "incaricato settimanale" (ruolo codificato) che ha il compito di vigilare sulle condotte vietate. Qui la ragazzina propone in forma "forense" (da cui il suo tono sintattico e recitativo, spocchioso), l'idea che l'incaricato settimanale "corra per acciuffare chi corre" e quindi lo sanzioni imponendo al reo la sanzione del "rifarlo d'accapo", una pratica molto usata in Giappone - se hai sbagliato a fare una cosa torni al punto di partenza di ciò che hai fatto male e lo rifai d'accapo nel modo debito. Ovviamente i compagni faranno notare che in questo modo si creerebbe il paradosso per cui anche l'incaricato settimanale "correndo per acciuffare chi corre", sarebbe lui stesso reo di avere "corso in corridoio", ma la proponente, che aveva previsto questa critica, aveva anche preparato il contrargomento: l'incaricato settimanale è come una pattuglia della polizia, che può quindi infrangere un limite di velocità all'inseguimento di chi avesse infranto quel limite di velocità.

E' una scena che adoro, perché è bello vedere dei piccoli che si relazionano in maniere logica. :-)

Per la cronaca, la scorsa settimana mentre andavo a prendere la mia fidanzata, che insegna alle scuiole medie, ho visto una professoressa "anziana" obbligare una intera classe a un "rifarlo d'accapo". Erano usciti da un cancello senza lasciare precedenza alla professoressa anziana che stava entrando. Lei s'è arrbbiat per la maleducazione, li ha obbligati a rientrare tutti, a chiudere il cancello. Quindi a riaprilo, far entrare lei, e quindi ri-uscire compostamente. :-)
- Ma com'è, non vieni, Ta-bimba?
(ahahah)
"Tabimba" è il soprannome della piccola Taeko, quindi? :-)
- S'arriva a dire che i figli crescono persino senza genitori, quindi se li si abbraccia con l'animo genitoriale del se gattoni alzati, se ti alzi cammina, perlopiù in qualche modo ce la si fa.
Anche questa è una frase molto bella che amo molto. Nel discorso nuzioale dell'anziana, lei sta predicando sulla condotta matrimoniale e quindi genitoriale. Trascrivendo meglio:

S'arriva a dire che i figli crescono persino senza genitori, quindi se li si abbraccia con l'animo genitoriale del "se gattoni alzati, se ti alzi cammina", perlopiù in qualche modo ce la si fa.

E' l'idea piuttosto paesana che i figli crescono, crescono comunque, quindi per quanto la prospettiva genitoriale possa a tutta prima sembrare troppo onerosa, bisogna mantenere un atteggiamento fiducioso di sprone secondo cui i figli passeranno da uno stadio di crescita all'altro spontaneamente, e in qualche modo ce la si fa a crescerli. :-)
- Silenzio, l'uno e le altre!
Povero Takashi, ha in famiglia un figlio maschio e ben tre generazioni della donna, come nel quadro di Klimt! Però in auto in quel momento la generazione più piccola manca, eh! :-)
- Potrebbe chiamarci la sua mamminina?
Carino, qui. Il bimbo piccolo (Kimura Toshio) chiama sua madre in un modo "deformato" in giapponese, perché la chiama "okachama". Nonoko, che è piccola anche lei, non capisce che il bimbo sbaglia, lo prende "alla lettera" (tant'è che si stupisce, come se fosse "una cosa speciale!"), e ripete puntualmente l'errore/deformazione che non ha rilevato. Non siamo ai livelli degli errori di Mei in Totoro su "girini" ("odamajakushi" che diveta "ojamatakushi", sarebbe "un taxi fastidioso") e "pannocchia" ("tomorokoshi" divenbta "tomokoroshi", che sarebbe tipo "ammazza insieme"), ma fa comunque tenerezza. :-)
- Del tuo nome abbine cura, eh?
Ah, carine queste cose.

Si chiama italiano, ti spiego.

