Animazione occidentale Vs animazione nipponica
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- testuggine
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Ma che di pezza... QUELLO è vero! E' come Homer quando si è perso dietro l'armadio... Sta arrivando... Lo sento... TUMP TUMP...
Anche se forse forse...
Zuppa primavera
Dall’energia tipicamente primaverile: il porro, le foglie di ravanello e il ravanello stesso che, con una cottura breve, ha funzione depurativa per il fegato...
Ci farò un pensierino...
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- Howl
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Uhmmmm... argomento potenzialmente "scottante", questo. Comunque, voterò per l'ultima opzione, senza esitazioni
Approfitto dell'occasione per sottoporre al vostro giudizio una frase che, mi è stato riferito, è stata pronunciata non molto tempo fa da un famoso animatore Disney, Andreas Deja.
Deja avrebbe detto una cosa simile:
La mia opinione è questa: un film del genere sarebbe un inopportuno assurdo culturale. In breve, io condivido in pieno le motivazioni esposte da Anna Antonini nell'ultimo capitolo de "L'incanto del mondo", quando spiega della rinuncia poetica di Miyazaki al rotoscopio, del suo volontario "distacco" dalla fluidità ossessivamente "realistica", dei suo cosciente e necessario allontanamento dagli stili di recitazione "precostituita", come il teatro e il musical occidentali o il Kabuki e il No orientali.
[Ho visto solo ora il post di Ani-Sama, e vorrei segnalarvi una cosa sull'in-betweening... Non so se lo avete notato mai, ma usando il fermo-immagine nei DVD si nota che l'in-betweening dei film di Miyazaki, nonostante sia meno "denso" di quello Disney, è perfetto. Intendo dire che i personaggi mantengono sempre in maniera "forte" le loro proporzioni, i loro dettagli, la fisionomia del loro viso, anche durante i movimenti rapidi. Non si indulge mai in compromessi, in semplificazioni: non sono mai riuscito a trovare un calo di qualità in questo senso, almeno finora.
Nei film Disney le imperfezioni (col fermo immagine) sono invece visibilissime. Ci sono dei casi in cui i personaggi tendono a sembrare "abbozzati", oppure risentono in maniera eccessiva del cambio di stile rispetto alla "mano" del key animator. Magari proverò a postarvi qualche immagine in proposito, prossimamente.]
Approfitto dell'occasione per sottoporre al vostro giudizio una frase che, mi è stato riferito, è stata pronunciata non molto tempo fa da un famoso animatore Disney, Andreas Deja.
Deja avrebbe detto una cosa simile:
Cosa ne pensate?Ho un'utopia: vedere un giorno un film di Hayao Miyazaki realizzato con un'animazione simile a quella Disney
La mia opinione è questa: un film del genere sarebbe un inopportuno assurdo culturale. In breve, io condivido in pieno le motivazioni esposte da Anna Antonini nell'ultimo capitolo de "L'incanto del mondo", quando spiega della rinuncia poetica di Miyazaki al rotoscopio, del suo volontario "distacco" dalla fluidità ossessivamente "realistica", dei suo cosciente e necessario allontanamento dagli stili di recitazione "precostituita", come il teatro e il musical occidentali o il Kabuki e il No orientali.
[Ho visto solo ora il post di Ani-Sama, e vorrei segnalarvi una cosa sull'in-betweening... Non so se lo avete notato mai, ma usando il fermo-immagine nei DVD si nota che l'in-betweening dei film di Miyazaki, nonostante sia meno "denso" di quello Disney, è perfetto. Intendo dire che i personaggi mantengono sempre in maniera "forte" le loro proporzioni, i loro dettagli, la fisionomia del loro viso, anche durante i movimenti rapidi. Non si indulge mai in compromessi, in semplificazioni: non sono mai riuscito a trovare un calo di qualità in questo senso, almeno finora.
Nei film Disney le imperfezioni (col fermo immagine) sono invece visibilissime. Ci sono dei casi in cui i personaggi tendono a sembrare "abbozzati", oppure risentono in maniera eccessiva del cambio di stile rispetto alla "mano" del key animator. Magari proverò a postarvi qualche immagine in proposito, prossimamente.]
