In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Discussioni su gli autori e anime/cartoni non-Ghibli

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Sayonara no Natsu
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Sayonara no Natsu »

Io sono proprio un caso clinico. Ero partito con l'intenzione di scrivere giusto qualche considerazione e ho finito col solito WoT...
Spero almeno che dopo averci sbattuto un bel po' la testa, sia uscito fuori qualcosa di, se non veramente interessante, quantomeno non soporifero. ^^

Sono già state dette diverse cose su quest'opera, e con buona parte mi trovo d'accordo. Di mio, posso aggiungere che ho avuto l'impressione che questo film non solo abbia lo scopo di ricreare (e quindi mostrare) sostanzialmente la vita comune dell'epoca, ma sia anche una sorta di, ma magari è solo una sciocchezza, sincero, grande elogio alla normalità stessa. Mi piacerebbe dilungarmi un pochino su tutto ciò.

Ci sono vari elementi che mi hanno portato a queste conclusioni. Innanzitutto, il fatto che l'intera vicenda verte su persone normali, che vivono in maniera normale e che fanno cose normali, tuttavia inserite in un contesto anormale. Ma secondo me anche la guerra è più che altro un elemento sullo sfondo che "serve" da agente disturbante di questa normalità, perché, pensandoci, in effetti noi non vediamo la guerra veramente, bensì vediamo i protagonisti che man mano che il conflitto entra nelle loro vite, cercano nonostante tutto di ristabilire come possono una qualche normalità. Finisce dunque con l'essere, che sia voluto o meno non so, una sorta di "escamotage" per permetterci di osservare come vivesse, come cambiasse e come reagisse una famiglia comune ad un evento così catastrofico come uno scontro bellico di quella portata. Diciamo insomma che se nella prima parte del film ci viene mostrata la vita quotidiana dell'epoca, talvolta quasi con un afflato documentaristico, attraverso la protagonista che si occupa dei lavori più comuni del tempo e che si relaziona con gli altri personaggi (una cosa che a questo proposito mi ha colpito, è la grande attenzione riservata agli inchini), nella seconda parte invece ci viene mostrata, sempre tramite la vita di singoli, proprio la "lotta" che tutti dovevano portare avanti per tentare di resistere e ristabilire in qualche modo un po' di quella stabilità. Ovviamente questa "lotta" non è fatta da colpi di spada e simili, ma non è neanche quella del tipo di, che so, un Seita che per cercare di sopravvivere (e, in fondo, anche lui per tentare di ritornare alla spensierata, priva di veri doveri, vita normale - per lui e pochi altri soltanto, ovviamente - che faceva quando ancora viveva con la madre) deve darsi a furti, imbrogli, finendo persino con l'essere battuto ed essere portato davanti alle autorità, ma al contrario la "lotta" dei protagonisti è quella che, suppongo, fosse portata avanti dalla stragrande maggioranza delle persone all'epoca, fatta di sopportazione, tenecia e unità familiare. E così ci viene mostrata con gran dovizia di particolari Suzu che per far fronte al razionamento si prodiga con tutto ciò che riesce a trovare e con le proprie conoscenze culinarie per procurare il cibo per la famiglia, ci vengono mostrate le file di persone in attesa per ricevere i vivere per la sussistenza, ci viene mostrato il mercato nero, ci vengono mostrati i continui, divenuti a quel punto abituali, allarmi e le conseguenti fughe nel rifugio antiareo (e anche qui con uno stile vagamente documentaristico).

Ora, se scrutando l'opera con uno sguardo essenzialmente al generale, diciamo con una visione d'insieme, si arriva a queste considerazioni, se la si osserva con un'attenzione al particolare (principalmente guardando i singoli avvenimenti e il comportamento dei singoli peronaggi), mi sembra si possa trovare qualche altro elemento che corrobori o quantomeno che giustifichi parzialmente la mia interpretazione del film.

Prendiamo quello che praticamente è il fulcro di tutta la storia, ovvero Suzu.

Personalmente ritengo che sia principalmente lei che porta con sé questo elogio alla normalità. A parte il suo talento artistico (di cui parlerò fra poco), lei è davvero una ragazza comune. Se Chihiro se non sbaglio nasce come personaggio realistico ma finisce in ogni caso (forse a Miyazaki scappò la mano?) a far l'eroina, lo stesso non si può dire per Suzu. E' un personaggio che è stato trattagiato in maniera assai piana, le sue caratteristiche sono quelle di una ragazza normale, e per tutto il film non ha mai particolari slanci che stonano con il suo carattere. E' talvolta simpaticamente - e forse pure un po' infantilmente? - goffa e sbadata (come quando si perde dopo essere andata al mercato nero, o quando fa disciogliere - da notare che lì sembra più una coetanea di Harumi che ormai una potenziale madre di famiglia ^^ - lo zucchero nell'acqua o ancora quando si spoglia durante la cerimonia di matrimonio), e di una ragazza normale ha la sensibilità, la pacatezza, la pragmaticità e anche spinte altruistiche (tipo quando lascia l'anguria per la bambina che si rivelerà poi essere Rin), ma altresì gli stessi problemi e timori (tribola un po' per la mancanza di capelli). E coerentemente con quanto appena detto, noi la vediamo principalmente alle prese con attività assai comuni (a prendere l'acqua, a creare sandali, a cucinare...) o comunque in situazioni "normali" per la maggior parte delle persone dell'epoca (in coda, mentre fa il bagno o anche, per quei momenti, al mercato nero...). In un certo senso, è davvero notevole questa capacità di trattare per lo più di cose comuni e renderle interessanti, ma propio in questo direi si cela uno dei motivi di fascino del film. Ad ogni modo, tutto quello che ho appena scritto viene praticamente espresso proprio dall'amico d'infanzia, che la pungola un po' dicendole che è terribilmente ordinaria, ma, e qui è dove voglio andare a parare io, allo stesso tempo le chiede di non cambiare mai. A me sembra proprio che questa normalità venga lodata se non addirittura osannata, magari indirettamente, per pressoché tutta la durata del film. La nuora è l'altro personaggio femminile più importante della storia, e a conti fatti è lei l'unica vera amica della protagonista, ma nonostante questo mi sembra di leggere tra le righe una sorta di sottile biasimo per lei. Lei è stata una donna intraprendente, audace e "progressista" per i tempi: vestiva all'occidentale, andava nei ristoranti di un certo livello, voleva chiedere il divorzio e non aveva imparato molto bene i lavori domestici (sbagliave nel cuocere il riso, ad esempio, o nel creare i sandali), insomma, aveva un po' rifiutato il ruolo tradizionale della donna dell'epoca, ma alla fine ha per certi versi "pagato" tutto questo. Ad esempio, il fatto che si mette a piangere dopo che i genitori commentano, avendo visto Suzu e lo sposo baciarsi, che non c'è nulla di male che due coniugi vadano d'accordo, mi fa pensare (ma qui davvero potrei soltanto avere frainteso, e magari piangesse più che altro perché il marito non lo aveva più) che la sua relazione matrimoniale non fosse andata molto bene. In ogni caso, è un fatto che aveva perso il marito, aveva dovuto cedere il figlio maschio ai parenti e in ultima analisi se ne è dovuta tornare a vivere coi genitori dopo aver vissuto come voleva lei (e anche se qui c'è effettivamente il motivo che le avevano letteralmente smantellato casa, mi sembra sia comunque una sorta di "sconfitta"). Lei stessa afferma che anche se tutti avevano avuto problemi, essi comunque derivavano dalle proprie scelte di vita (tranne quelli di Suzu perché lei era stata più che altro vittima senza colpa), riconoscendo così in un certo senso, se non i proprio sbagli, quantomeno che quelle decisioni l'avevano portata a patire diverse sofferenze. Insomma, anche se è un personaggio ben caratterizzato e a cui è stato riservato un ruolo importante all'interno della vicenda, nell'inevitabile confronto tra lei, che è imperiosa e raffinata, e la dolce, semplice, volenterosa e "umile" Suzu, beh, non riesco a non avvertire una certa inclinazione favorevole dell'autore verso quest'ultima.