"Abbi cura del tuo nome"

- Tu: soggetto sottinteso

- abbi cura: predicato verbale

- del tuo nome: costrutto genitivo dal valore partitivo/oggettivo

Poiché il punto della frase non è "cosa devi fare tu", ma "di cosa devi avere cura tu", il rema deve essere "il tuo nome", qiundi con una diloscazione dell'oggetto a sinistra lo si porta in prima posizione del costrutto e si ripete l'oggetto con pronome in forma enclita

"Del tuo nome, abbine cura."

Altro esempio:

"Della tua lingua madre, studiane le forme."

Col che salto per ovvietà (e ridondanza) a una frase "topica":
- Vado a recarmi un pochino dalla nonnina.
Esistono in italiano cose che si chiamano "usi fraseologici dei verbi".

Esempi: mi accingo a mangiare, mi appresto a raggiungerti. Cose di questo tipo.

Anche il verbo "andare" ha vari usi fraseologici. Tra questi, quello di sottolineare il principio di un'azione.

Esempio: " dunque andiamo a cominciare".

Chiaramente, in questo senso "andare" non è un "andare" fisico, quando un "procedere a".

In quella scena, Umi si sta congedando da qualcuno per recarsi da qualcun altro. Tutto qui.
- È parecchio completato!
Si può ben dire che qualcosa è "del tutto completo", o "parzialmente completato" o "parecchio completato". Ovvero, i vari stadi di avanzamento nel processo di "completamento".
Eccone alcune, grazie mille per la eventuale risposta.
Di nulla.

In generale, credo che rimanga quello che esprimevo organicamente nel post precedente:

Una battuta straniera tradotta nella nostra lingua NON è una battuta nata ed espressa nativamente nella nostra lingua.

Una lingua straniera tradotta in italiano non è semplicemente italiano, resta una lingua straniera trasposta IN italiano.

Credere il contrario è sbagliato. Auspicarlo è indebito ancorché nefasto, perché foriero di obiettivi travisamenti.

Una lingua si traduce, una cultura no.

Una battuta tradotta esprimerà nella lingua d'arrivo la cultura di partenza.

Proprio questo è il solo valore della traduzione, dell'adattamento, della localizzazione delle opere straniere.
Ultima modifica di Shito il gio mar 21, 2019 3:55 pm, modificato 1 volta in totale.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da nodisco »

Shito ha scritto: gio mag 10, 2018 8:25 am
- È parecchio completato!
Si può ben dire che qualcosa è "del tutto completo", o "parzialmente completato" o "parecchio completato". Ovvero, i vari stadi di avanzamento nel processo di "completamento".
"Parecchio", dalla Treccani, significa "In numero o in quantità notevole (un po’ meno che molto)": "parecchio completato" non ha senso come non avrebbero senso "molto finito" o "tanto concluso", lì ci dovevi mettere "quasi completato" o qualcosa che facesse intendere che lo stato di avanzamento dei lavori era a buon punto. E' un errore.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

Capisco quello che intendi. E' un problema che mi ero posto ai tempi della stesura, e me lo pongo sempre con tutti gli aggettivi "di soglia".

A rigore, non avrebbe senso neppure "del tutto completato" (tautologico/ridondante), eppure molto in uso.

O anche "pienamente sufficiente", idem: la sufficienza è una soglia, o si è sufficienti o non lo si è.

Tuttavia, nel caso, Jirou dice -in originale come in italiano- che lo stadio di avanzamento del processo di "completamento" dell'aereo è "molto, in quantità notevole" andato avanti. Credo sia perché, dal punto di vista di un ingegnere/progettista che disegna su carta, il "completamento" di un progetto è tutta la fase della costruzione reale, materica, nella quale quel prototipo/esemplare è ormai "parecchio avanzato".

Si tratta di una frase colloquiale, che ho inteso come prodotta in cosiddetta lingua "sub-standard".