- testuggine
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col massimo rispetto per il signor Deja, ma un'idea del genere mi sembra sintomatica.Ho un'utopia: vedere un giorno un film di Hayao Miyazaki realizzato con un'animazione simile a quella Disney
Una forma di "colonialismo culturale" molto americana.
Non è detto che il loro modo di fare le cose debba necessariamente quello giusto..
..e poi io un film del genere non lo andrei a vedere
Deja è tedescotestuggine ha scritto: col massimo rispetto per il signor Deja, ma un'idea del genere mi sembra sintomatica.
Una forma di "colonialismo culturale" molto americana.
Quell'affermazione faceva parte di un discorso più ampio, che conteneva molte generalizzazioni (riassumibili nel fatto che Deja conosce molto poco dell'animazione giapponese) ma che comunque "centrava" un limite di Miyazaki spesso rinfacciatogli anche dalla critica giapponese: la tendenza al manierismo.
- testuggine
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Mah, lo trovo quanto mai strano. Miya appartiene al Giappone, Disney (e Deja) all'America. Sarebbe come chiedere alla Disney di fare un film in stile giapponese... non so cosa ne salterebbe fuori, così come non so cosa salterebbe fuori da un film di Miya animato "alla Disney". A dire il vero non riesco nemmeno a concepire un tale pensiero.Howl ha scritto:Cosa ne pensate?Ho un'utopia: vedere un giorno un film di Hayao Miyazaki realizzato con un'animazione simile a quella Disney
E comunque, a mio avviso, il disegno dei personaggi che fa Miya e lo SG si distacca abbastanza dal resto degli anime giapponesi e, secondo me, si avvicina allo stile disneyano, soprattutto per quanto riguarda la morbidezza delle forme...
Urk! Non me l'aspettavo! Certo questo modo di fare, da parte degli americani, è abbastanza sintomatico di una certa tensione al raggiungimento della migliore apparenza possibile, a scapito della precisione. A questo punto mi viene naturale chiedermi: meglio la precisione a discapito della fluidità, o la fluidità a discapito della precisione? D'altra parte, durante la visione di un film animato, non facciamo gran caso a certi particolari, ma alla fine è giusto non farci caso? Forse no. In effetti, adoro gli sfondi dettagliatissimi dei film di Miya, al contrario non mi piacciono gli sfondi spesso abbozzati e sfumati dei film Disney.Howl ha scritto:Ho visto solo ora il post di Ani-Sama, e vorrei segnalarvi una cosa sull'in-betweening... Non so se lo avete notato mai, ma usando il fermo-immagine nei DVD si nota che l'in-betweening dei film di Miyazaki, nonostante sia meno "denso" di quello Disney, è perfetto. Intendo dire che i personaggi mantengono sempre in maniera "forte" le loro proporzioni, i loro dettagli, la fisionomia del loro viso, anche durante i movimenti rapidi. Non si indulge mai in compromessi, in semplificazioni: non sono mai riuscito a trovare un calo di qualità in questo senso, almeno finora.
Nei film Disney le imperfezioni (col fermo immagine) sono invece visibilissime. Ci sono dei casi in cui i personaggi tendono a sembrare "abbozzati", oppure risentono in maniera eccessiva del cambio di stile rispetto alla "mano" del key animator. Magari proverò a postarvi qualche immagine in proposito, prossimamente.]
A questo punto, si rafforza ancora di più la mia opinione che Mononoke Hime sia di fatto l'opera che arriva tecnicamente al punto più alto in assoluto mai raggiunto da un film d'animazione. E in effetti, a voler vedere, i 24 fotogrammi/secondo presenti in diversi momenti di "Mononoke" danno un'ìmpressione diversa rispetto ai 24 fotogrammi/s quasi onnipresenti nei film Disney. Anche se non avevo capito bene perché, da subito mi ero detto: "Questa di MH è vera fluidità". Subito dopo ero rimasto estasiato all'immagine del
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tatari-gami ricoperto dai serpenti... |
Haast en spoed is zelden goed.