Forse qualcuno a questo punto penserà che io stia un po' troppo calcando troppo la mano sulla normalità di Suzu, e che mi sia scordato della sua indole artistica e dunque fantasiosa. No, non me lo sono dimenticato. ^^

C'è un altro regista di nostra conoscenza che ha il coraggio e l'abilità di trattare anche solo di cose comuni e di riuscire a renderle interessanti, nonché di rivalutare la "mediocritas", e che sarebbe davvero strano se per fare questo film i creatori non si siano ispirati anche a lui. Scemenze a parte, mi sto riferendo, ovviamente, a Takahata: in effetti, siamo mooolto più vicini a lui che a Miyazaki (ma qui cadiamo nel detto e ridetto). Una cosa assai curiosa, però, è che questo regista ha in comune con Takahata non solo la rivalutazione della normalità (che considerando l'epoca in cui viviamo - ovvero un'epoca dove le pubblicità sono arrivate a tentare i consumatori instillando loro l'idea che gli sia consetito di volere, testualmente, "il mondo" -, anche solo questo è già un atto tra il meritorio e il folle XD), ma anche che questa stessa normalità che esaltano è in realtà "anormale". All'interno di una vita comune, soggetta alle impellenze quotidiane e alle norme dell'epoca e della società in cui si vive, ebbene, anche così accettare questa normalità, seguirla ma al tempo stesso viverla in maniera fantasiosa e a proprio gusto, mostrando la propria individualità. Ciò che voglio dire è essenzialmente quello che, a mio parere, Takahata ha espresso sublimemente (e ribadisco sublimemente) nella sequenza, in "Omohide PoroPoro", che vede Taeko alle prese con la recita scolastica: per rendere un po' più importare quella piccola parte che le era toccata, inizialemente lei inventa delle battute, ma visto il richiamo dell'insegnante, cambia strategia riuscendo a valorizzarsi non uscendo dal ruolo assegnatole bensì dando una nuova profondita e in generale migliorando l'esecuzione di quelle stesse battute. Esattamente questo mi sembra essere l'atteggiamento di Suzu. Accetta una vita ordinaria ma la impreziosisce, la rende degna di essere vissuta applicando ad essa le proprie abilità (e in effetti, a pensarci ora, quando cucina sembra più un'artista che una cuoca ^^). Insomma, rimane in fondo, come ad esempio quando vede gli scoppi come schizzi di colori e gli aereoplani come un dipinto, una sognatrice ad occhi aperti (lei stessa si definisce così quando scoppia a piangere dopo che ha scoperto che il Giappone aveva perso).

Concludo tutto questo lungo discorso con un ultimo paio di considerazioni sul finale dell'opera. Come già accennavo nel mio precedente messaggio, in quest'ultima parte assistiamo semplicemente al lento, graduale ritorno alla normalità. I patimenti, le sofferenze passate a causa della guerra e delle perdite dei familiari, e persino la rabbia, il rancore, tutto, piano piano, svanisce (a questo punto mi verrebbe da citare Voltaire, dicendo che bisognerebbe fare una statua a "Colui che consola" - il tempo -, ma forse sarebbe un po' troppo fuori luogo XD [scusate la preterizione ^^]). Oltre tutti gli altri problemi, la cognata ha perso la figlia a causa degli Americani mentre Suzu la mano, il padre, la madre e il fratello, e, nonostante pianga tanto per la sconfitta, suo malgrado accetta il riso dei vecchi nemici. Poco dopo vediamo le due donne accettere (e apprezzare) la pietanza che gli viene offerta dai soldati, e infine ci viene mostrata persino Suzu che poggia sul luogo della morte di Harumi un cioccolatino donatele proprio dalle stesse persone che in un certo senso l'avevano uccisa. In pratica, la guerra era finita e apparteva ormai al passato, insieme a tutte le cose che essa aveva comportato: si doveva andare avanti.

E infine, arrivando alla ormai "fatidica" orfana, non posso non ribadire quanto dissi qualche giorno fa.

Di mio, non ritengo necessario un ulteriore approfondimento del suo personaggio. Cos'altro avrebbero dovuto mostrare? Quella brevissima analessi ci racconta già tutta la sua storia: era una bambina come tante che viveva con una mamma come tante. Perde la madre, come era successo a tante, ma alla fine ne trova un'altra e con lei, anche dal suo punto di vista, ritrova la normalità di prima della guerra, ricominciando la sua crescita da dove l'aveva lasciata, imparando, come a suo tempo fu per Suzu, i rudimenti delle arti che poi le sarebbero servite nella vita adulta. Dunque, cos'altro dobbiamo sapere? Dobbiamo necessariamente vedere come si svilupperà e crescerà una bambina come tante, che vive in una famiglia come tante? Dobbiamo necessariamente sapere che imparerà come Harumi i nomi di tutte le navi? Via, non è questo il punto, non è per questo, secondo me, che il regista/mangaka ha inserito questo personaggio. Non deve aggiungere nuovi elementi alla storia, ma solo sancire, dando una figlia a una madre e una madre a una figlia, il definitivo ritorno alla normalità (già parzialmente e simbolicamente sancito con la scena delle luci delle case sulla montagna che piano piano si riaccendono perché non c'è più pericolo di un attacco aereo).
Anche se non escludo completamente che magari il regista aveva altre intenzioni e potrebbe utilizzare parte di quei 30 minuti proprio per questa bambina (anche se personalmente credo che sia Rin il personaggio che è stato "bistrattato" per far fronte ai problemi economici), ora come ora ribadisco quanto scrissi qualche giorno fa: va benissimo così. Aggiungere altro potrebbe essere persino stucchevole.
(Mmm, temo che possa sembrare che qui stia scimmiottando ciò che ha detto Shito: vi assicuro che non è così. Avevo scritto questa parte diverse ore prima che Shito pubblicasse il suo post, perciò se ci sono delle somiglianze è soltanto una casualità ^^)

Ancora qualche osservazione personale sul film, e poi finalmente siete liberi da questa lunga pappolata. XD

