Émile, ovvero la casualità della vita

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Sayonara no Natsu
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Émile, ovvero la casualità della vita

Messaggio da Sayonara no Natsu »

"L'uomo non è soltanto un contenitore, un pupazzo di stoffa che viene riempito dai suoi tutori/istitutori con nozioni e visioni del mondo e che di conseguenza è destinato inevitabilmente a diventarne un emulo."

Non so quante volte, negli anni, ho ammorbato la gente, qui sul forum e non solo, con frasi simili. L'autodeterminazione, in effetti, era una concezione a cui ero in qualche modo legato. Ma come sembrerebbe abbia detto una volta un "tizio", non c'è niente di meglio che mandare al diavolo ogni mattina prima di colazione un'ipotesi prediletta. In pratica, dopo alcune "scoperte" e tante piccole osservazioni e riflessioni, in qualche modo ho finito per fare "il giro" à la Foscolo per la questione dei cimiteri, giungendo a conclusioni piuttosto curiose. E anche se di teorie pseudo deterministiche e sull'assenza del libero arbitrio è pieno il mondo, alla fine ho scritto questo messaggio perché nonostante tutto tali conclusioni e ragionamenti mi sono parsi degni di essere condivisi. E già che ci sono, sebbene probabilmente non dovrei dato che finirò col dilungarmi ancora di più, comincio con alcune considerazioni appartenenti a una fase precedente del mio pensiero che però hanno una certa importanza in questo discorso e che soprattutto non voglio tralasciare perché le trovo valide (scoprirete a vostre spese che il secondo fine di questo messaggio è proprio quello di "spammare" senza ritegno osservazioni ed elucubrazioni varie di chi scrive XD).

Dunque...

Tempo addietro, mi sono ritrovato a riflettere su ciò che si può e ciò che non si può (cioè che non ha senso farlo) criticare di una persona. Alla fine sono giunto alla conclusione, scusate l'ovvietà, che è passabile di biasimo solo ciò che dipende direttamente dall'individuo e dalla sua volontà, viceversa tutto ciò di cui lui non ha controllo non gli può essere ritorto contro. Conconcretamente, possiamo dire che se una persona commette un crimine, assume un atteggiamento riprovevole o anche banalmente è superficiale, disordinato o ritardatario (presente!) oppure sviluppa disturbi fisici causati unicamente dalla sua pigrizia, allora è chiaramente sensato richiamarlo (o punirlo nei casi più gravi), affinché migliori il suo atteggiamento. Al contrario, è palesemente sciocco criticare o peggio per mancanze dovute a cause esterne all'individuo, come, che so, il fatto di essere nati deformi, essere bassi oppure grossi a causa di malattie e in generale per tutte quelle caratteristiche che dipendono dalla natura o dalla sorte. Chiaramente lo stesso vale anche per il contrario: che senso ha lodare qualcuno per avere gli occhi di un colore che in una determinata società risulta gradevole? E' forse merito suo? Intendo dire che spesso la bellezza è vista come un qualcosa da vantare e di cui vantarsi, ma se l'individuo non ha nessun potere su di essa, che senso ha inorgoglirsi o fare i complimenti a qualcuno di aspetto gradevole? Non è esattamente la stessa cosa di sbeffeggiare qualcuno affetto da sindrome di Down (cosa ovviamente ben diversa dal prenderne onestamente atto)? Così come il bell'aspetto è dovuto a cause che non possono essere direttamente controllate dal diretto interessato, similmente ci sono anche tanti meriti che non dipendono dall'individuo ma unicamente da circostanze fortuite, casuali (ho poi ri-scoperto, con mia grande gioia, che questo stesso concetto viene espresso da Protagora ^^).

Come dicevo, questo modestissimo ragionamento ricopre, come si vedrà, un ruolo importante nel mio ragionamento e inoltre, sebbene non si direbbe, ha qualche ripercussione pratica più interessante di quel che si potrebbe pensare di primo acchito.

Per dire, se si tiene a mente quanto detto risulterà che si possiede a mio parere una buona base per ragionare sull'omosessualità. Mi spiego.
Considerando che la percentuale degli omosessuali è rimasta più o meno la stessa per lo meno dall'ultimo secolo e che sembrerebbe che già da piccoli si sviluppi questa tendenza, io penso che essa dipenda esclusivamente o comunque in grandissima parte da motivi innati. E in effetti, per come ormai vedo l'essere umano, trovo a dir poco inverosimile che così tante persone siano capaci di sovvertire la propria natura volontariamente. Se tutti concordiamo che la natura possa generare esseri umani storpi dal punto di vista fisico, non vedo cosa ci sia di così assurdo nel pensare che possa generare individui con tendenze sessuali opposte a quelle normali del proprio sesso. Insomma, se si concorda con quanto appena detto, risulterà evidente che questo caso rientra appieno tra quelli dove la responsabilità non è dell'individuo, e quindi qualsiasi biasimo, insulto o peggio denota la stessa identica grettezza e stupidità di coloro che umiliano un portatore di handicap o un ritardato (in senso letterale, si capisce). Inoltre, se continuiamo il ragionamento, possiamo dedurre che ogni discriminazione, nel senso di esclusione da incarichi di responsabilità e simili, sia illecita, perché se da un lato come ormai chiaro non si tratta di un difetto punibile, dall'altro non è nemmeno un problema che intacca le facoltà mentali rendendo il soggetto effettivamente impossibilitato a svolgere mansioni importanti.
E se volessimo proseguire ulteriormente, per gli stessi motivi si potrebbe concludere che per una società laica - dunque che crea da sé i propri valori - non sarebbe errato a priori acconsentire al matrimonio, ovvero semplicemente l'unione di due individui riconosciuta dalla comunità, tra costoro, mentre trovo più che legittima l'opposizione e il rifiuto di coloro che credono in valori trascendentali. Detto questo, trovo abbastanza assurda e sgradevole ogni ostentazione e mi sembra piuttosto ridicola ogni professione di orgoglio: in qualunque altro caso di deformità, anche solo l'idea non sarebbe semplicemente grottesca?

...

