Caro Gualtiero,
dopo la tua molto più che dettagliata risposta, per molto tempo ho oscillato tra il risponderti a tono e il lasciar perdere.
Volevo risponderti, ma mi tratteneva una sensazione di dubbio di fondo, causata dal fatto che proprio in apertura della tua replica mi ha indisposto un'aggiunta -indelicata - di un punto di domanda tra parentesi al tuo incipit. Come se sottintendesi che il complimento che mi hai fatto non fosse in realtà sincero. Cito:
"Di mio, posso dirti che mi fa piuttosto piacere leggere un messaggio di critica come i tuo, che ho trovato educato sia nella forma che nei contenuti - in senso sia italiano che inglese, per capirci (?)."
Come a dire che sembro sveglio, ma forse non abbastanza da cogliere la differenza di significato che inglese ha il termine 'education' rispetto all'italiano.
Così, pure dopo aver cominciato a scrivere una risposta puntuale sulle questioni più imprtanti, ho tentennato a lungo, e infine mi sono detto: 'lascia perdere'.
Ora, però - pure a un anno di distanza - ha vinto il rimorso di qualcosa di lasciato incompiuto. Prendilo pure come un capriccio infantile. Non certo per avere l'ultima parola, che non mi interessa. Quanto piuttosto per una vera e propria urgenza di dire qualcosa che va detto.
Sotto riporto la risposta, seppre incompiuta, che iniziai a scrivere più di un anno fa.
Permettimi quindi di dubitare della tua 'conoscenza' del giapponese, almeno fino a un anno e più fa. Magari hai fatto progressi. Dopo.
Ecco il testo, per quello che vale.
"
Ti ringrazio per esserti preso la briga di rispondermi in modo così dettagliato. A dire la verità contavo su una tua risposta ma non mi aspettavo addirittura una replica (altrettando 'educata', in entrambe le tue accezioni che capisco benissimo) in tempi così rapidi.
Ho letto con attenzione il post precedente, soprattutto le tue repliche, nonchè altre discussioni che si possono facilmente trovare in giro. Quindi mi sforzerò di non costringerti a ripetere.
Non posso esimermi dal replicare sugli adattamenti particolari da cui ho cominciato la discussione, non certo per cavillare, quanto piuttosto perchè nella tua replica vedo gli elementi utili a portare la discussione sul metodo.
Questo è infatti, come spero si sia già capito, quanto mi sta più a cuore, piuttosto che poter dimostrare di aver avuto ragione su una singola questione.
Parto dal caso più semplice, che quello di 'yarasete itadakimasu'.
Innanzitutto non hai replicato all'osservazione che la resa come 'mi concedo di' è fondamentalmente sbagliata. Quella giapponese, non la definirei neppure una 'espressione idiomatica' in quanto è semplicemente un normale utilizzo della grammatica giapponese dei verbi di dare e ricevere nel registro di linguaggio onorifico.
Inoltre, concedimi, questa espressione, come quelle correlate, non è per nulla ambigua.
Il testo che citi non parla di ambiguità, quanto di opportunità di usare 'yaraseru' piuttosto che 'saseru', per la sfumatura di cui si fanno carico.
Per la cronaca, come conferma il testo di cui riporti il link, il 'yara(sa)sete' che citi non è una versione alternative, come si potrebbe intendere; bensiì è un errore di grammatica che capita di fare ad alcuni giapponesi quando cercano di 'parlare forbito'. Gli scappa un 'sa' di troppo. Mutatis mutandis, l'effetto all'ascolto è simile a quando da noi qualcuno dice 'famo' invece di 'facciamo', anche se il paragone è un molto stirato. Come effetto emotivo è come quando da noi si sbaglia la coniugazionie di un congiuntivo.
Citando dal link:
「やらせていただきます」は良くても、「やらさせていただきます」は、よろしくありません。 「させる」を謙譲表現として誤用した「さ入れ言葉」をあちこちで頻繁に見聞きします。
Per chi si chiede cosa sia una 「さ入れ言葉」 (sa-ire kotoba) la spiegazione si può trovare, sempre in giapponese, su (primo link che mi è piaciuto):
https://www.goodcross.com/knowledge/words/2125-2015
Tengo a queste precisiazioni perchè mi pare che l'errore sia ricorrente e non limitato al personaggio di Jiro di 'Si alza il vento'.