Sono un po' interdetto per la reazione di Suzu che ha dopo che scopre che il Giappone aveva perso la guerra. Non fraintendetemi, considero assolutamente comprensibile, anzi assai sensato, che dopo essersi sacrificati tutti e dopo aver perso così tanto, ci sia uno scoppio. Per cosa ha perso la mano, per cosa ha dovuto sopportare il razionamento, per cosa ha dovuto abituarsi a doversi riparare continuamente nel rifugio antiareo, per cosa ha perso il fratello e, anche se in effetti in quel momento lei non lo sapeva ancora, i genitori. La cognata non piange neanche lei per la sconfitta in sé, ma piange ripetendo il nome della figlia morta. Per cosa, insomma, tutte le sofferenze patite? In questo senso, considero questi scoppi di rabbia, prima, e di dolore, dopo, assolutamente normali.
Ciò che mi lascia perplesso, invece, è proprio l'espressione con cui Suzu afferma la sua volontà di non arrendersi (che dovrebbe essere una cosa tipo "non ci piegheremo alla violenza"). Non mi torna perché fare questa affermazione non equivale a dire che non volesse perdere. C'è di più in quelle parole. Non c'è semplicemente dello spirito patriottico che porta a desiderare che la propria nazione vinca a qualunque costo. In quel momento sta dicendo, più o meno surrettiziamente, che gli avversarsi stavano facendo un vero e proprio sopruso, come a dire che per vincere, mentre tutti utilizzavano il dialogo, loro stessero adoperando la violenza per costringere gli altri a fare come volevano. Questo ovviamente non ha senso, perché se avesse vinto il Giappone, allora avrebbe significato che qualcun altro si fosse piegato alla violenza.
Ma proprio per la particolarità dell'espressione, ho la sensazione (non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo, ma potrebbero essere solo fisime mie) che il regista (o l'autore del manga, non so) avesse voluto un po' esprimere il proprio parere su quell'umiliante resa e porgerlo praticamente come spunto di riflessione per gli spettatori (giapponesi). Se così fosse, la troverei un'uscita poco felice proprio per il fatto che se egli considera quella sconfitta una sorta di ingiustizia, allora starebbe "peccando" di una visione ristretta, perché appunto se avessero vinto loro avrebbero semplicemente costretto altri a sacrificare tutto per niente.

Infine un pensiero, un'emozione che ho provato guardando questo film. Non so se il regista avesse lo scopo di trasmettere anche questa sensazione, e non so nemmeno se sono stato l'unico a provarla (e potrebbe anche essere perché in quel momento ero piuttosto sensibile all'argomento visto che proprio un paio di giorni prima avevo riflettuto sulla stessa questione), ma devo dire che guardando questo film ho provato con forza la sensazione di essere un grande egoista. Suzu aveva del talento. Era molto brava a disegnare (il dipinto che fa all'amico di infanzia si viene poi a sapere, sempre per bocca dello stesso amico, che lo volevano premiare per la grande qualità), e aveva anche una notevole fantasia creativa (vedere le onde come conigli, gli scoppi nel cielo come schizzi di colore su una tela, e l'arrivo degli aerei americani come un dipinto fatto e finito di grande fascino). Eppure, lei praticamente abbandona tutto (non riesce a disegnare bene l'airone perché non faceva pratica da molto tempo), gettando alle ortiche queste sue capacità. Perché lo fa? Lo fa perché decide di dedicarsi anima e corpo alla propria famiglia, perché decide di sacrificare sé stessa e le sue capacità per il bene di tutti. E affronta tutto questo coraggiosamente: non piange, non si lamenta. Lo fa e basta. Una volta che mi sono accorto di questo, mi veniva un po' da commuovermi, perché io mi sono chiesto sinceramente: "saresti tu disposto a sacrificarti, a sacrificare i tuoi desideri, le tue aspirazioni e anche le tue capacità per il bene altrui?" Beh, non sono riuscito a dare una risposta sicura, ma in cuor mio temo di sapere già che non ne sarei capace, che non sarei pronto. Ho avvertito tutto l'egoismo del mio individualismo, ho soppesato la mia brama di riuscire a fare qualcosa di notevole (brama tipicamente giovanile, lo so), e l'ho confrontata con lo spirito di Suzu. E, beh, ammetto che mi veniva un po' da piangere...
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shito »

Il concetto di "talento" esso stesso è un parto della vanità e del narcisismo umani.

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Sayonara no Natsu
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Sayonara no Natsu »

Cattivo! Mi punzecchi dove mi sono scoperto di più! ^^

Più seriamente, ti ringrazio per l'imbeccata. :)
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shun »

Chiudo con questo discorso:
Non ho mai detto che il finale non funziona narrativamente. Funziona e mi piace -mi sono pure commosso durante la canzone di Kotringo (precisamente durante il controcanto)- però mi è sembrato un po' più sbrigativo rispetto alla generale lentezza del film (e a me piacciono i film lenti). Non è un giudizio (positivo o negativo) è una semplice percezione. Poi se vogliamo oggettivare le percezioni non so. Con Totoro secondo me funziona meglio perché quel film è più rapido, questo invece l'ho percepito lento. Ma va bene.
Che poi il discorso sul finale sbrigativo, sui 30 minuti etc l'ho tirato fuori nei precedenti commenti dato che Garion faceva riferimento a questi e pensavo che sarebbe intervenuto per spiegare il suo punto di vista, tuttavia dato che non ha più scritto non so cosa intendesse lui, io posso dire quello che ho percepito e pensato io. E nel mio caso, come dicevo in un altro commento, la cosa che più che altro ho trovato un po' troppo ad hoc è il fatto che la bimba orfana sembra un po' il contentino finale dopo tutta la tragedia. Però va bene. Probabilmente ci saranno state al contempo famiglie simmetriche a quella di Suzu che invece non hanno avuto questa gioia. Il film è già drammatico di suo, quindi da una parte sono contento per questo finale con questa nota positiva, anche perché comunque è plausibile.

Per quanto riguarda la versione estesa non sappiamo quali contenuti aveva e ha in mente di aggiungere Katabuchi, quindi dire a priori che l'aggiunta potrebbe essere ininfluente o stucchevole mi pare un po' una mancanza di rispetto verso l'autore. Ma immagino che Sayonara non intendesse una cosa così estrema. Il film attuale è buono, quello esteso non lo sappiamo. Per ora va benone così. :sorriso2:

_ _ _

Detto ciò due considerazioni:
La normalità e una certa gentilezza nel film immagino che provengono dal manga di Fumiyo Kono, dato che il suo stile e i suoi personaggi sono molto "tranquilli". Però vorrei chierdervi un parere: in Hotaru no Haka emerge una maggior scontrosità nelle persone, mentre qui emerge di meno. Cosa ne pensate?