Come ulteriore esempio di una qual certa utilità e di alcuni risvolti pratici di queste mie considerazioni, potrei dire che mi portarono addirittura ad interrogarmi per la prima volta sul senso del criticare più o meno aspramente le idiozie e le follie umane. Perché, mi domandai, stigmatizzare la stupidità, l'avidità, la falsità, l'ipocrisia e tutti i sentimenti e i comportamenti più bassi e ignobili? O più precisamente, perché biasimare tutto ciò se al tempo stesso si ritiene che siano tratti di cui l'umanità non riuscirà mai a liberarsi? Se come il protagonista di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto si ritiene il popolo minorenne e soprattutto impossibilitato a "crescere", non si dovrebbero allora trarre certe conclusioni e agire e pensare di conseguenza?
Un giorno, un tipo poco raccomandabile (vi lascio immaginare di chi si trattasse ^^) mi disse che non sarebbe mai arrivato il momento in cui sarebbero stati tutti intelligenti. Qualche minuto dopo, però, mi fece notare quanto fosse scialba persino dal punto di vista metrico una qualche sigla nostrana di un qualche "cartone animato", essenzialmente disprezzando e definendo stupidi gli abituali ascoltatori. Ma solo io a questo punto avverto una notevole contraddizione? Se una persona per sregolatezza si nutrisse di cibo per cani la si redarguirebbe e le si direbbe <<tu sei un uomo, non una bestia, dunque agisci da uomo>>, ma se invece a nutrirsi di cibo per cani fosse... un cane? Se si ritiene la società nel suo insieme eternamente e irrimediabilmente stupida, perché sorprendersi che produca e consumi cose stupide? Se già Persio, Giovenale e, ancora prima, Aristofane (e chissà quanti altri) ne denunciavano, schernendole, le stesse aberrazioni e ipocrisie, perché, dico io, continuare a sorprendersi e di conseguenza a disprezzarla per questi aspetti? Evidentemente è la sua natura. Per esempio, se l'aggressività e l'avidità di potere sono connaturate al genere maschile e la volubilità e una sorta di isteria a quello femminile, perché in qualche modo creare fazioni dove si disprezza l'altro genere? Dato che non si decide se e di che genere nascere, un individuo non ha i difetti dell'altro sesso solo per casualità e non per qualche merito o scelta, e di conseguenza viene meno la base stessa per qualsiasi critica. E' ancora legittimo non voler passare la propria vita con un gruppo di individui con problemi psichici, ma di certo non lo è, come già detto, disprezzare e offendere costoro perché sono in questa condizione per motivi che non dipendono direttamente da loro, non so se mi spiego...
Questo atteggiamento sprezzante denota semplicemente un compiacimento della propria superiorità e un più o meno sadico gusto nel dileggiare e offendere gli altri (che poi è lo stesso tipo di piacere che è alla base del pettegolezzo) e di sicuro in ciò non vi è alcun amore per gli uomini. A mio parere, se si ha questa visione del mondo, l'unica cosa veramete onesta e filantropica sarebbe semplicemente sforzarsi di modellare, in silenzio e con infinita mestizia, delle ombre migliori per coloro che guardano, un po' come il grande inquisitore, uno dei "pochissimi", un campione di Cristo, che rinnega il suo signore perché si è accorto che Egli aveva chiesto troppo a questa miserabile schiatta condannandola all'infelicità, e così, accogliendo i consigli del potente spirito dell'autodistruzione, guida gli esseri umani a una quieta e umile felicità togliendo loro il terribile fardello della libertà e facendosi lui e i suoi compagni carico di tutta la sofferenza...

Il passo successivo, che è un po' un'evoluzione e un po' uno stravolgimento di certe mie considerazioni, è stato dettato in verità da una molteplicità di piccole osservazioni, però in un certo senso la fatidica goccia che ha fatto traboccare il vaso, o se vogliamo l'"epifania" (per dirla alla Joyce), è stata la scoperta di questo breve discorso tenuto da uno scrittore e giornalista ai neolaureati della Princeton University, che vi consiglio caldamente di leggere perché è oltretutto molto gradevole e interessante.
Émile, considerando il suo posto nella specie umana e vedendosi piazzato così felicemente, sarà tentato di onorare la sua ragione dell'opera della vostra, e di attribuire al suo merito l'effetto della sua felicità. Si dirà <<Io sono savio, gli uomini sono pazzi>>. Compiangendoli li disprezzerà, congratulandosi con sé avrà più stima per se stesso e sentendosi più felice di loro si crederà più degno di esserlo. E' questo l'errore che più si deve temere
In queste poche righe Rousseau tocca i punti nevralgici di tutta la questione. La domanda, infatti, non è solo <<perché noi facciamo quel che facciamo?>>, ma è anche e sopratutto <<perché siamo quel che siamo?>>

Aristotele, mi pare nell'Etica Nicomachea, afferma che la nostra volontà è dettata da ciò che siamo, ovverosia che è quasi automatico che una persona irosa reagirà in modo aggressivo di fronte a un'offesa, ma che ciò che siamo è determinato dalle nostre abitudini - le quali vanno a formare il nostro carattere - ed è proprio in queste abitudini che si trova la nostra libertà poiché siamo noi a determinarle.

Penso che la sua conclusione sia errata, ma andiamo con (il mio) ordine.

Per molto tempo, una delle evidenze che a mio parere meglio testimoniavano la libertà dell'individuo si poteva trovare nei gemelli omozigoti. Essi, pensavo, hanno un aspetto pressocché identico, il quale gioca un ruolo importante nello sviluppo della personalità, e sono nati nello stesso momento e dunque vivranno la stessa condizione familiare, le stesse condizioni economiche e le stesse condizioni sociali. Soprattutto nei primi anni saranno sottoposti agli stessi stimoli, avranno gli stessi amici, vivranno gli stessi avvenimenti e così via per una moltitudine di cose. Eppure, nonostante tutti questi elementi in comune, non è per nulla impossibile che una volta adulti avranno una mentalità e un carattere totalmente diversi. Questa mi sembrava una vittoria del libero arbitrio che permette al singolo di svincolarsi da qualsiasi stimolo contingente ed esterno e di scegliere per sé. Le cose però iniziarono a scricchiolare quando mi accorsi e iniziai seriamente a riflettere sul fatto che praticamente tutti i miei animali (parecchi) avevano un tratto, una caratteristica o addirittura proprio un carattere diverso da quello degli altri; unico, si potrebbe quasi dire. Il modo di cammininare, il modo in cui si relazionavano con noi, l'intelligenza, la furbizia, singole abitudini, l'affettuosità, l'aggressività, il coraggio, la pavidità, il modo e l'intensità con cui si esprimevano (nel caso dei gatti, il range va da "non un singolo miagolio" a "lamento perenne e terribile") e davvero per ogni altra caratteristica che mi viene in mente. La cosa per me significativa è che, bene o male, noi abbiamo sempre cercato di trattarli in maniera essenzialmente "egualitaria". Se delle bestiole, riflettevo, mostrano differenze così notevoli le une dalle altre sebbene siano state cresciute in maniera non troppo dissimile, le differenze che intercorrono fra gli esseri umani, anche volendo immaginarle più profonde, sono davvero cosa così eccezionale? E' tutto qui il tanto esaltato libero volere che dovrebbe distinguerci dalle bestie e renderci padroni del nostro destino? Mi resi realmente conto, insomma, che evidentemente fino a un certo livello vi sono tratti e caratteristiche dell'individuo di cui non si ha nessun reale controllo e che sono per lo più dettati da fattori imprevedibili e in definitiva dalla sorte...