Per lo stesso motivo per cui nelle serie di Hanna e Barbera i personaggi muovono solo la bocca e gli occhi: quando i fondi non bastano ci si deve arrangiare.L'animazione dei personaggi: perché quando vedo una serie giapponese i personaggi mi danno l'impressione di andare "a scatti"? Mancanza di soldi o particolare tecnica?
In origine (e, nella maggior parte dei casi, ancora oggi) era una mera questione di risparmio.Ani-sama ha scritto: Inoltre negli anime giapponesi, soprattutto quelli meno costosi (vedi su Italia 1 per qualche esempio) hanno delle scene in cui i personaggi sono ripresi completamente immobili, statici per diversi momenti (prendete "Beyblade": fanno vedere la lotta delle trottoline, è il momento di massima tensione, a questo punto l'immagine va sul pubblico, che non muove un muscolo). Anche per questo mancanza di soldi?
Nel tempo però alcuni registi, come Osamu Dezaki, hanno affinato queste tecniche piegandole a scopi espressivi e riutilizzandole anche in produzioni ad alto budget.
- Howl
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Mi interesserebbe leggere il discorso completo di Deja ed approfondire riguardo a questa "critica" a Miyazaki... Qualcuno avrebbe qualche pagina web da consigliarmi?RøM ha scritto:Quell'affermazione faceva parte di un discorso più ampio, che conteneva molte generalizzazioni (riassumibili nel fatto che Deja conosce molto poco dell'animazione giapponese) ma che comunque "centrava" un limite di Miyazaki spesso rinfacciatogli anche dalla critica giapponese: la tendenza al manierismo.
(Ho provato a fare qualche ricerca frettolosa, ma da solo non sono riuscito a trovare niente, per ora... )
E' in un'intervista pubblicata sulla rivista E-Motion. In sintesi diceva (non ricordo le parole esatte): "mi piacciono i film di Miyazaki, hanno storie migliori di quelle degli ultimi film della Disney, però utilizza sempre lo stesso stile, mentre noi cerchiamo di modificare di volta in volta lo stile per adattarlo alle varie storie" concludendo che il suo ideale di film d'animazione era un film animato alla Disney con una storia come quelle di Miyazaki.
La carne al fuoco è tanta, forse troppa. Ho votato per l’ultima opzione perché credo che i macroinsiemi (oriente ed occidente) siano eccessivamente vasti, per numero di prodotti e di talenti coinvolti, e per epoche differenti, per poter operare una qualsiasi semplificazione senza rischiare di cadere in un eccessivo semplicismo.
Molta dell’animazione giapponese che conosciamo è frutto di una serrata programmazione seriale, di puntate realizzate quasi da una settimana all’altra, ragion per cui vi sono molte trovate che tentano di guadagnare tempo. Le inquadrature sul pubblico sono una di queste, oppure il soliloquio interiore del portiere di Olliebbengi che, mentre vola a parare il tiro del drago carpiato, ripensa a tutta la vita, sua e dei suoi avi. Vi sono anche i cosiddetti template, le stesse sequenze inserite identiche in ogni episodio, come ad esempio l’agganciamento di Mazinga o la trasformazione di Creamy. E vale la pena ricordare gli zoom su una stessa immagine, dalla figura intera sino ad uno strettissimo close-up sugli occhi, in stile Sergio Leone. Questi trucchi, studiati per dare fiato agli animatori hanno finito col creare un vero e proprio stile, peculiarissimo, dell’animazione estremo orientale, fatta di tempi calibrati, sguardi intensi, momenti di studio e riflessione prima di uno scontro decisivo.