Infine per quanto riguarda il pianto disperato per la sconfitta secondo me la questione è idealista. La guerra era necessaria per difendere e per imporre il proprio paese nello scenario internazionale. Vincere significava che il modello di vita giapponese non sarebbe stato sporcato da quello occidentale, invece è finita che l'imperatore divino (il grande amae) è diventato un semplice uomo per far spazio a una nuova parola d'ordine: democrazia. E non solo questo.
Dunque è la sconfitta di noi buoni. Anche con la violenza noi siamo sempre i buoni no?
Penso che quella scena sia straordinaria, sia per come è stata rappresentata che per il valore storico, sociale e psicologico che si porta dietro, dato che da lì in poi il Giappone entrerà sotto l'ala protettiva degli USA e accadranno tante cose...
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Sayonara no Natsu
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Sayonara no Natsu »

Twistor ha scritto: mar ott 03, 2017 5:05 pm Per quanto riguarda la versione estesa non sappiamo quali contenuti aveva e ha in mente di aggiungere Katabuchi, quindi dire a priori che l'aggiunta potrebbe essere ininfluente o stucchevole mi pare un po' una mancanza di rispetto verso l'autore. Ma immagino che Sayonara non intendesse una cosa così estrema. Il film attuale è buono, quello esteso non lo sappiamo. Per ora va benone così. :sorriso2:
Mmm, di mio penso che un regista, uno scrittore, un pittore, insomma, un qualunque creatore, abbia l'assoluto diritto di far tutto quello che gli pare con la sua opera. Se io creassi qualcosa, non vorrei che né familiari né amici ci mettessero mano: essa rispecchia me, rappresenta la mia essenza. Cosa c'entrano gli altri? Figurarsi poi cambiarla per compiacere una moltitudine di persone che probabilemente non ti conosce e neanche è realmente interessata a capirti sul serio (altrimenti non avrebbe chiesto di cambiare qualcosa in un'opera che ti rispecchia, volente o nolente ^^). Richieste del genere per me sono pura follia.

D'altro canto, però, io ritengo che il pubblico abbia a sua volta il completo diritto di dire che la tua opera è una porcheria (ovviamente il valore dell'affermazione è direttamente proporzionale alla comprensione dell'opera stessa e agli argomenti che si portano a sostegno di questa visione).

Questo stesso film, ad esempio, io l'ho apprezzato molto, trovandolo più che buono, e con certi passaggi davvero intensi o toccanti. Ciò non di meno, questo gradimento del film non mi ha fatto cambiare idea sulla questione delle parole un po' ambigue di Suzu in lacrime, che, se venisse confermata la mia interpretazione, continuerei a trovare molto discutibili. Tuttavia, per quanto io possa trovare questo dettaglio sgradevole, esso fa parte inscindibilmente dell'opera, e nella mia personale valutazione ne devo tenere conto come qualsiasi altra scelta del regista, ed accettarla come tutte le altre.

Tutta questa premessa è per dire che io ho il massimo rispetto dell'autore in quanto tale, e che quindi se volesse potrebbe usare tutti i minuti che sembra saranno aggiunti per parlare unicamente di quest'orfana e io non mi azzerderei nemmeno a dire che siccome a me ciò potrebbe non piacere allora non dovrebbe farlo. Tutt'al più, potrei dire che non ho gradito l'aggiunta. Tuttavia, accettando come corretta (e ovviamente potrebbe non esserlo e quindi questo discorso non avrebbe più senso) la mia interpretazione del film e in particolare proprio del "ruolo" di questo personaggio, l'idea stessa di caratterizzare maggiormente questa figura si scontrerebbe con il concetto su cui si basa il personaggio stesso, portando, a mio parere, a renderlo appunto stucchevole. Dunque, la mia affermazione piuttosto netta è stata dettata non tanto da un gusto ma quanto dall'osservazione che a quel punto il creatore si "contraddirebbe" da solo. Ma siccome io non sono nella mente del regista, devo convenire che fare questo discorso ha senso solo fino a un certo punto (e già nel mio precedente messaggio avevo lasciato adito a qualche dubbio in questo senso), perché semplicemente potrebbe uscirsene con un'idea che io non avevo nemmeno considerato, ampliando la figura della bambina senza distorcene il significato.
Detto ciò due considerazioni:
La normalità e una certa gentilezza nel film immagino che provengono dal manga di Fumiyo Kono, dato che il suo stile e i suoi personaggi sono molto "tranquilli". Però vorrei chierdervi un parere: in Hotaru no Haka emerge una maggior scontrosità nelle persone, mentre qui emerge di meno. Cosa ne pensate?
Anch'io avevo notato questa cosa, e in un primo momento mi ha lasciato un po' perplesso. Fa un po' strano vedere che tutti sono gentili e "buffi" (in particolare nella prima metà del film) mentre in giro in effetti ci sono fame, guerra e morti. Le due donne che, stando alla cognata di Suzu, dovrebbero essere "ai ferri corti", semplicemente bisticciano su come bisognasse versare il, ehm, sakè (?), il vino (?), qualcosa, ed anche il fatto che nella nuova famiglia con cui va ad abitare siano tutti gentili e disponibili con lei lascia un piuttosto sorpresi. In effetti, gli unici personaggi tratteggiati un po' negativamente sono i due gendarmi che le requisiscono il taccuino dei disegni, ma la cosa è talmente assurda per gli spettatori che finiscono più con l'essere ridicoli che altro.

Visto che è realmente presente un'attenzione alla ricreazione attendibile, almeno credo, di quel tempo, forse avrei apprezzato di più se avessero inserito anche qualche contrasto, che in una situazione come quella sono assai difficili da evitare, ma suppongo non fosse questo l'interesse del regista/mangaka né dunque lo scopo di questo film.
Infine per quanto riguarda il pianto disperato per la sconfitta secondo me la questione è idealista. La guerra era necessaria per difendere e per imporre il proprio paese nello scenario internazionale. Vincere significava che il modello di vita giapponese non sarebbe stato sporcato da quello occidentale, invece è finita che l'imperatore divino (il grande amae) è diventato un semplice uomo per far spazio a una nuova parola d'ordine: democrazia. E non solo questo.
Dunque è la sconfitta di noi buoni. Anche con la violenza noi siamo sempre i buoni no?
Penso che quella scena sia straordinaria, sia per come è stata rappresentata che per il valore storico, sociale e psicologico che si porta dietro, dato che da lì in poi il Giappone entrerà sotto l'ala protettiva degli USA e accadranno tante cose...
Credo di aver capito quello che vuoi dire, e trovo che sia anche una visione interessante e valida in generale. Se non ho frainteso, tu intendi che lì Suzu è unicamente uno strumento nelle mani del regista, che con quel pianto le fa esprime la totalità della visione di un uomo che vive circa 70 anni dopo quegli avvenimenti ma che proprio a loro addossa la responsabilità di tutto il futuro del Giappone. Ciò è davvero molto affascinante. Ho però il timore che questa interpretazione possa essere un po' forzata, non per una contraddizione interna, ma perché sarebbe il primo caso nel corso di tutto il film che il regista fa una cosa del genere. Cioè, anche se io stesso ho un po' il sentore che il regista possa aver usato quel pianto e quelle parole per esprimere un po' il proprio pensiero, in ogni caso non fa entrare Suzu propriamente in contraddizione con il carattere e le idee mostrate fino a quel momento, non le fa dire qualcosa che comunque non esprimerebbe mai come personaggio. Se tu avessi ragione, il regista starebbe chiendendo allo spettatore di mettersi su un altro piano interpretativo rispetto a quello usato per tutto il resto del film, il che è rischioso. Perciò, anche se non la escludo a prescindere, ammetto di essere un pochino titubante.

Ma come per l'interpretazione di Mononoke Hime, temo dovremo per forza chiedere indicazioni al regista in persona, altrimenti temo che non potremo mai essere sicuri di quale sia la lettura corretta. ^^

P.S. Ho scritto questo post con una febbriciattola addosso, perciò se leggete qualche delirio sapete già il motivo. XD
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shun »

Ti ringrazio per la risposta nonostante la febbre!