Mi sono detto che se si dice "quasi completato", e "del tutto completato", non sarebbe stato più errato dire "parecchio completato". Del resto, lì, "stanno completando l'aereo" (<- verbo di attività continuata, progressiva).
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Levi »

Grazie per la risposta ad ogni frase. Continuano a suonarmi molto, molto male. Credo che il doppiaggio dovrebbe adattare il contenuto alla nostra lingua, non tradurre letteralmente. Se i personaggi dei film parlassero come parla mediamente un italiano istruito, la fruizione del contenuto sarebbe più piacevole. Questo accade in qualsiasi altro prodotto, non ricordo di casi simili negli altri doppiaggio. Comunque, come ho detto esordendo, apprezzo molto la sua passione. Un abbraccio
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

Grazie per il dialogo. Direi che nelle tue parole il punto di vista che esprimi è chiaro ed educato. Ed è anche comprensibile, nel senso che è espresso in modo logico, sensato. Proprio per questa ragione, mi permetto di ribadire taluni punti del mio discorso che ritengo focali, sui quali ti prego di provare a riflettere sinceramente.

Comprensibilmente, tu hai scritto:

"Se i personaggi dei film parlassero come parla mediamente un italiano istruito, la fruizione del contenuto sarebbe più piacevole."

Concordo, penso tu abbia ragione.

Ma il fatto è che la traduzione di un'opera straniera non ha lo scopo di rendere quella fruizione piacevole.

Una traduzione ha lo scopo di rendere la fruizione di un opera straniera efficace in senso linguistico.

In senso linguistico, una traduzione "efficace" è quella che permette a chi non conosce la lingua originale di comprendere la più grande percentuale possibile dei contenuti dell'originale.

Ovvero, posto che il pubblico italiano non conosca il giapponese, la traduzione ha il compito di presentare in italiano il contenuto di quanto espresso dal testo giapponese.

Ovviamente, ogni traduzione è un compromesso. Non si avrà mai una trasposizione di contenuto (e forma) completa al 100%. Per questo si cerca di approssimarsi quanto più si può a quel 100%.

Il migliore risultato possibile sarà quello di una traduzione correttamente in italiano, ma quanto più vicina al contenuto essenziale e formale dell'originale straniero.

In questo, il concetto stesso di "letteralità" è del tutto forviante in sé stesso. Perché non si può tradurre "alla lettera", e neppure "alla singola parola" - sono cose fattualmente impossibili, perché comunque ogni traduzione deve essere correttamente espressa in italiano. Ad esempio, benché taluni miei detrattori insistano che io "calchi strutture sintattiche del giapponese" questo è del tutto falso, perché è impossibile. Quelle particolari critiche non sono che il diletto di chi si diverte ignorantemente a dire scemenze. Il giapponese ha generalmente il predicato verbale in coda, è una lingua che tende all'ordine SOV (soggetto-oggetto-verbo), e frasi italiane con quell'ordine non si possono praticamente fare. Tutt'altro discorso è il fatto che la struttura dell'italiano standard, ovvero SVO (soggetto-verbo-oggetto) viene regolarmente modificata nell'italiano parlato, quindi anche nel "dialogo", perché nella lingua composta "in tempo reale" (non "differita, come nella prosa scritta) il criterio che prende il sopravvento è quello della "priorità del rema sul tema", e siccome il rema è spesso l'oggetto, mentre il soggetto è il tema contestualizzante, ci sono dislocazioni.

Se in prosa scriveremmo:

Questo discorso è proprio interessante! (S-V-O)

Parlando diremmo:

È proprio interessante, questo discorso! (V-O-S)

Questa è una particolarità della variazione diamesica (lingua parlata) e diafasica (lingua colloquiale) dell'italiano, il giapponese non c'entra nulla. :-)

Ci sono altri esempi e questioni, come ad esempio l'uso abbondante di proposizioni subordinate concessive preposte alla principale, e molte ancora.

La verità è che proprio il doppiaggio italiano tende per tradizione all'uso di una lingua italiana molto fasulla, molto ingessata, sia dal punto di vista delle strutture sintattiche usate, sia nella costante espressione, ripetizione dei soggetti 8che nella lingua parlata sono spesso omessi perché sottintesi), eccetera eccetera.