Ma come si forma, dunque, la nostra individualità e quanto effettivamente c'è di nostro? Schematizzando, potremmo attenerci alla visione relativamente comune e dire che i fattori fondamentali sono 3: genetica e in generale tutto ciò che è innato, ambiente e scelta personale.

Di mio ho la sensazione che la genetica sia un fattore sempre sottovalutato, poiché in particolare in una visione più ampia è di precipua importanza. Voglio dire, già il semplice fatto di essere nati umani determina ENORMEMENTE ciò che faremo nella nostra vita: il tipo e il grado d'intelligenza è già ascritto, nel senso che abbiamo un cervello del tutto diverso da quello, che so, delle formiche e inoltre non possiamo svilupparci oltre i livelli d'intelligenza proprii dell'essere umano (ossia che neanche in potenza possiamo diventare dei); il numero di emozioni che possiamo provare è limitato e già determinato fin dalla nascita e quindi lo stesso si può dire dei possibili caratteri e atteggiamenti che possiamo sviluppare; abbiamo due gambe e due braccia anziché, per esempio, dei tentacoli che ci permettono di fare alcune cose e altre no e che perciò ci indirizzano verso un certo tipo di esistenza; non abbiamo né ali né branchie quindi siamo già condannati a essere animali terricoli; non siamo ermafroditi e ci riproduciamo per via sessuata (con tutte le conseguenze di vita individuale e organizzazione sociale che ne derivano) anziché asessuata; siamo animali sociali e come OGNI ALTRA specie sociale tendiamo a creare gerarchie e come conseguenza siamo spinti a reprimere le nostre pulsioni e così via all'infinito.
Dopo di che, passando via via da fattori macrologici a fattori micrologici, anche il sesso di nascita indirizza e volendo potremmo pure dire determina ulteriormente la vita del singolo. Infatti, sebbene molto probabilmente la cultura giochi un ruolo importantissimo nella differenziazione dei sessi, come già sottolineava Mead in Sesso e temperamento in cui ha trattato delle enormi differenze in questo senso tra alcune popolazioni della Nuova Guinea, è pur vero che certe caratteristiche sembrano essere innate e universali, come, giusto per fare un esempio, oltre a ciò che scrivevo prima, un maggior grado di empatia da parte delle femmine (in un esperimento è stato chiesto a dei genitori di fingere un malore e le bambine si sono mostrate più attente e preoccupate), cosa d'altronde abbastanza ovvia se si ragiona sul fatto che si tratta di una caratteristica essenziale per la crescita di un figlio. Inoltre persino negli animali a noi più vicini (ovvero essenzialmente nei mammiferi) apparentemente vi sono differenze affatto simili a quelle che intercorrono tra gli esseri umani: da quello che so, in tutti gli studi fatti finora su comunità di mammiferi le femmine si sono sempre mostrate notevolmente più empatiche rispetto ai maschi, e, per quanto mi riguarda, io ho invece notato svariate volte nei miei animali femmina un'intelligenza a dir poco diabolica mentre i maschi si sono mostrati sempre come degli stupidi bamboccioni rissosi senza speranza (LoL). Più in generale, non è un segreto che il toro abbia un comportamento diverso da quello della mucca, il cinghiale da quello della scrofa e lo stallone da quello della cavalla e quindi almeno per analogia non è assurdo pensare che anche uomo e donna differiscono. E, volendo, anche il fatto che in carcere vi sia solo circa il 4% di detenuti femmine ci può indirizzare verso queste conclusioni.
Poi vi sarebbe anche la questione dell'etnia, su cui non vorrei dilungarmi e quindi mi limito a dire solo che anche nel caso non vi fossero differenze (genetiche o altro) tali da giustificare il parlare di razze diverse, sarebbero comunque sufficienti a determinare in ogni caso delle differenze biologiche dettate perlomeno dalle condizioni ambientali in cui si vive, dato che in agricoltura bastano anche solo un paio di generazioni per selezionare una qualche caratteristica di un ortaggio (tipo maggiore capacità di adattarsi a terreni aridi) e quindi è ovvio che due popolazioni vissute per millenni in ambienti opposti abbiano sviluppato tratti diversi.
Infine, a me sembra abbastanza chiaro che anche al livello proprio individuale si nasca con caratteristiche che indirizzano l'individuo e che ne sanciscono lo sviluppo: oltre a cosa evidenti come eventuali malattie congenite e l'aspetto nel suo complesso, è facile incontrare qualcuno maggiormente predisposto per qualcosa. E questo qualcosa potrebbe essere una malattia come una professione in senso lato: praticamente l'intera mia famiglia, eccetto me (sebbene quando ero un bimbo un attore consigliasse mio papà di farmi studiare recitazione, ma vabbè), è notevolmente portata per le attività artistiche (disegno, pittura, musica, scultura, cinema...) senza che nessuno abbia mai educato o spinto qualcuno in tal senso, e in effetti, pensadoci, so che in molte popolazioni diverse vi sono detti o aforismi che sottolineano quanto la sola discendenza sia influente sull'individuo ("buon sangue non mente", tipo, ma si dice anche, se non sbaglio tra gli eschimesi, che il figlio di un buon pescatore sarà a sua volta un buon pescatore). Oltretutto, a me risulta difficile credere che i livelli raggiunti da un individuo come Mozart siano ascrivibili semplicemente all'educazione, all'ambiente o men che meno alla scelta, poiché quale può mai essere la volontà dell'individuo a quell'età (a 4 anni era già in giro per le corti europee...) e inoltre chissà quanti altri bambini sono nati e crescuti in un ambiente colto e artistico senza però raggiungere neanche lontanamente gli stessi livelli.
In generale, insomma, mi pare palese che non è affatto vero che quando nasciamo siamo dei completi fogli bianchi, poiché vi sono un'infinità di fattori, tutti al di fuori del nostro controllo, che ci limitano o ci spingono in certe direzioni.