Vado per punti:

1)
Ma siccome io non sono nella mente del regista, devo convenire che fare questo discorso ha senso solo fino a un certo punto (e già nel mio precedente messaggio avevo lasciato adito a qualche dubbio in questo senso), perché semplicemente potrebbe uscirsene con un'idea che io non avevo nemmeno considerato, ampliando la figura della bambina senza distorcene il significato.
Condivido, per questo parlavo di aria fritta. Risolto.

2) Qui non saprei, per questo chiedevo un vostro parere. Forse, come dici, Katabuchi voleva mettere il focus su altro e quindi ha un po' glissato su tale rappresentazione. Poi probabilmente influisce anche lo stile del manga.
In ogni caso lo spettatore può vedere che, indipendentemente dai modi delle persone, le ristrettezze (scarsità di cibo) e le paure (allarmi) ci sono in entrambi i film solo che, al contrario di Seita, Suzu non fugge ma si impegna.

3) No, non intendo questo. Intendo che il pianto di Suzu si fa carico della sconfitta, del dolore, etc dei giapponesi del tempo. Ovviamente lei lo esprime come singola, ma simbolicamente è il dolore per il fallimento, una sconfitta che colpisce pesantemente il proprio Paese, la propria identità, il modo di vivere, gli ideali, i legami etc.
Con ciò viene colpita duramente anche quella normalità e quella pacata gentilezza di Suzu. È una sconfitta a tutto tondo, da cui il pianto.
Ciò che discende da questa sconfitta è un'altra storia, questo è il punto d'inizio.

As usual, non è altro che un'interpretazione. :)
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Sayonara no Natsu »

Twistor ha scritto: gio ott 05, 2017 10:07 am 3) No, non intendo questo. Intendo che il pianto di Suzu si fa carico della sconfitta, del dolore, etc dei giapponesi del tempo. Ovviamente lei lo esprime come singola, ma simbolicamente è il dolore per il fallimento, una sconfitta che colpisce pesantemente il proprio Paese, la propria identità, il modo di vivere, gli ideali, i legami etc.
Con ciò viene colpita duramente anche quella normalità e quella pacata gentilezza di Suzu. È una sconfitta a tutto tondo, da cui il pianto.
Ciò che discende da questa sconfitta è un'altra storia, questo è il punto d'inizio.
Che peccato! Mi ero già legato all'idea (anche se la trovavo effettivamente piuttosto forzata) che lì inginocchiato a piangere ci fosse praticamente il regista/mangaka piuttosto che Suzu! XD Stavolta l'"insight" (perché dire "lampo di genio" era troppo mainstream XD) è stato controproducente. ^^

A questo punto però, sperando di non aver frainteso di nuovo (e scemo come sono potrebbe anche essere ^^), devo ammettere che riemergono i dubbi che ho avuto non appena ho letto l'altro tuo messaggio. Non starai un po' troppo sopravvalutando la reale comprensione che la gente comune (e non) poteva avere di tutte le conseguenze che sarebbero scaturite da quella sconfitta? Tu fai un discorso socio-politico ben più che assennato (per quanto ne posso capire io, almeno), ma faccio un po' fatica a credere che lì Suzu, e attraverso lei tutto il Giappone, pianga a causa di un ideale infranto: la lotta quotidiana per la sopravvivenza non credo lasciasse spazio alla maggior parte delle persone per questo tipo di "lussi", e in effetti a me non sembra che individui semplici come potevano essere i membri della famiglia di Suzu (o Suzu stessa o i loro conoscenti) si siano mai interrogati sul significato effettivo della guerra e sui mutamenti che avrebbero dovuto accettare nel caso avessero perso. Cioè, tu hai ragione a dire, per esempio, che nel caso di una sconfitta il modello di vita giapponese sarebbe stato sporcato da quello occidentale, e che dunque col senno di poi un Giapponese potrebbe guardare a questo fatto e trovarci un motivo di umiliazione e perdita d'identità, ma sul momento, ovvero nell'attimo in cui ti dicono che dopo tutto la tua fazione ha perso, ritengo che sia più verosimile riflettere su tutto ciò che si è sacrificato per essa, per le privazioni, le perdite e i dolori passati, piuttosto che sul rischio di dover alterare il proprio stile di vita (che d'altronde loro non potevano realmente ancora saperlo). Mi ripeterò, ma la cognata piange pensando alla figlia morta, non all'umiliazione (e a tutti gli altri strascichi) della sconfitta in sé. Insomma, se in quello scoppio di Suzu vogliamo vedere, piuttosto che il pensiero del regista stesso, il sentimento comune a tutta la nazione, personalmente sono più incline a considerlo più che altro come la naturale disperazione che si prova a sapere che i propri sforzi sono stati vani (per dire, anche se ovviamente non a questi livelli, diversi anni fa io stesso sofrii quasi quasi di più a causa del ricordo delle fatiche passate inutilmente che per non essere concretamente riuscito in ciò che stavo facendo).

Anche se non ci sarebbe bisogno neanche di dirlo, questi sono giusto i miei due cents.
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shun »

Chiarimento: la mia considerazione è nata per rispondere a questa parte:
Ciò che mi lascia perplesso, invece, è proprio l'espressione con cui Suzu afferma la sua volontà di non arrendersi (che dovrebbe essere una cosa tipo "non ci piegheremo alla violenza"). Non mi torna perché fare questa affermazione non equivale a dire che non volesse perdere. C'è di più in quelle parole. Non c'è semplicemente dello spirito patriottico che porta a desiderare che la propria nazione vinca a qualunque costo. In quel momento sta dicendo, più o meno surrettiziamente, che gli avversarsi stavano facendo un vero e proprio sopruso, come a dire che per vincere, mentre tutti utilizzavano il dialogo, loro stessero adoperando la violenza per costringere gli altri a fare come volevano. Questo ovviamente non ha senso, perché se avesse vinto il Giappone, allora avrebbe significato che qualcun altro si fosse piegato alla violenza. 
Ma proprio per la particolarità dell'espressione, ho la sensazione (non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo, ma potrebbero essere solo fisime mie) che il regista (o l'autore del manga, non so) avesse voluto un po' esprimere il proprio parere su quell'umiliante resa e porgerlo praticamente come spunto di riflessione per gli spettatori (giapponesi). Se così fosse, la troverei un'uscita poco felice proprio per il fatto che se egli considera quella sconfitta una sorta di ingiustizia, allora starebbe "peccando" di una visione ristretta, perché appunto se avessero vinto loro avrebbero semplicemente costretto altri a sacrificare tutto per niente.
Sì probabilmente nell'immediato la disperazione di un giapponese dell'epoca, e in generale di una persona che dopo tanti stenti e sacrifici vede crollare tutto, era orientata, come dici, al passato, cioè a tutto ciò che ha patito, alle perdite e così via, e non al futuro, cioè a tutto ciò che sarebbe accaduto da lì in poi. Però io non intendo che nell'immediato i giapponesi si sono disperati per quello che sarebbe accaduto in futuro a causa della sconfitta, bensì intendo che parte della disperazione è legata al presente e fa riferimento al senso ampio di quella sconfitta: i giapponesi, i buoni, hanno perso. In ciò è compreso anche quello che dici tu, solo ho sintetizzato nel termine "dolore". Presente e passato. Il futuro è un'altra storia, questo è il punto d'inizio.