Il risultato è che il pubblico italiano è "abituato" a sentire parlare "la finzione scenica" con un italiano didascalico e fittizio.

Quindi ci sono due fattori:

1) Un originale straniero, qualora tradotto in maniera fedele e puntuale, sarà espresso correttamente nella lingua d'arrivo della traduzione, ma ancora "suonerà strano", perché il suo contenuto è e resta "straniero". Questo è inevitabile, ma è anche doveroso. Se così non fosse, sicuramente sarebbe il segno che la traduzione ha snaturato, addomesticandolo, il contenuto dell'originale. Al contrario, anche se il risultato di una traduzione fedele sembrerà più strano, e quindi anche ostico da fruire, questo non è un problema.

2) La lingua italiana ha molte possibilità di utilizzo e espressione che di certo non sono limitate a quelle a cui si è "abituati". Sicuramente le forme, le parole, le espressioni più banali e comuni fanno subito sentire l'ascoltatore "a proprio agio", e forse per questo sono "piacevoli all'ascolto" - perché il gusto soggettivo viene soprattutto dall'abitudine, ma questo non è un valore. Al contrario, è un impoverimento mirato all'appagamento dell'umano lassismo inconscio, ed è una cosa negativissima. Al contrario, anche se il risultato di una traduzione fedele risulterà più impegnativo da fruire, questo non è un problema, anzi sarà un bene.


Per questa ragione, il mio tentativo è sempre quello di sfruttare al meglio, al più, tutta la ricchezza e le possibilità della lingua italiana per rendere al meglio, al più, tutti i contenuti dell'originale che adatto.

Solo in questo modo sarà possibile, per il pubblico dei miei connazionali, avvicinarsi al contenuto dell'opera che adatto e DECIDERE LIBERAMENTE se quell'opera gli gusti o meno.

Ma in generale, il fatto è che la maggior parte dei miei detrattori non fanno che frignare in maniera sciocca, ineducata e volgare perché il risultato di una traduzione fedele e puntuale non gli piace. Il che significa solo che queste persone, piuttosto che essere interessati a capire davvero il contenuto dell'opera straniera che guardano, sono interessati a sollazzarsi con qualcosa che gli risulti piacevole, gradevole, e chissenefrega di cosa voleva dire o esprimere o significare nella sua realtà.

Non sono io a dover rendere "piacevole" un'opera giapponese a te, o a nessun altro.

Un'opera giapponese è quella che è, e vive di una cultura straniera (quella giapponese, in questo caso), espressa dalla mente e dall'operato di un autore straniero (giapponese, in questo caso). Io cerco di proporre tutto questo in italiano, restando quanto più vicino a quella che è questa realtà straniera. Così poi potrai decidere tu se la trovi piacevole o meno. L'opera è quella che è lei, non la devo glassare io di zuccherini perché a te (mettiamo caso) piacciono le cose dolci.

Per esempio, e faccio un esempio reale, spesse volte in "Gli Yamada" il capofamiglia Takashi apostrofa in maniera sgarbata la moglie. Sbotta proprio dicendo: "Brutta stupida!" (bakayaro!).

Questa cosa ha disturbato molto i miei genitori, alla visione. Perché per loro è una condotta coniugale inaccettabile.

Ma è quello che Takahata Isao ha inteso. Seguendo lo special che è sottotitolato nel BD lo si capisce chiaramente, perché il regista lo dice chiaramente. Allo stesso modo, il padre dice tranquillamente "Ma che stupido che sei!" al figlio Noboru, o cose così. Che ai miei genitori piaccia o meno, è quello che il regista voleva fare, e quindi è quello che l'opera è. Eventualmente il film e il suo autore non piaceranno ai miei genitori, e se così sarà, vorrà dire che così deve essere, tutto qui.