Per quanto riguarda l'ambiente, non ci sarebbe neanche bisogno di dilungarsi data la grande evidenza del suo notevole effetto e influenza. Potrei parlare dei cosiddetti ragazzi selvaggi che a causa del loro isolamento non sviluppano diverse delle doti umane (e né riescono a recuperarle), potrei parlare dell'influenza storica-culturale nella concezione di Vygotskij, potrei ricordare che essenzialmente la maggior parte dei cristiani sono cristiani e non musulmani semplicemente perché sono nati in una famiglia e in una società cristiana, e ovviamente viceversa, oppure che la maggior parte (ooh, e non solo la maggior parte, come si capirà fra poco ^^) delle persone aristocratiche è aristocratica e può schifare il popolo solo perché, beh, è nata in un ambiente raffinato e colto e quindi sarebbe stata essa stessa plebe se fosse nata tra i plebei. Potrei farlo, ma meglio di no (ok: perdonate la stupidissima preterizione XD), e riporto piuttosto un'antilogia estremamente interessante (presa da Wikipedia ma che confermo esiste perché è presente anche nella mia raccolta dei presocratici) che si adatta perfettamente al mio discorso se si ragiona sul fatto che queste differenze sono essenzialmente dovute all'ambiente e alla cultura in cui si nasce: «Presso i Macedoni si ritiene bello che le fanciulle prima di sposarsi amino e si congiungano con un uomo, e dopo le nozze, brutto; presso i Greci, è brutta l'una e l'altra cosa. Gli Sciti ritengono bello che uno, dopo aver ammazzato un uomo e averne scuoiata la testa, ne porti in giro la chioma posta dinanzi al cavallo, e dopo averne indorato il cranio, con esso beva e faccia libagioni agli dei; invece, presso i Greci neppure si vorrebbe entrare nella casa di uno che avesse compiuto tali cose. I Massageti squartano i genitori e se li mangiano, perché pensano che l'esser sepolti nei propri figli sia la più bella sepoltura; invece se qualcuno lo facesse in Grecia, cacciato in bando morirebbe con infamia, come autore di cose turpi e terribili. I Persiani reputano bello che anche gli uomini si adornino come donne, e si congiungano con la figlia, con la madre, con la sorella; per i Greci son cose turpi e contro legge. Presso i Lidi, che le fanciulle si sposino dopo essersi prostituite per denaro, sembra bello, presso i Greci, nessuno le vorrebbe sposare. Anche gli Egizi non s'accordan con noi su ciò che è bello; qui è ritenuto bello che sian le donne a tessere e filar la lana; lì invece gli uomini, e che le donne facciano quel che qui fanno gli uomini. Impastare l'argilla con le mani, e la farina coi piedi, lì è bello, ma per noi è tutto il contrario».

Per finire, c'è la libertà individuale, la libertà radicale che permette di decidere da sé cosa fare, dove e con chi vivere, quali elementi accogliere in noi e quali rifiutare e dunque persino quale sarà il nostro futuro io, la nostra futura personalità. C'è, insomma, la possibilità di svincolarsi da tutto, di staccarsi dalla proprie origini, dal proprio vissuto, dalle proprie emozioni e così, supremo privilegio dell'uomo invidiato dagli angeli, scegliere il proprio destino...

... Ma ne siamo poi così sicuri? ^^

Riprendiamo quanto dice quello scrittore nel link che ho riportato. Praticamente L'INTERO suo successo (nonché quasi la sua intera vita) è stato dettato da casualità e in generale da fattori a lui esterni su cui non aveva nessun controllo: non è dipeso certo da lui il sedersi accanto alla moglie di un uomo influente che gli ha offerto un lavoro da cui poter osservare da vicino certi meccanismi ed eventi, così come non è dipeso da lui avere un professore che gli instillasse o comunque che alimentasse questa passione letteraria al punto da abbandonare un impiego redditizio per quella che a tutti gli effetti era una scommessa.
Ma questo discorso, oltre ovviamente a valere per tutti noi, non si può ulteriormente espandere?

Ogni individuo nel corso della propria vita fa innumerevoli scelte, che differiscono da quelle fatte da un altro individuo nelle stesse condizioni. Ma per quale motivo?
Poniamo ad esempio che due bambini si trovino davanti a una situazione scolastica particolarmente difficile/sgradevole, nel senso di brutti rapporti con i compagni, con gli insegnanti e così via. Uno decide di andarsene mentre l'altro di restare. Normalmente ci si limita a riflettere su chi abbia fatto la scelta migliore e quindi chi sia stato più accorto/intelligente, ma a me stavolta non interessa. Ciò che invece mi interessa è capire il perché vi sia stata questa differente scelta. Perché, insomma, uno ha agito in un modo e l'altro in un altro? Potremmo immaginare che quello che ha deciso di andarsene era più pavido o al contrario meno disposto a subire vessazioni, oppure che quello che ha deciso di restare forse era più tenace o viceversa perché era incapace di essere risoluto. O ancora potremmo pensare che uno dei due fosse realmente più intelligente e dunque capace di valutare la situazione correttamente oppure che avesse dietro qualcuno che lo abbia indirizzato verso una certa direzione e in definitiva per qualsiasi altro motivo. Il punto è che la scelta diversa è dovuta a una personalità diversa, al fatto tra i due c'è una differenza, che può essere a qualsiasi livello (intellettuale, emotivo, sociale eccetera eccetera). Ma allora, andando in qualche modo sempre più "a ritroso", a questo punto la domanda diventa: perché c'è questa differenza? Nelle vicende dello scrittore di poc'anzi si poteva controbbattere che la moglie del pezzo grosso gli ha fatto offrire un lavoro dal marito perché era stata colpita da lui, e che quindi c'era un merito personale (probabilmente a uno stupido non avrebbe fatto la stessa offerta): ma, di nuovo, perché lui era diverso e migliore di un altro?

La risposta a tutti questi quesiti è: per caso.

Come si è detto, noi rispondiamo a uno stimolo a seconda della nostra personalità in maniera quasi meccanica, ma a mio parere, a differenza di quanto pensato da Aristotele, la nostra personalità è frutto di un coacervo di fattori tutti al di fuori del nostro reale controllo.