Ora tu mi dici che forse sto un po' sopravvalutando il pensiero dei giapponesi comuni dell'epoca, soprattutto i campagnoli. Tutto può essere eh, però l'abnegazione, lo spirito patriottico e quello idealista dei giapponesi, erano molto alti ... pensa ad esempio al kamikaze e al seppuku, queste sono azioni spinte da un forte idealismo. Poi forse in tempo di guerra c'è anche un patriottismo che in tempo di pace non c'è.
Sì, Suzu e le persone comuni dovevano preoccuparsi di sopravvivere, però non mi stupirei se Katabuchi abbia sfruttato quella scena per evidenziare anche l'umiliazione e la disfatta del Paese secondo il punto di vista che ho provato a spiegare. Forse il termine idealismo non è quello più adatto, però non me ne viene un altro in mente per spiegare meglio quello che voglio dire.
Per i giapponesi del tempo la sconfitta è stata umiliante e per molti sarà anche stata un'ingiustizia, non è che il regista ha una visione ristretta, riporta i fatti per come sono stati vissuti e percepiti.

Quindi in poche parole secondo me in quella scena c'è la disfatta su tutti i livelli, da quello più comune, i.e. gli stenti e i sacrifici passati dalle persone, fino a quello più idealista, i.e. l'identità del paese colpita e affondata. Suzu come persona comune e Suzu come simbolo della nazione.

NB: questo pensiero l'ho avuto al cinema durante la scena (e le scene successive), però sinceramente non ricordo i dialoghi, quindi non ti so dire se è qualche battuta che mi ha fatto pensare a questa interpretazione o se semplicemente sono io che pensando ai vari legami ho sovra-interpretato.
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shito »

LoL l'attacco speciale (tokkou) come "azione spinta da forte idealismo".
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shun »

Dici di no?
Io ci ho messo dentro anche un idealismo illusorio non consapevole, non sensibile, una cosa inculcata, tipo patriottismo romanzato.
Al di là della necessità di fermare gli americani quei giovani volontari erani spinti *anche* da un forte idealismo, che fosse più o meno consapevole non importa.
Ma comunque l'ho scritto prima, forse idealismo non è la parola più precisa.
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shito »

Erano per lo più ragazzini messi su aerei con carburante insufficiente al viaggio di ritorno. Non mi risulta fossero volontari. Alcuni non sapevano neppure cosa andavano a fare. Altri erano semplicemente soggiogati dal clima che vivevano, in una sorta di esaltazione/allucinazione indotta.

L'idea del patriota che si suicida convinto per l'onore della patria e dell'imperatore è valida quanto un manga, ma dei peggiori.

Già in Takahata vediamo i vecchietti discutere in banca, a resa bella che compiuta, facendosi sin beffe del patriottismo.
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shun »

Mh magari ricordo male io, eppure mi sembra di aver letto o nel libro di Ruth Benedict, o forse in quello di Takeo Doi, oppure in qualche altro libro scritto da qualche altro giapponese, qualcosa in merito ai gesti di sacrificio, agli ideali e al legame con la psicologia sociale e individuale nipponica.
Sì, ricordo il legame tra kamikaze e la propaganda di cui parli, avevo letto anche qualcosa di specifico su questo argomento, ma quello che io dico è: che sia stato idealismo puro/spontaneo oppure indotto non cambia *negli effetti* ciò che dicevo, in quanto che sia stata una percezione emersa in modo spontaneo o forzato essa era comunque legata ai simboli, alla cultura e alla psicologia dei giapponesi e faceva leva sul sentimento di reciproca unità.
Ovvero che il giovane ventenne che andava a tuffarsi con l'aereo sulle portaerei degli americani avesse una percezione pura/spontanea o indotta/inculcata attraverso una complessa propaganda cambia poco, cambia la causa ma non l'effetto. Certamente sulla differenza ontologica tra le cause sono d'accordo, però l'effetto a livello pragmatico è stato lo stesso.
Nel secondo caso non sarebbe altro che un idealismo illusorio e ad hoc, ovvero quello che hai asserito anche tu: giovani soggiogati dal clima che vivevano, in una sorta di esaltazione/allucinazione indotta.
E per il resto della popolazione vale lo stesso discorso. Non ho libri sottomano quindi a memoria potrei non essere preciso e non riuscire a spiegare quello che intendo dire.
L'effetto è che in guerra rischi la tua vita per un complesso intreccio di necessità, di abnegazione, di inganni, di idealismi (spontanei o inculcati) e così via, e questo accade indipendentemente dall'esserne pienamente sensibili e consapevoli. Perché uno a priori non sa, nessuno ha una "visione dall'alto".
E nella disfatta non penso ci sia nulla di inverosimile nel fatto che ci sia stata anche gente colpita dalla sconfitta "ideale" della propria nazione, che sia stata una disperazione pura o illusoria, che sia stata lunga o corta (come i vecchietti di Hotaru no Haka che citi) temporaneamente.
Quello che dici sui giapponesi che a resa ben compiuta parlano d'altro in parte discende dalla mentalità e dal modus operandi dell'assimilazione che scaturisce dalla necessità di mantere la reciproca unità evitando conflitti, dall'altra parte discende da una questione di stretta necessità, dunque: abbiamo perso, pensiamo a ciò che accadrà d'ora in poi.
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shito »

Quello che scrivi mi pare ora ben sensato.

Aggiungo che anche l'età del soggetto percepente cambia molto della percezione, poiché l'idealismo è stato mentale di giovinezza - in primis.
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Sayonara no Natsu »

Una passi, due pure, ma non è che ogni volta posso essere puntuale con le risposte, eh. Ne va del mio buon nome di ultra ritardatario. XD No, il fatto è che mi sono perso in maniera tragi-comica, imbrogliandomi letteralmente tra le mille mila cose che volevo scrivere (che per un lentone come me già voler scrivere due post contemporaneamente è la quint'essenza della follia...). Spero mi si concederanno quantomeno le attenuanti per evidenti infermità. XD
Twistor ha scritto: ven ott 06, 2017 4:55 pm Sì probabilmente nell'immediato la disperazione di un giapponese dell'epoca, e in generale di una persona che dopo tanti stenti e sacrifici vede crollare tutto, era orientata, come dici, al passato, cioè a tutto ciò che ha patito, alle perdite e così via, e non al futuro, cioè a tutto ciò che sarebbe accaduto da lì in poi. Però io non intendo che nell'immediato i giapponesi si sono disperati per quello che sarebbe accaduto in futuro a causa della sconfitta, bensì intendo che parte della disperazione è legata al presente e fa riferimento al senso ampio di quella sconfitta: i giapponesi, i buoni, hanno perso. In ciò è compreso anche quello che dici tu, solo ho sintetizzato nel termine "dolore". Presente e passato. Il futuro è un'altra storia, questo è il punto d'inizio.