Allo stesso modo, è importante che Kiki in italiano continui a ostentate un'affettata, pedante educazione, perché lei è una bimba campagnola che giunge in città. Per lei è tutto "suteki" (stupendo!), e anche per dire "buongiorno" usa sempre la forma completa "ohayou-gozaimasu", che risulta alla lunga ridondante. Si deve sentire la differenza tra la campagnola e i cittadini, perché quando lei tutta educata e sorridente viene snobbata da tutti ci resta di merda, ed è il senso del film (dichiarato e spiegato dall'autore, anche).

Il valore delle cose non è nella loro piacevolezza, no.

Il valore delle cose è nella verità del loro significato.


La mia ortodossia nasce e vive di questo pensiero.

(Detto il che, è pacifico che alcune cose mi vengano meglio, altre peggio, che alcune battute siano meglio riuscite di altre, che alcune comportino più sacrificio di altre, o che alcune siano riuscite un po' infelici - perché la traduzione è compromesso, quindi è imperfetta, e certamente anche io sono imperfetto)

(Per fare un esempio concreto, c'è una frase in Arrietty "mi sono allenata a non finire!", che benché corretta – la locuzione italiana "a non finire" esiste ed è calzante su quella usata in originale, non è particolarmente riuscita, secondo me. A ripensarci, oggi userei la locuzione "a più non posso" -> "Mi sono allenata a più non posso!", che pure mi pare migliore della locuzione "a tutt'andare", che già avevo scartato. Ma a i tempi "a più non posso" non mi era saltata in mente, ahimé.)
Ultima modifica di Shito il gio mar 21, 2019 4:02 pm, modificato 4 volte in totale.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da nodisco »

Shito ha scritto: gio mag 10, 2018 8:46 pm A rigore, non avrebbe senso neppure "del tutto completato" (tautologico/ridondante), eppure molto in uso.

O anche "pienamente sufficiente", idem: la sufficienza è una soglia, o si è sufficienti o non lo si è.
No, la sufficienza è una soglia superabile, si può avere una quantità ampiamente, largamente o pienamente sufficiente a soddisfare certi requisiti: se devo comprare un libro che costa 18€ ed io ne ho 20 il denaro in mio possesso è pienamente sufficiente allo scopo.

La completezza invece non è superabile, una cosa può essere completata parzialmente, quasi, in parte, eccetera, ma non "molto" o "parecchio", e il fatto che si stia usando un linguaggio colloquiale non giustifica l'uso di errori come questo, non vedo perché una persona capace di esprimersi correttamente nella propria lingua dovrebbe parlarla male in situazioni come quella - la scena peraltro è ambientata sul posto di lavoro.

Sul fatto che "del tutto completato" sia molto in uso poi non sono affatto d'accordo, non so da dove nasca questa certezza.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

Ti ricordo che, in italiano (ma anche in latino), si ammette persino il concetto di "più che perfetto" (dove perfetto significa originariamente e realmente 'compiuto, completo di tutto, concluso"), come per le leggi "plus quam perfectae" del diritto romano... e a rigore si capisce bene che sarebbe del tutto ossimorico.

Sul "del tutto completato", o "completato del tutto", la cosa nasce anche in opposizione al "quasi completato", o anche dal in effetti ossimorico "completato in parte" (che pure non avrebbe un senso del tutto coerente) - chiaramente l'opposto efficiente a tutte queste locuzioni sarebbe già il solo "completato" (e basta).

Guarda che combo:

http://www.amanteaonline.it/amantea/201 ... 03193.html

:-)

Se dovessimo fare i rigorosi davvero, io non riuscirei a parlare di minuti e secondi, dato che sono minuti anche i secondi, come si sa: minuti primi e minuti secondi. ^^;
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Levi »

Shito, capisco la volontà di non voler snaturare il prodotto, è giusto non addolcire la pillola (es. esempio del padre che insulta la madre) ma il mio discorso era diverso. Ti faccio due esempi. Nella scena di quel prodotto, i dialoghi che hai scritto sono questi:

- Silenzio, l'uno e le altre!