Riprendiamo e concludiamo l'esempio di prima. Perché uno dei bambini ha deciso di andarsene? Poniamo perché magari è pavido. Ma a questo punto io chiedo, perché è pavido? Beh, ci possono essere milioni (o anche miliardi, ma non cambia assolutamente nulla) di motivi, però diciamo per comodità che potrebbe essere così perché ha un carattere remissivo, o perché ha vissuto esperienze che lo hanno impaurito/"castrato" e dunque portato a tentare di rifuggire evenienze come queste. Ma questi sono forse fattori che dipendono dall'individuo? Certo che no. Oltre a quello che dicevo prima riguardo alle differenze caratteriali presenti persino negli animali e dunque che probabilmente sono essenzialmente imprevedibili e casuali, un bambino sviluppa un carattere e delle caratteristiche proprie già nei primissimi anni di vita, e mi sembra a dir poco inverosimile che a una simile età abbia deciso coscientemente quali tratti acquisire e quali rifiutare (e inoltre chi ha provato a cambiare una caratteristica della sua personalità molto radicata sa quanto ciò sia estramente difficile). Se invece ciò fosse dovuto a esperienze particolari, allora risulterebbe con ancora più evidenza l'accidentalità di questo tratto: se non avesse vissuto queste vicissitudini sarebbe stato in un modo, invece avendole vissute è in un altro.

Per quanto ovvio, proprio quest'ultimo caso è davvero importante nella mia visione, poiché fa capire quanto la vita e il pensiero degli esseri umani siano casuali e del tutto staccati dalla nostra volontà.
Pensate ad Émile. Vedendo gli altri esseri umani li disprezzerà e si sentirà migliore di loro, e a ragione, poiché in effetti E' migliore di loro. Ma perché lo è? Semplicemente per opera di altri, di Rousseau che lo ha istruito. Émile, come viene chiaramente detto, non ha alcun merito per la sua superiorità: se al suo posto il filosofo avesse educato un altro bambino, a quest'ora i ruoli sarebbero semplicemente invertiti. Ecco a voi spiegata essenzialemente la stragrande maggioranza (a fra poco ciò che manca) delle differenze individuali.
Faccio qualche altro esempio basilare. Poniamo che un bimbo stia per gettare una carta per terra, ma che i genitori, evidentemente un minimo sensibili a queste cose, lo fermino e gli mostrino il giusto comportamento da assumere. Ora immaginiamo che diversi anni dopo il bambino, che ora è un ragazzo, veda suoi coetanei gettare senza rimorso immondizia per strada. Probabilmente proverà un senso di genuina indignazione (o perlomeno io lo provo ^^) e sarà tentato di disprezzare la stupidità degli altri. Ma sbaglierebbe: l'unica differenza che intercorre tra loro è che lui ha vissuto un'esperienza che ne ha mutato l'atteggiamento, mentre gli altri evidentemente no (so perfettamente che le cose possono essere molto più complesse di così, ma non preoccupatevi perché piano piano ci arrivo). Questo stesso discorso si può applicare a un'infinità di campi e situazioni. Per esempio, diversi intellettuali sono proprio diventati intellettuali per circostanze fortuite, o comunque hanno creato delle opere proprio per avvenimenti o incontri casuali. Pensate a Newton che ha avuto modo di diventare quello che è diventato perché, a quanto ho letto, ebbe la fortuna di avere un professore che capisse il suo talento e che fosse sufficientemente altruista da prendersi l'onere di convincere la madre di lui a fargli continuare gli studi, pensate a Goldoni che in un certo senso deve la sua carriera al casuale incontro col direttore di una compagnia che gli ha dato il modo di seguire la sua vocazione (altrimenti sarebbe probabilmente rimasto a fare l'avvocato), o pensate a d'Annunzio che ha scritto Notturno proprio perché doveva rimanere con gli occhi chiusi a causa di una ferita, oppure alla conversione al cattolicesimo di Manzoni avvenuta perché, si dice, durante il matrimonio di Napoleone ebbe una crisi che lo portò a rifugiarsi in una chiesa dalla quale uscì convertito e più in generale pensate a tutti quei poeti e scrittori che hanno creato delle opere sulla guerra proprio perché la guerra esiste e l'hanno vissuta. Come dimostrano anche Hugo e Dostoevskij che divennero totalmente contrari alla pena di morte dopo averla vista, il primo, e "vissuta", il secondo, potremmo dire che in un certo senso gli eventi diventano una sorta di diaframma contro cui gli individui si scontrano e da cui ne escono cambiati. Facendo qualche esempio più generico, potremmo osservare che è assurdo che il lavoratore più anziano, una volta che ha imparato bene il suo mestiere, denigri quello più giovane per i suoi errori, poiché egli non commette più gli stessi sbagli banalmente perché ha più esperienza. O ancora, potremmo immaginare un caso in cui una persona abbia sviluppato una sua idea, ma in seguito a una discussione o a un avvenimento l'abbia modificata: se dopo un po' di tempo incontrasse un altro individuo che propugna la sua vecchia idea, potrebbe ritenersi realmente superiore? In fondo non sono uguali unicamente a causa di un fattore esterno (l'evento o la discussione) che per motivi del tutto casuali è entrato in contatto con lui e non con l'altro. Tutto ciò, in effetti, è assolutamente ovvio poiché è esattamente come dire che fino a quando non mi spiegano come fare qualcosa io questo qualcosa non so farlo, ma subito dopo avermelo spiegato, lo so fare. Eppure, proprio davanti a quest'ovvietà cadono già in tantissimi.