Credo che la maggior parte di noi faccia, anche inconsciamente, l’equivalenza animazione occidentale=Disney, il che non è del tutto vero. Un’animazione fatta al risparmio è presente anche nelle serie animate occidentali, ad esempio, di Hanna & Barbera. Ma, con tutto che molte delle loro serie più amate e conosciute risalgono a tempi di basso budget ma di molte idee, non credo che chi ha apprezzato i Wacky Races o Gorge della giungla (surreale, pop, geniale!) abbia poi fatto caso all’estrema povertà dell’animazione o all’approssimativo disegno dei fondali. Così come non sono paragonabili al buonismo Disney le “simpatiche canaglie” dei disegni animati della Warner, da Silvestro a Daffy Duck, alla vera leggenda dei perdenti di tutto il mondo Wile E. Coyote.
Nella mia infanzia hanno convissuto tranquillamente i film Disney e il Grande Mazinga. Diciamo che l’animazione occidentale (che poi vuol dire quasi esclusivamente americana) è sempre stata per me di immediata comprensibilità, poggiando su modelli culturali a me del tutto noti.
Certe peculiarità dell’animazione giapponese ho imparato ad apprezzarle col tempo, affinando gusti ed esigenze di spettatore. Ciò che adesso apprezzo di più dell’universo culturale nipponico (e parlo vivaddio dei suoi prodotti più raffinati, non certo dei Pokémon) è il suo modo di relazionarsi coi concetti di bene e male.
Gli americani hanno un’eccessiva tendenza al semplicismo ed a semplificare le cose: si deve capire chi è il buono, chi è il cattivo e, soprattutto, chi ha ragione e chi torto; o forse, sulla scorta dell’etica protestante, chi è destinato a salvarsi e chi ad essere dannato.
Nei film Disney il male è sempre dipinto come tale, senza mezzi termini (ma anche nei cartoni di Wile E. Coyote, pure se lì il “cattivo” riscuote le nostre simpatie). Nell’animazione giapponese le cose non sono così semplici. Ciascuno dei personaggi, anche il più nefando dei malvagi, ha le sue proprie personali motivazioni, generalmente assai articolate, che quasi mai instradano lo spettatore sulla strada di un facile pietismo (“è cattivo perché da piccolo lo picchiavano”), ma che conducono sempre ad una riflessione il più articolata possibile. La vera forza, a mio avviso, di questo modo di vedere le cose, è che in fondo una risposta non c’è, e di conseguenza, per quello che mi riguarda, il grande portato dell’etica giapponese è che è importante sapersi porre le domande migliori.
Molta dell’animazione giapponese che conosciamo è frutto di una serrata programmazione seriale, di puntate realizzate quasi da una settimana all’altra, ragion per cui vi sono molte trovate che tentano di guadagnare tempo. Le inquadrature sul pubblico sono una di queste, oppure il soliloquio interiore del portiere di Olliebbengi che, mentre vola a parare il tiro del drago carpiato, ripensa a tutta la vita, sua e dei suoi avi. Vi sono anche i cosiddetti template, le stesse sequenze inserite identiche in ogni episodio, come ad esempio l’agganciamento di Mazinga o la trasformazione di Creamy. E vale la pena ricordare gli zoom su una stessa immagine, dalla figura intera sino ad uno strettissimo close-up sugli occhi, in stile Sergio Leone. Questi trucchi, studiati per dare fiato agli animatori hanno finito col creare un vero e proprio stile, peculiarissimo, dell’animazione estremo orientale, fatta di tempi calibrati, sguardi intensi, momenti di studio e riflessione prima di uno scontro decisivo.
Credo che la maggior parte di noi faccia, anche inconsciamente, l’equivalenza animazione occidentale=Disney, il che non è del tutto vero. Un’animazione fatta al risparmio è presente anche nelle serie animate occidentali, ad esempio, di Hanna & Barbera. Ma, con tutto che molte delle loro serie più amate e conosciute risalgono a tempi di basso budget ma di molte idee, non credo che chi ha apprezzato i Wacky Races o Gorge della giungla (surreale, pop, geniale!) abbia poi fatto caso all’estrema povertà dell’animazione o all’approssimativo disegno dei fondali. Così come non sono paragonabili al buonismo Disney le “simpatiche canaglie” dei disegni animati della Warner, da Silvestro a Daffy Duck, alla vera leggenda dei perdenti di tutto il mondo Wile E. Coyote.