Per esempio mi sovviene 'la Principessa Mononoke'. Ho memoria del protagonista maschile che dice qualcosa come 'questa ragazza mi concedo di prenderla per me'. Non ho il testo originale a disposizione, ma credo che l'analogia si veda. Se mi sbaglio, chiedo scusa in anticipo.
Il punto è che il verbo 'concedere' è errato rispetto proprio a quei criteri di corrispondenza a cui ti vorresti attenere, indipendentemente dal personaggio che pronuncia la battuta.
Spero che non ti sia stufato di leggere, e con te chiunque altro segua, perchè il punto che segue credo che possa essere molto più stimolante per la discussione.
Grazie per la spiegazione di come è nata la scelta di 'secondo fratello'.
Non so a te, ma a me sporge immediata e chiara una riflessione. Spero di riuscire a farti prendere il mio punto di vista per un momento. Non perchè sia migliore di quello di chiunque altro o del tuo, semplicemente perchè penso possa offrti l'occasione di riprovare un cambio di prospettiva, di cui penso beneficeresti.
Quando un giapponese ascolta le battute del film, quello che intende naturalmente, perchè corrisponde immediatamente alla lingua che ha imparato, è il nii-nii come nomignolo infantile. Probabilmente in un secondo (o anche terzo o quarto) possono arrivare al gioco di parole, magari non senza una spiegazione. La reazione che ho visto io è 'ah... so iu koto ka...' oppure 'naruhodo'.
Con la tua scelta di adattamento invece l'effetto sullo spettatore italiano è il contrario. Arriva solo il gioco di parole, che peraltro risulta come tale incomprensibile in italiano; mentre il fatto che sia un nomignolo viene perso completamente.
Puoi allora definire davvero 'autentico' il tuo adattamento?
Dove finisce "la chiarezza intesa come univocità di intendimento"?
Lo spettatore intende univocamente quello che hai voluto far risaltare tu.
E' veramente colpa della pigrizia dello spettatore?
L'univocità è una presunzione e il tuo adattamento non è la 'scelta più corretta' in termini assoluti, che non esistono. E' una scelta frutto di una predilezione di criteri di aderenza lessicale, sull'altare della quale preferisci sacrificarne altri, che pure influenzerano la comprensibilità e pertanto l'apprezzabilità.
Tu razionalizzi questa predilezione in ragione della teoria che ti sei costruito. Tuttavia dovresti riconoscere che, semplicemente spostando le categorie di valutazione, ne potresti costruire molte altre e alterttanto ferree.
Che cosa è più forte? Il contenuto storico di significati delle parole o la tradizione di relazioni fra le stesse? In presenza di indicazioni contradditorie, cosa prevale?
Nel caso di 'secondo fratello', il prezzo da pagare per catturare un significato di dimensioni minime rispetto a quello principale è stato che quest'ultimo non è proprio passato. Ne è valsa la pena? Su che criteri lo giudichiamo?
Non puoi farlo su quelli della tua stessa teoria su cui hai fatto la scelta, perchè sarebbero autoreferenziali e la riposta logica conseguente sarebbe 'sì assolutamente'.
L'unico modo di avere una valutazione è cercare altrove il confronto, separandosi dalla tentazione del solipsistico autocompiacimento della propria arte.
Qusesta compensibilità globale è data infatti da una serie di elementi, di cui il lessico è una piccola parte e probabilmente la più semplce da gestire, visto che - senza voler sminuire il tuo lavoro, di cui riconosco l'onere - è sufficiente fare un uso sistematico ancorchè quasi meccanico dei dizionari.
Quando produci un adattamento, sulla base di cosa andresti a valutarne la qualità? I criteri su cui mi sembra che ti sei basato finora sono autoreferenziali ed è logico che quindi ti sembri di stare facendo un ottimo lavoro.
Mi spiace smontare la tua bella teoria ma non esiste alcun mondo delle idee-verbi platonico-veterotestamentari.
Da quello che dichiari, capisco che tu prediligi la prima perchè intravedi un'essenza dei 'verbi', di cui le parole delle varie lingue sono una manifestazione.
Sei d'accordo con me che in ogni caso, non esiste una scelta 'corretta' in termini assoluti? Ovvero che in qualunque modo si traduca, non si lede la maestà di alcun abitante
Nel tuo caso questa predilezione è sempre estrema.
--interrotto
mi spiace. Come dicevo all'inizio, è un discorso interrotto.
Davvero. Se sei contento tu e sono contenti gli acquirenti dei dischi coi tuoi adattamenti, niente più da eccepire. Tanto "tutto e soggettivo".
Io lascio perdere. Non ne vale più la pena.