Il passo successivo consiste nel prendere in considerazione tutti i fattori sociali che hanno un ruolo nello sviluppo della persona.
Io penso che a grandi linee esista una sorta di natura umana - ovvero un insieme di impulsi e tendenze - comune a ognuno di noi che semplicemente si adatta e si modella sulla società in cui si nasce. Un esempio ovvio è quello dei gusti culinari: tutti siamo predisposti a gradire qualcosa, però questo qualcosa cambia a seconda di dove e quando si è nati. Spesso si guarda a una qualche civiltà o epoca passata per lo più dicendosi che si agirebbe in maniera diversa e magari se ne criticano aspetti e costumi, ma a mio parere è un grave errore. Il fatto è che ovviamente noi diciamo così perché la nostra sensibilità e personalità si sono sviluppate in quest'epoca, ma se fossimo nati in quei contesti ci sarebbero sembrati del tutto normali. E' assurdo pensare, infatti, che le generazioni degli anni dieci siano nate "belligeranti", quelle degli anni venti "frivole", quelle degli anni trenta "autoritarie", quelle degli anni sessanta "rivoluzionarie", quelle degli anni ottanta "paninare" e quelle odierne "%$£&§", piuttosto è assai più sensato ritenere che gli individui nati in questi vari periodi siano stati soggetti a vari influssi e sollecitazioni che spontaneamente li hanno portati ad assumere simili comportamenti, senza alcuna vera scelta da parte loro. Questo discorso chiaramente si può applicare a un'infinità di casi.
Tempo addietro, chiesi un passaggio a un signore di età avanzata, sull'ottantina (qui da me fino a novant'anni sono ancora quasi tutti energici e alcuni vanno persino a lavorare nella propria campagna), che, vedendo probabilmente il mio non imbambolarmi immediatamente davanti a un cellulare e la mia disponibilità alla discussione, iniziò una discreta invettiva contro i giovani e più precisamente contro i nipoti. Da quanto diceva, essi erano essenzialmente dei viziati, e a tavola, non appena vedevano qualcosa di non loro gradimento, iniziavano a dire, testuali parole, "che schifo, che schifo!", mentre lui e tutti i suoi coetanei alla loro età non si sarebbero mai sognati di dire cose del genere, poiché a causa delle dure condizioni di vita essi si adattavano, e in ogni caso altrimenti sarebbero rimasti semplicemente a digiuno perché nessuno avrebbe gettato del cibo per farne dell'altro di loro gradimento. Si capisce che io immediatamente iniziai a sorridere tra me e me pensando a Takahata e a quanto fosse precisa la sua analisi, però in questo caso ciò che mi interessa è altro. Quanto detto da questo signore mi sembra assolutamente vero, però si può fare una considerazione a mio parere molto interessante: lui e i suoi coetanei non erano viziati solamente perché sono nati in un momento che non gli permetteva di esserlo, e al contrario i suoi nipoti lo sono semplicemente perché sono nati in questa società ed epoca che spingono in questa direzione. Io non credo né all'anima né a un "io" individuale diciamo trascendente, non legato a un corpo (la personalità di ognuno di noi, per me, è semplicemente frutto di genetica ed esperienze in senso ampio: se Michelangelo fosse nato oggi banalmente non sarebbe stato Michelangelo poiché l'individuo che conosciamo con questo nome è indissolubilmente legato a un preciso momento, luogo e vicende di vita), ma se le loro posizioni si fossero potute invertire, semplicemente gli uni avrebbero agito come gli altri e viceversa. E volendo riprendere quanto dicevo in precedenza, lo stesso identico discorso vale per il ceto d'appartenenza: dato che anche gli scimpanzé se educati sanno mangiare con le posate e sanno compiere correttamente il 'rito' dell'high tea, in gran parte dei casi è ridicolo chi crede davvero di essere in qualche modo intrinsecamente superiore alle fascie più degradate e brutali della popolazione per via delle differenze che appaiono non appena cresciuti. In effetti è un po' come chi da bambino gioca ai giochi (o guarda gli anime...) tipici della propria epoca, ma una volta cresciuto non riesce ad apprezzare quelli che si sono affermati in seguito e a cui stanno giocando i nuovi bambini, finendo col disprezzare questi ultimi: è palesemente un errore grossolano e una critica sciocca, poiché entrambe le generazioni hanno soltanto seguito la spinta innata a divertirsi, e ognuna l'ha fatto con ciò che ha trovato a disposizione. Le uniche differenze reali, dunque, sono il contesto e il momento in cui hanno vissuto.
Allo stato attuale, volendo portare questo discorso fino ai suoi estremi, io ritengo che se una specie aliena superiore venisse sulla terra e osservasse la turpitudine, la follia e la stupideria dell'umanità, ebbene, non avrebbe alcun diritto di disprezzarla e denigrarla, ma potrebbe solo compatirla e provare infinita pietà per essa. Questi alieni sono diversi unicamente perché hanno avuto la fortuna di nascere altrove e di un'altra specie: fossero stati umani avrebbero agito allo stesso modo. Perché ci denigri, dunque, o Micromegas? Non siamo stati noi a voler nascere in quest'atomo opaco del Male...

A questo punto aggiungete anche tutti gli altri aspetti di cui ho parlato in precedenza, come le differenze tra maschi e femmine o le inclinazioni naturali e i limiti biologici sia della nostra specie sia dei singoli individui, e capirete quanto la nostra esistenza sia condizionata già in partenza, e che il nostro fare e il nostro non fare, il nostro volere e il nostro non volere e soprattutto il nostro essere e il nostro non essere sono dovuti a motivi ben più casuali di quanto crediamo.