Ora tu mi dici che forse sto un po' sopravvalutando il pensiero dei giapponesi comuni dell'epoca, soprattutto i campagnoli. Tutto può essere eh, però l'abnegazione, lo spirito patriottico e quello idealista dei giapponesi, erano molto alti ... pensa ad esempio al kamikaze e al seppuku, queste sono azioni spinte da un forte idealismo. Poi forse in tempo di guerra c'è anche un patriottismo che in tempo di pace non c'è.
Sì, Suzu e le persone comuni dovevano preoccuparsi di sopravvivere, però non mi stupirei se Katabuchi abbia sfruttato quella scena per evidenziare anche l'umiliazione e la disfatta del Paese secondo il punto di vista che ho provato a spiegare. Forse il termine idealismo non è quello più adatto, però non me ne viene un altro in mente per spiegare meglio quello che voglio dire.
Per i giapponesi del tempo la sconfitta è stata umiliante e per molti sarà anche stata un'ingiustizia, non è che il regista ha una visione ristretta, riporta i fatti per come sono stati vissuti e percepiti.

Quindi in poche parole secondo me in quella scena c'è la disfatta su tutti i livelli, da quello più comune, i.e. gli stenti e i sacrifici passati dalle persone, fino a quello più idealista, i.e. l'identità del paese colpita e affondata. Suzu come persona comune e Suzu come simbolo della nazione.
Volevo fare, per concludere la discussione, giusto qualche puntualizzazione, ma ho finito con lo scrivere cose per certi versi anche ridodanti, visto che erano già state chiarite, perciò penso sia meglio considerare questo messaggio più come un mio tentativo di chiarire o ampliare i concetti espressi in precedenza piuttosto che come un post inteso per replicare punto per punto alle tue affermazioni. :D

Se oltre al dolore per le sofferenze patite inutilmente intendi che nelle lacrime di Suzu ci sia anche il dolore per la sconfitta in sé, non posso ovviamente che concordare. Tuttavia, ma magari sono solo io a essere troppo prosaico, tendo a considerare questo dolore più come un normale effetto della sconfitta della propria nazione che il prodotto di grandi aspettative tradite. Mi spiego. Mi sembra pacifico dire che tutti abbiamo la tendenza a cercare una parte, una "fazione" a cui legarci, e una volta trovata riversiamo in essa parte di noi e delle nostre aspettative, finendo persino col far dipendere la nostra felicità dalle sue sorti. Ma mentre il meccanismo che porta a legarci a qualcosa mi sembra essenzialemente uguale per ogni individuo (intendo dire che alla base del nostro parteggiare per qualcosa - che sia una marca di telefonini, una squadra sportiva, un partito politico o una religione non fa differenza - c'è sempre lo stesso bisogno di appartenere a un gruppo), l'intensità del legame stesso varia ovviamente da persona a persona, e a secondo di questa intensità aumenta o diminuisce l'importanza che hanno per i diretti interessati i trionfi o le disfatte della loro "fazione". Ora, nel film la "fazione" a cui Suzu si lega, in questo caso perché ovviamente ci vive, è il Giappone stesso, e per esso volente o nolente lei sacrifica davvero tanto, sia in termini di sforzi fatti sia per quanto riguarda le cose e i familiari perduti, e già questo credo porterebbe una persona ad avere un po' a cuore le sorti della propria parte poiché, quantomeno in un primo momento, direi che il peso delle perdite e delle sofferenze diviene po' meno gravoso pensando che almeno siano servite a qualcosa (intendo, qualunque cosa). Oltre a questo, penso anch'io che nella popolazione ci fosse comunque una sorta di fascinazione idealistica (magari dovuta anche a quel miscuglio di sentimenti indotti e sinceri di cui parlavate tu e Shito) per la propria patria, e ciò, oltre ad essere un ulteriore motivo di attaccamento, mi induce a pensare che le persone effettivamente sviluppassero una certa apprensione per le sorti della nazione (ma vista l'ambiguità dell'affemazione che potrebbe far pensare che mi stia contraddicendo, specifico che l'idealismo di cui io parlo non è improntanto al perseguimento di grandi obiettivi ma piuttosto credo fosse una sorta di, appunto, "infantile" fascinazione quasi imperturbabile per la propria nazione che portava a desiderarne la vittoria e il trionfo nonostante tutto. Non credo di star dicendo qualcosa di assurdo perché mi sembra che in fondo siamo sempre dalle parti di Tajfel con la sua teoria dell'identità sociale e Sherif con i suoi ragazzini in campeggio... Tutta roba da manuale, dunque). Insomma, basandomi su queste considerazioni, non mi sento di escludere la possibilità (ma neanche di considerarla come l'unica sensata, bada) che il pianto di Suzu fosse dovuto anche unicamente a motivazioni non effettivamente "alte", o, detto in altri termini, che questa sofferenza non fosse di diversa natura rispetto a, che so, quella del tifoso sfegatato che si dispera (schiettamente) per la sconfitta della sua squadra sportiva, "soltanto", e questo va detto, centuplicata da tutto quello che la protagonista di questa storia aveva effettivamente sacrificato per la sua nazione.

Più o meno sempre in questo senso sono da intendere le mie parole di quando parlavo di sopravvalutazione della consapevolezza che la gente comune (e non necessariamente solo loro) poteva avere degli eventi. Non volevo dire che le persone non potessero avere anche a cuore le sorti della guerra mossi da un più o meno sincero patriottismo, ma piuttosto che, per quanto fosse intenso il coinvolgimento emotivo, in ogni caso l'ideale non valicava il semplice desiderare la vittoria della propria parte, di conseguenza non era motivo sufficiente da spingere la maggior parte delle persone a interessarsi costantemente nonché ad approfondire (ammesso e non concesso che avessero materialmente modo e tempo di farlo) tutte le questioni riguardanti il confltto e quindi, considerando tutto ciò, il mio trovare difficile da credere che avessero effettivamente cognizione di tutto quello che la sconfitta avrebbe significato per loro in termini di perdita di identità. E ovviamente trovavo improbabile anche il fatto che persone in fin dei conti non troppo diverse da quella semplice Suzu che era talmente sbadata da svestirsi durante il matrimono fossero poi capaci, con un comportamento direi quasi da scaltri calcolatori, di fare affidamente sulla guerra per uno sviluppo del proprio paese basato sull'espansione del proprio potere d'influenza sul piano internazionale. Insomma, volevo semplicemente dire che trovavo difficile da credere che sia Suzu sia tutto il Giappone attraverso di lei piangessero per l'infrangimento di grandi ideali piuttosto che per il semplice, prosaico, banale motivo che perdere, e soprattutto perdere dopo tutto quello che si erano dovuti giocare, è sempre brutto (anche se, vista la piccola congerie di elementi che avevano più o meno influenza sulle persone, dire questo è un po' comunque una semplificazione).

Infine, una precisazione: vorrei specificare che troverei poco felice la frase di Suzu sul non volersi arrendere alla violenza unicamente se fosse veramente espressione del pensiero del regista, mentre se si trattasse semplicemente della ricostruzione dei sentimenti delle persone dell'epoca, non avrei assolutamente nulla da recriminare, anzi sarei ovviamente contento per la cura dimostrata per la ricostruzione storica.