Non era meglio scrivere una cosa tipo "Silenzio, tutti quanti!" oppure "Fate silenzio!" oppure "State zitti!". Stesso significato, ma frase che chiunque userebbe, non che chiunque non userebbe.

- No, Nonoko stava per bene sulla panchina.

Non era meglio evitare di inserire quel "per bene" che rende la frase innaturale? Anche perché Nonoko era sbracatissima sulla panchina, non di certo seduta "per bene".
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da hickok »

Shito ha scritto: ven mag 11, 2018 1:30 pm Ti ricordo che, in italiano (ma anche in latino), si ammette persino il concetto di "più che perfetto" (dove perfetto significa originariamente e realmente 'compiuto, completo di tutto, concluso"), come per le leggi "plus quam perfectae" del diritto romano... e a rigore si capisce bene che sarebbe del tutto ossimorico.

Sul "del tutto completato", o "completato del tutto", la cosa nasce anche in opposizione al "quasi completato", o anche dal in effetti ossimorico "completato in parte" (che pure non avrebbe un senso del tutto coerente) - chiaramente l'opposto efficiente a tutte queste locuzioni sarebbe già il solo "completato" (e basta).
Non è questo il punto della contestazione.
La contestazione riguarda l'uso di "molto completato", che non è sinonimo di "del tutto completato".
Infatti da nessuna parte "molto perfetto" è considerato un modo di dire corretto o anche solo accettato.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da hickok »

Shito ha scritto: gio mag 10, 2018 8:25 am
- Io penso sarebbe giusto che l'incaricato settimanale corra per acciuffare chi corre in corridoio e gli faccia fare il rifarlo daccapo.
(Poesia.)
No, non è poesia. Non c'è metro, non c'è rima. e' una riga di dialogo espressa in corretto italiano di prosa, semmai.

Analizziamola insieme!

"Io penso" <- proposizione principale

"sarebbe giusto" <- proposizione subordinata di primo livello, di tipo oggettivo, dove la congiunzione "che" è stata lecitamente messa per sottinteso.

"che l'incaricato settimanale corra" <- proposizione subordinata di secondo livello, di tipo oggettivo, con congiunzione "che" espressa.

"per acciuffare chi corre in corridoio" <- proposizione subordinata di terzo livello, di tipo finale

(nota: quel "chi" implicita "colui che", quindi implicita una successiva piccola subordinata di quarto livello, relativa)

"e gli faccia fare il rifarlo daccapo" <- questa è una subordinata oggettiva coordinata alla precedente di secondo livello, e quindi anch'essa di pari livello.

Peraltro, è una frase molto bella. Trascrivendola èpiù correttamente:

> Io penso sarebbe giusto che l'incaricato settimanale corra per acciuffare chi corre in corridoio e gli faccia fare il "rifarlo daccapo".
La concordanza dei tempi, nel caso del condizionale presente nella frase principale, richiede l'uso del congiuntivo passato nella subordinata.
Quindi "Sarebbe il caso che [...] corresse", non "corra".
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da hickok »

Shito ha scritto: gio mag 10, 2018 8:25 am
- A breve, sul binario quattro, giungerà un treno in risalita. Poiché è pericoloso, vogliate arretrare sin dietro la linea bianca.
(Questa è fenomenale. Qualunque annunciatore in una stazione parlerebbe così, vero?)
In Giappone sì, proprio così. La scena è infatti ambientata in Giappone e il contenuto dell'annuncio è un annuncio giapponese tradotto IN italiano. Guardando la scena, si sta guardando e ascoltando qualcosa che accade in Giappone, non in Italia. Non è un annuncio ferroviario italiano. Anche se tradotto in italiano, resta un annuncio ferroviario giapponese. Un annuncio ferroviario giapponese tradotto in italiano e un annuncio ferroviario italiano sono cose diverse. Ci avevi mai pensato?
Mi permetto una domanda su questo: in che modo è strutturato l'annuncio giapponese per far sì che venga tradotto con "sin dietro" anziché con un molto più comunque "fino a" che qualsiasi persona normale userebbe?
Cosa vuol dire che in Giappone l'annunciatore parla così? Usa un termine giapponese desueto per dire "fino a"?