Volendo speculare un altro po' su quanto detto finora e sui risvolti pratici di queste considerazioni e in generale su tutta la questione, potremmo ad esempio affermare che la maggior parte delle critiche che normalmente rivolgiamo agli altri non ha senso. Innanzitutto, spessissimo noi biasimiamo il comportamento di qualcuno semplicemente perché non ci troviamo nella sua stessa posizione, ma al suo posto agiremmo esattamente allo stesso modo. Pensate a Margherita, che dopo il suo rapporto con Faust, una volta aver ascoltato le parole di un'amica che biasimava un'altra ragazza per aver ceduto al corteggiamento dell'innamorato ed essere quindi rimasta incinta prima del matrimonio, riflette malinconicamente che fino a poco tempo prima anche lei era molto brava a criticare con parole terribili una povera ragazza che sbagliava, ma che ora è proprio lei ad essere nel peccato. In pratica, fino a quel momento non aveva deragliato non per una vera superiorità ma semplicemente perché non era stata soggetta allo stesso stimolo, mentre non appena si è trovata lei stessa nei panni della fanciulla innamorata e corteggiata ha agito esattamente come le altre. Questa dinamica è risaputa e assai comune e la si può riscontrare un po' ovunque, come ad esempio tra i governati che si lamentano per le ruberie dei governanti, tra i lavoratori che protestano contro le ingiustizie dei padroni (mi viene da pensare a Renzo, ex contadino e operaio, che alla fine de I promessi sposi, una volta divenuto lui stesso proprietario, entra in contrasto con i lavoranti per le stesse pretese che un tempo aveva lui), tra gli individui che esecrano coloro che per eseguire gli ordini, si pensi a Eichmann, commettono brutalità terribili (gli esperimenti di Milgram e nonostante tutto anche di Zimbardo sono assai chiari al riguardo), tra chi disprezza chi emigra (dato che nessuno vive secondo i propri princìpi - grazie Bayle! -, se un individuo non ha emigrato è semplicemente perché non ne ha avuto bisogno, ma se ne avesse bisogno e ne avesse la possibilità, lo farebbe senza pensarci due volte) e tra le vecchie generazioni che biasimano quelle nuove per dedicare troppo tempo, ad esempio, a computer e cellulari: oltre a quanto ho scritto in precedenza, principalmente tutti costoro non agiscono come coloro che attaccano non per una maggiore riflessività o consapevolezza, ma banalmente perché non vi è lo stimolo che invece agisce sugli altri, come ad esempio in quest'ultimo caso il fatto di avere la maggior parte dei coetanei che comunica tramite questi mezzi.
Ma c'è dell'altro.
Talvolta, in effetti, è vero che in una determinata situazione un individuo non agirebbe alla stessa maniera di un altro. Ma è davvero lecito criticare una persona che si comporta in un modo diverso e peggiore del nostro? Voglio dire, se nessun essere umano è perfetto, e ognuno di noi ha qualche difetto essenzialmente connaturato e involontario, è poi davvero sensato criticare qualcun altro per un suo difetto che meri motivi casuali è diverso dal nostro?
Chi ha il vizio del fumo, può ribrottare chi ha il vizio del bere? In effetti se si guarda il singolo fatto (il bere), il primo dei due è migliore dell'altro, ma se si pensa in grande semplicemente lo stesso tipo di debolezza nel suo caso si è manifestata in altra forma, ovvero col vizio di fumare. E chi fa le file per guardare all'uscita un film, può poi biasimare chi le fa per comprarsi il cellulare di ultima generazione? E se uno è un appassionato sfegatato di un fumetto/anime al punto da fare pazzie per esso, può in fondo criticare chi fa lo stesso per uno sport? Con tutte le differenze che ci possono essere, è lo stesso meccanismo che muove tutti. Ma anche qualora i difetti di un individuo fossero totalmente diversi da quelli di un altro, non ci sarebbe alcuna differenza. Un pigro può seriamente biasimare un irascibile? Di fronte a una reazione eccessivamente violenta di quest'ultimo, il primo può effettivamente criticarlo senza essere tacciato di ipocrisia perché effettivamente egli avrebbe agito in maniera diversa, però se si riflette un po' si capisce che egli non l'avrebbe fatto unicamente perché ha avuto in sorte una menda diversa. Assumendo che nessuno dei due provi realmente a corregersi, si può dire davvero che egli è effettivamente migliore dell'altro? Io penso di no. La virtù, semmai, starebbe nel fare o nel non fare qualcosa che va contro la propria indole, poiché altrimenti così semplicemente non si compie un atto esecrabile solo perché non c'è nulla che ci spinge a farlo, che in un certo senso è un po' come non rubare soltanto perché c'è qualcuno che controlla.
Insomma, se i motivi per cui gli individui sono ritardatari anziché superficiali, passivi anziché svogliati, sgorbutici anziché egoisti o rozzi anziché insensibili (e così via per ogni tratto umano) sono in ultima analisi riconducibili semplicemente alla natura individuale che spinge a comportarsi in un modo anziché in un altro, allora, anche se in sé alcuni difetti sono peggiori e più nocivi di altri, mi sembra evidente che viene meno qualunque pretesa di superiorità e la legittimità di qualsiasi biasimo (da stinguere sempre, però, dal semplice prenderne atto). Lo stesso discorso, si capisce, vale anche per quanto riguarda i pregi...

Finora, comunque, ho trattato più che altro i casi più comuni e semplici, quelli con dinamiche quasi meccaniche. Ho preso, cioè, esempi dove l'intelligenza dell'individuo fosse praticamente nulla e i pensieri e i comportamenti fossero tutti legati con evidenza a un sistema di causa ed effetto. Di mio, ritengo sinceramente che per la maggioranza degli esseri umani già solo questo sia più che sufficiente per spiegarne gusti, visioni, pensieri, ideologie, insomma, tutto. Come dicevo, chi è nato in un ambiente cristiano, sarà cristiano, chi in uno musulmano, sarà musulmano, chi in uno conservatore, sarà conservatore, chi in uno progressista, sarà progressista, e aggiungo che gran parte delle eccezioni a questa regola sono comunque dettate sempre da cause meccaniche, come, ad esempio, chi nasce in una famiglia religiosa spesso diventa non religioso banalmente come reazione a un ambiente asfissiante (a cui di solito si aggiunge un influsso della società e del gruppo dei pari che è contrastante con la visione familiare) e non per una vera presa di coscienza, mentre molti di coloro che rifiutano una società autoritaria e il culto del denaro spesso sono mossi più che altro da "ormoni", e in effetti non è raro che una volta calmatisi i bollenti spiriti tornino da bravi all'ovile per poi agire in maniera forse addirittura peggiore di quella dei padri. Eppure, nonostante tutto, so perfettamente che ci sono casi più complessi e diciamo pure delle vere e proprie eccezioni formate da individui che fanno determinate scelte al di là di esperienze dirette precedenti o che non sono dettate da eventi particolari. Non è affatto impossibile, riprendendo uno degli esempi che ho fatto, che una persona possa capire che è meglio non gettare rifiuti per strada anche senza che nessuno glielo spieghi, magari perché si ferma a pensare sull'insensatezza della cosa o perché trova sgradevole il degrado che ne deriva. Oppure, al contrario, può benissimo capitare che diverse persone facciano un'esperienza e che solo poche ne ricavino un insegnamento mentre per tutte le altre si riveli privo di valore, non sortendo alcun effetto. Sembrerebbe dunque che non si possa ridurre tutto a una questione automatica. In realtà, però, sebbene le cose siano un po' più complesse, anche questi casi particolari rispondono sempre agli stessi meccanismi. Per accorgersene è sempre sufficiente interrogarsi sui motivi di tali differenze. Perché, insomma, certe persone agiscono in maniera diversa dalle altre? Probabilmente perché sono più intelligenti o più sensibili. Ma a questo punto bisogna chiedersi, perché sono più intelligenti e più sensibili? E la risposta è e sarà sempre: per motivi che non dipendono da loro. Forse sono nati con una maggiore predisposizione a sviluppare questi tratti, forse sono cresciuti in un ambiente culturale che ne ha sviluppato le capacità oppure hanno vissuto singoli eventi che li hanno indirizzati a sviluppare maggiormente una sensibilità o un pensiero critico. Al di là della motivazione, il punto è che una volta acquisite queste capacità verranno poi utilizzate per tutti gli aspetti della vita, permettendo di scegliere di assumere comportamenti non direttamente collegati con la propria esperienza. Ciò non toglie però che nei fatti l'intelligenza non è mai e dico mai merito di chi la possiede, ed è sempre dettata dalla fortuna. Infatti, anche coloro che ad un certo punto decidono volontariamente e coscientemente di accrescierla leggendo, frequentando ambienti e persone stimolanti o rifiutando di imbruttirsi con la spazzatura prodotta dalla società (magari togliendosi il televisore...), lo fanno, anzi possono farlo proprio perché hanno già in partenza una certa quantità di intelletto che gli apre queste strade che altrimenti neanche vedrebbero né contemplerebbero. Infatti, in questo senso esso è assai simile alla ricchezza: chi non ne ha, è quasi impossibilitato ad accrescierla, mentre chi già in partenza ne ha parecchia può farla fruttare in moltissimi modi. E questa quantità iniziale non deriva in alcun modo dai propri meriti: se, giusto per ragionare su casi ahimè comuni, un bimbo viene scaraventato sin dalla più tenera età davanti a uno schermo a guardare i programmi più deleteri, qual è in fondo la sua colpa se poi diventerà stupido? Al suo posto chiunque sarebbe cresciuto alla stessa maniera, poiché a quell'età ancora si è totalmente dipendenti dai tutori e perciò non si avrebbe ancora le capacità per sottrarsi a tale influsso (chi sarebbe capace, suvvia, a, che so, 2 anni di smettere volontariamente di assistere a demenzialità poiché ci si rende conto del loro infimo valore e dei loro effetti dannosi?).
In sostanza, allo stato attuale considero ogni persona intelligente che si gloria delle proprie capacità alla stregua di una ragazzina nata in una famiglia abbiente che si pavoneggia dei suoi bei vestini: è vero, sono belli e rari, ma il solo motivo perché è lei ad averli e non le sue amiche è il caso, la fortuna di essere nata in una famiglia che glieli ha potuti comprare. L'unica cosa buona da fare in questi casi sarebbe quella di non sciuparli e in generale semplicemente di usarli nel migliore dei modi...