Già che ci sono, però, ne approfitto pure per dire che su questo punto ho ancora qualche riserva, anche se continuo a riconoscere che potrebbero essere solo fisime mie, visto che mi baso su piccolezze e, in fin dei conti, sensazioni. Tu dici che in realtà non è forzata quella frase di Suzu perché le persone tendono a reputarsi dalla parte dei "buoni" anche quando non fanno nulla di diverso rispetto a quelli che dovrebbero essere i "cattivi", e devo dire che su questa spiegazione presa in generale non solo non ho niente da ridire ma anzi concordo fortemente. Dunque, se Suzu avesse inveito contro gli avversari, o se li avesse etichettati come mostri per tutto quello che le stavano facendo passare, io non avrei trovato ancora nulla da biasimare: sarebbero state ancora le reazioni normali di una persona semplice che esprime sensatamente tutto il suo dolore come se fosse l'unica a soffrire (poiché non può materialmente avvertire quello di individui a lei lontani). Il punto è che non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che quelle parole non siano solo questo. Non è una frase detta d'impulso, al contrario è un qualcosa di più ragionato (infatti dice la stessa cosa già quando gli Americani gettano volantini di propaganda), di più ricercato, di più complesso, forse persino al punto da essere un po' inusuale per la "semplice" Suzu. Inoltre, è una frase che esprime un concetto, una critica che in un certo senso va un po' al di là di quelle che si possono trovare negli esempi qui sopra, poiché non esprime tanto rabbia contro gli avversari quanto piuttosto indignazione per quello che si potrebbe definire un "senso etico" tradito dall'incapacità del Giappone di reagire a quello che per lei è un sopruso, un utilizzo efferato della violenza per imporre una volontà prevaricatrice (volendo fare un esempio un po' scemo, potrei dire che mi ricorda una sindacalista che, visti i tanti scontri e/o sacrifici per ottenere un qualche miglioramento lavorativo, si arrabbia essenzialmente col proprio sindacato perché alla fine ha ceduto accettando condizioni secondo lei ingiuste). Proprio questa particolare reazione, questo scoppio contro il Giappone che accetta di arrendersi a un'ingiustizia anziché semplicemente contro gli Americani mi insospettisce, per quanto debba ammettere che forse anche qui potrebbe ancora valere quello che dicevi tu. Certamente è una reazione ancora plausibile per una persona del tempo (altrimenti si cadrebbe nel problema che avevo già sollevato io qualche messaggio addietro), ma diciamo che questa inusualità mi rende piuttosto incline a pensare che ci possa essere anche un pizzico della visione del regista/mangaka, e d'altronde, mi viene un po' difficile credere che un creatore di un'opera sia totalmente neutrale nei confronti delle parole del proprio protagonista, e in particolare in casi come questi dove, a causa dell'intesità e importanza della scena, le parole ottengono inevitabilmente un grande risalto. A ciò si aggiunge anche il fatto che è sempre una scena ideata da Giapponesi che fanno parlare una Giapponese che si "rivolge" a un pubblico giapponese di cose che riguardano il Giappone, e che dunque sarebbe assai strano che il suo creatore non sapesse che inevitabilmente avrebbe portato qualcuno dei suoi lettori/spettatori a identificarsi con Suzu assumendo la sua visione e i suoi sentimenti (le parole hanno potere!), dunque non avrebbe avuto senso trasmettere un messaggio che non si condivide minimamente (questo discorso ovviamente non varrebbe se si trattasse di un'opera di pura divulgazione storica, ma non lo è, perciò...).

Lo ripeto ancora: come si vede, io mi sto basando più su dettagli e sensazioni, e magari non mi accorgo del mio errore perché sono testardo (e probabilmente lo sono davvero ^^), però, per quanto io stesso sia dubbioso della mia visione, quelle parole continuano a puzzarmi. ^^
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Re: In questo angolo di mondo - Sunao Katabuchi

Messaggio da Shun »

Un muro di testo all'orizzonte! :sorriso2:
Sarò breve. Anche perché non potendo rivedere il film non saprei cosa dirti.

Primi due punti:
Capisco i dubbi e il discorso che fai mi sembra ragionato e sensato. Ti posso dire che non conosco a sufficienza la cultura giapponese per poterti rispondere. Anche citando qualche estratto e strutturando un discorso finirei per darti una risposta polarizzata da ciò che ho letto e dalle mie considerazioni personali, più o meno in linea con le cose che ho scritto in precedenza, ma preferisco non farlo perché non lo ritengo opportuno/significativo, d'altronde non sono né un antropologo e nemmeno un giapponese dell'epoca. Finiremmo per arrivare al solito vicolo cieco.

Terzo punto:
Qui davvero non saprei. Da una parte non ricordo bene la battuta, dall'altra piove la domanda: “cosa avrà voluto dire puntualmente l'autore?”. Non ho letto interviste a Katabuchi e informazioni approfondite su questo film, al di là dell'intervista che ho linkato in precedenza, quindi non so nemmeno se ci sia molto materiale come per Miyazaki, Anno e altri autori. Difficile se non impossibile dare un senso puntuale non ricordando la scena e non avendo fatto un'indagine sul regista.
Sayonara no Natsu ha scritto:Lo ripeto ancora: come si vede, io mi sto basando più su dettagli e sensazioni, e magari non mi accorgo del mio errore perché sono testardo (e probabilmente lo sono davvero ^^), però, per quanto io stesso sia dubbioso della mia visione, quelle parole continuano a puzzarmi. ^^
Guarda, secondo me questo non è un problema dato che il film mi sembra che sia comunque chiaro nel complesso.
ANNO: That’s why I tried to go to the rescue of Japanese animation. I do not say, like [Shuji Terayama], to throw away your books and flee the city, but to go to town and meet people. Why can I say that? Well, I noticed what I was missing for me, in my heart. For twenty-one years I have been an anime-fan, and now, thirty-five years old, I notice with sorrow: I’m nothing but an honest fool (laughs).
&
TAKEKUMA: Well, but, the last scene in the final episode was quite something, where the screen cracks and everyone is applauding and congratulating the main character. Watching that, I felt like I was going crazy. It was like, how far are you going with this…?
ANNO: Well, there were a lot of things I was thinking about there. The biggest reason [for that scene], I have no intention of revealing. The heart of it, I won’t tell anyone. The most crucial part of the reason why I made episode 26 like that - I still haven’t revealed that anywhere, including in [this magazine,] Quick Japan. That part at least, I won’t tell anyone.
OIZUMI: You mean, some personal, formative experience you can’t tell anyone?
ANNO: Something a bit more ideological. …
Per quanto una persona si possa impegnare per comprendere il significato puntuale di una particolare scena di un'opera, cercando di avvicinarsi al suo contenuto primario attraverso la lettura di interviste, la conoscenza dell'autore, frammenti di vita, spirito del tempo e cose così - ad esempio la critica di Anno a se stesso e alla chiusura degli otaku in Evangelion -, penso che talvolta (o forse spesso) ci siano delle zone d'ombra note solo all'autore. Idem per Miyazaki, Takahata etc. soprattutto per film come Mononoke hime e Kaguya hime che hanno impegnato enormemente gli autori sia in termini di tempo che in termini di sforzo intellettuale.
Questo non significa non dialogare, semplicemente voglio dire che i dubbi che esprimi, per quanto leciti, mi sembrano essere una matassa di difficile risoluzione, almeno per quanto mi riguarda, soprattutto dato che cerchi delle risposte puntuali che ti potrebbero essere date solo dal regista e forse da qualche giapponese che ha fatto veramente la guerra. Ma anche qui probabilmente dipende da giapponese a giapponese e dall'esperienza vissuta all'epoca.
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