Analogamente, perché " a breve giungerà" e non "è in arrivo". In italiano qualsiasi persona direbbe "è in arrivo", quindi se qui la traduzione è "a breve giungerà", mi immagino che la frase giapponese sia una frase inusuale, diversa da quella che un qualsiasi giapponese userebbe per parlare di un terno in arrivo. In cosa consiste questa differenza?

Se l'annuncio ferroviario giapponese al viaggiatore giapponese non provoca alcuno straniamento per la terminologia e la costruzione della frase usate, il fatto che la traduzione italiana suoni così "inusuale" all'ascoltatore italiano è un errore.
la localizzazione non deve riprodurre il lessico della lingua sorgente asetticamente, ma deve riprodurre il tipo di impatto che ha sull'ascoltatore. Se per il giapponese medio gli annunci del treno sono normalissimi e ripetitivi, la versione italiana per fare un buon lavoro deve risultare analoga per lo spettatore italiano.
Se voglio sentire l'annuncio giapponese, guardo il film in giapponese. Anche perché, dire che la scena è ambientata in Giappone e quindi l'annuncio è giapponese non ha senso: l'annuncio è in italiano, quindi non è comunque in giapponese.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

Levi ha scritto: ven mag 11, 2018 1:41 pm Shito, capisco la volontà di non voler snaturare il prodotto, è giusto non addolcire la pillola (es. esempio del padre che insulta la madre) ma il mio discorso era diverso. Ti faccio due esempi. Nella scena di quel prodotto, i dialoghi che hai scritto sono questi:

- Silenzio, l'uno e le altre!

Non era meglio scrivere una cosa tipo "Silenzio, tutti quanti!" oppure "Fate silenzio!" oppure "State zitti!". Stesso significato, ma frase che chiunque userebbe, non che chiunque non userebbe.
No, non sarebbe stato meglio.

Sarebbe stato totalmente sbagliato, perché in originale il personaggio si esprime in un modo quanto più simile a come è stato adattato in italiano (corretto), e questa "maggiore similitudine" è tutto, e ribadisco TUTTO, lo scopo della traduzione/adattamento/localizzazione.

Al di là del fatto (che ribadisco sempre), che nessun singolo è nella posizione o in diritto di disquisire con certezza sugli usi a nome di "tutti" e "nessuno", ma anche se si potesse (e non si può), ancora il fatto che "nessun ITALIANO" userebbe questo un dato di esprimersi", che resta comunque correttamente espresso in lingua italiana, ancora, NON rappresenta ALCUNA deterrente all'impiego di quel modo di esprimersi in ambito di traduzione e resa di una lingua straniera - il cui compito è SOLO E SOLTANTO quello di rendere AL MEGLIO, ovvero QUANTO PIU' FEDELMENTE POSSIBILE, ogni sfumatura dell'originale.

Tutto questo era il contenuto espresso nella precedente e più oraganica risposta, che mi domando a questo punto se tu abbia letto e/o inteso.

Levi ha scritto: ven mag 11, 2018 1:41 pm - No, Nonoko stava per bene sulla panchina.

Non era meglio evitare di inserire quel "per bene" che rende la frase innaturale? Anche perché Nonoko era sbracatissima sulla panchina, non di certo seduta "per bene".
No, non sarebbe stato meglio evitare di inserire quel "per bene2, perché in originale C'È (iirc "chanto"), e TANTO BASTA. Il tradutorre/adattatore NON DEVE sindacare il contenuto dell'originale e NON LO DEVE assoggettare agli usi, le usanze, il "gusto" suo proprio o della sua "presunta" comunità nazionale sociale e linguistica.

Yamada Takashi dice che "No, Nonoko stava seduta per bene sulla panchina".