Dunque, mettendo un po' in ordine tutto questo pasticcio scritto finora, possiamo dire che la mia visione riguarda essenzialmente due aspetti strettamente collegati ma comunque diversi: ciò che si è e ciò che si fa.

Ciò che si è, a mio parere, è sempre e comunque frutto del caso. Genetica, ambiente ed esperienza vanno a formare la nostra individualità senza una reale nostra voce in capitolo. Per fare un simpatico esempio, potremmo dire che se qualcuno leggendo queste mie parole si irretisse e decidesse di voler essere il completo padrone della propria vita e della propria personalità, starebbe comunque confermando la mia visione: questa sua decisione sarebbe stata dettata da un lato da questo stesso messaggio (se non l'avesse letto non si sarebbe posto il problema) e dall'altro da una personalità per qualche motivo sensibile/irritabile da queste cose, che bisogna ricordare si è sviluppata in questo modo per motivi che non dipendono dal diretto interessato (al solito, nascita, ambiente, esperienze...). Nel caso riuscisse in quest'impresa, inoltre, dovrebbe comunque attribuire tale risultato alla sua intelligenza e capacità attuali, che però a loro volta derivano un'infinità di fattori pregressi che in ultima analisi sono sempre al di fuori della sua reale volontà. ^^

Anche ciò che facciamo, di conseguenza, è essenzialmente condizionato. Come già detto, noi reagiamo alle cose a seconda di come siamo, ma anche il nostro volere è regolato dalla nostra personalità. Infatti, noi desideriamo e rifuggiamo ciò che la nostra vita ci ha portati a cercare o a disprezzare - in generale basti pensare al senso del bello che cambia moltissimo a seconda del tempo e del luogo - e inoltre, non solo la "rosa" di opzioni che si ha quando si è davanti a un problema è sempre limitata dal nostro vissuto (banalmente, una persona meno intelligente o con meno esperienza non contempla neanche certe strade), ma la scelta (o la non-scelta) effettiva che andremo poi a compiere sarà sancita da fattori della nostra personalità come inclinazioni naturali, ideologie preesistenti, esperienze vissute, pulsioni inconscie e così via, e quindi il discorso ritorna sempre al punto di partenza. Dunque, rispondendo ad Aristotele, anche se apparantemente siamo noi a scegliere le nostre abitudini, rimane comunque una scelta indotta, e perciò in un certo senso involontaria. In definitiva, potremmo riassumere tutto dicendo che ogni azione che compiamo in qualche modo non potevamo non compierla.
A dire il vero, sotto questo aspetto sono giunto alla conclusione che potrebbe però esistere un'eccezione: se ad una macchina si "insegnassero" le regole basilari di un gioco (in cosa consiste e come si muovono i pezzi degli scacchi, tipo) senza però indicargli quale sia l'obiettivo, ogni scelta che farà sarà totalmente libera (poiché non ha inclinazioni né scopi come quello di vincere) e dunque del tutto imprevedibile, a differenza, come si sarà capitò, di tutte le azioni umane, che, se esistesse un essere onniscente, potrebbero benissimo essere conosciute in anticipo. Ovviamente anche questa condizione è predeterminata (in questo caso dai programmatori) e dunque ciò che questa macchina è e può fare è dovuto a fattori esterni e casuali, però in effetti ad oggi mi sembra a tutti gli effetti una vera e propria anomalia a questa seconda parte del mio ragionamento.

Tutto questo discorso avrebbe ovviamente delle conseguenze. A questo punto, infatti, il mio ragionamento iniziale sulla responsabilità individuale come unico criterio per il biasimo andrebbe allargato a tutti, poiché evidentemente qualunque sia la condizione in cui versa un individuo e qualunque sia l'azione compiuta, sono essenzialmente eventualità sempre legate alla sorte. Viene meno, dunque, tutto il concetto di merito e colpa. Perciò, ad esempio, eventuali pene in linea teorica non sarebbero più da somministrare in base alla gravità del reato, bensì semplicemente a seconda dell'effetto che producono sugli individui. Bisognerebbe, ovverosia, modificare, con l'unico fine di migliorare la persona, le misure adottate anche per lo stesso identico reato a seconda della personalità del colpevole che lo porta a vivere una certa situazione in maniera unica: in un caso si potrebbe non punire in alcun modo mentre in un altro si potrebbe adottare una linea estremamente dura. Ma questa rimane comunque una fantasia mia perché comunque richiederebbe una conoscenza pressocché assoluta dell'animo di tutti gli individui, cosa evidentemente impossibile... ^^

Quasi come ultima riprova di quanto scritto fin qui, vorrei aggiungere che in fondo, e finalmente concludo, questo stesso messaggio è il frutto di tanti eventi casuali come la scoperta di quel discorso alla Princeton, ma soprattutto di una mia predisposizione caratteriale: con queste mie conclusioni, infatti, tolgo ogni fondamento razionale all'arroganza e all'altergia, che odio, e in qualche modo anche alle assurde disparità sociali, ma non nego affatto le reali differenze individuali né, dunque, la superiorità fattuale di certi individui... ^^

P.S. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui!
Benjamin was the only animal who did not side with either faction. He refused to believe [...] that the windmill would save work. Windmill or no windmill, he said, life would go on as it had always gone on– that is, badly.

Animal Farm