Dice così, in originale (in giapponese), e cos' deve dire in italiano. Nulla di più, nulla di meno.

Ogni ragionamento ulteriore è indebito, non dovuto, non necessario, nocivo.

Quanto a come fossa seduta Nonoko, l'ultima memoria di Takashi è che lei fosse seduta "per bene", nel senso di "a dovere, come le era stato detto", sulla panchina dove era stata posta ad attendere. A parte che non dice "seduta composta", il fatto è che poi quando tutti se ne vanno (dimenticandosela), lei era assopita, e "scivola2 in posizione straiata. Ma questo Takashi non l'ha visto, e men che meno può ricordarlo. Il suo ultimo ricordo è che lei era seduta a dovere dove le si era detto di sedersi.
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Re: Su doppiaggi, localizzazioni e adattamenti dei film Ghibli

Messaggio da Shito »

hickok ha scritto: ven mag 11, 2018 3:46 pm
Shito ha scritto: gio mag 10, 2018 8:25 am
- A breve, sul binario quattro, giungerà un treno in risalita. Poiché è pericoloso, vogliate arretrare sin dietro la linea bianca.
(Questa è fenomenale. Qualunque annunciatore in una stazione parlerebbe così, vero?)
In Giappone sì, proprio così. La scena è infatti ambientata in Giappone e il contenuto dell'annuncio è un annuncio giapponese tradotto IN italiano. Guardando la scena, si sta guardando e ascoltando qualcosa che accade in Giappone, non in Italia. Non è un annuncio ferroviario italiano. Anche se tradotto in italiano, resta un annuncio ferroviario giapponese. Un annuncio ferroviario giapponese tradotto in italiano e un annuncio ferroviario italiano sono cose diverse. Ci avevi mai pensato?
Mi permetto una domanda su questo: in che modo è strutturato l'annuncio giapponese per far sì che venga tradotto con "sin dietro" anziché con un molto più comunque "fino a" che qualsiasi persona normale userebbe?
Cosa vuol dire che in Giappone l'annunciatore parla così? Usa un termine giapponese desueto per dire "fino a"?

Analogamente, perché " a breve giungerà" e non "è in arrivo". In italiano qualsiasi persona direbbe "è in arrivo", quindi se qui la traduzione è "a breve giungerà", mi immagino che la frase giapponese sia una frase inusuale, diversa da quella che un qualsiasi giapponese userebbe per parlare di un terno in arrivo. In cosa consiste questa differenza?

Se l'annuncio ferroviario giapponese al viaggiatore giapponese non provoca alcuno straniamento per la terminologia e la costruzione della frase usate, il fatto che la traduzione italiana suoni così "inusuale" all'ascoltatore italiano è un errore.
la localizzazione non deve riprodurre il lessico della lingua sorgente asetticamente, ma deve riprodurre il tipo di impatto che ha sull'ascoltatore. Se per il giapponese medio gli annunci del treno sono normalissimi e ripetitivi, la versione italiana per fare un buon lavoro deve risultare analoga per lo spettatore italiano.
Se voglio sentire l'annuncio giapponese, guardo il film in giapponese. Anche perché, dire che la scena è ambientata in Giappone e quindi l'annuncio è giapponese non ha senso: l'annuncio è in italiano, quindi non è comunque in giapponese.
No, il concetto di "correttezza di traduzione" non si valuta sul (presunto) "effetto sortito sul ascoltatore nativo e straniero", ma sul CONTENUTO.

Quindi, se il contenuto è correttamente tradotto, l'originale suonerà "normale" giapponese, la tradizione suonerà "strana" all'ascoltatore italiano. Ed è giusto che sia così: perché la lingua tradotta è "giapponese tradotto in italiano2, non è "italiano2. I contenuti linguistici sono e restano stranieri, cambia solo la forma linguistica.

Il punto di vista che esprimi è proprio tutto sbagliato da principio, ed è quello che tipicamente trasforma una "traduzione in italiano" in una "italianizzazione".
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