Nella mia infanzia hanno convissuto tranquillamente i film Disney e il Grande Mazinga. Diciamo che l’animazione occidentale (che poi vuol dire quasi esclusivamente americana) è sempre stata per me di immediata comprensibilità, poggiando su modelli culturali a me del tutto noti.
Certe peculiarità dell’animazione giapponese ho imparato ad apprezzarle col tempo, affinando gusti ed esigenze di spettatore. Ciò che adesso apprezzo di più dell’universo culturale nipponico (e parlo vivaddio dei suoi prodotti più raffinati, non certo dei Pokémon) è il suo modo di relazionarsi coi concetti di bene e male.
Gli americani hanno un’eccessiva tendenza al semplicismo ed a semplificare le cose: si deve capire chi è il buono, chi è il cattivo e, soprattutto, chi ha ragione e chi torto; o forse, sulla scorta dell’etica protestante, chi è destinato a salvarsi e chi ad essere dannato.
Nei film Disney il male è sempre dipinto come tale, senza mezzi termini (ma anche nei cartoni di Wile E. Coyote, pure se lì il “cattivo” riscuote le nostre simpatie). Nell’animazione giapponese le cose non sono così semplici. Ciascuno dei personaggi, anche il più nefando dei malvagi, ha le sue proprie personali motivazioni, generalmente assai articolate, che quasi mai instradano lo spettatore sulla strada di un facile pietismo (“è cattivo perché da piccolo lo picchiavano”), ma che conducono sempre ad una riflessione il più articolata possibile. La vera forza, a mio avviso, di questo modo di vedere le cose, è che in fondo una risposta non c’è, e di conseguenza, per quello che mi riguarda, il grande portato dell’etica giapponese è che è importante sapersi porre le domande migliori.
Permettetemi una riflessione: "Dipende dallo stile dello specifico animatore o gruppo di animatori" è una risposta per molti versi sensata, ma rischia anche questa di cadere nel semplicismo. Un discorso sullo "stile dello specifico animatore o gruppo di animatori" implica questioni molto più complesse e problematiche di quanto possa sembrare.
E questo era infatti il rischio del sondaggio, di risultare troppo "semplificato" a discapito delle specificità presenti sia ad occidente che ad oriente. Il motivo per cui ho comunque deciso di immetterlo è questo (cito dal primo messaggio):hdibifrost ha scritto:La carne al fuoco è tanta, forse troppa. Ho votato per l’ultima opzione perché credo che i macroinsiemi (oriente ed occidente) siano eccessivamente vasti, per numero di prodotti e di talenti coinvolti, e per epoche differenti, per poter operare una qualsiasi semplificazione senza rischiare di cadere in un eccessivo semplicismo.
In altre parole, ritengo possibile individuare tra i due singoli "macroinsiemi", occidentale e giapponese-orientale, delle differenze sostanziali, in tecnica di animazione e in modus narrandi, nonché delle analogie sostanziali (pur con le singole specificità) riguardo alle tecniche e allo stile degli animatori presenti in ciascuno dei due gruppi. Fermo restando che, purtroppo, il rischio di cadere in eccessive semplificazioni c'è eccome, ed è necessario (ovvero, non può non esserci) quando si fa questo genere di discorsi.Ani-sama ha scritto:Se faccio un'operazione di sintesi dei numerosi stili propri dei singoli animatori in questi due "macroinsiemi" è perché credo che si possa distinguere alla prima occhiata un cartone animato giapponese da uno non-giapponese [...]
E questo denota, a mio avviso, che per gli Americani il target di base è quello dei bambini, solo in seguito i più "cresciuti". Con i cartoons (e parlo soprattutto della Disney) ai bambini si cerca di dare immagini forti, ovvero personaggi in cui vi è immedesimazione totale (gli eroi) e personaggi contro cui deve essere nutrito odio totale (gli antieroi). Questo, forse, per cercare di inculcare nei piccoli uomini modelli positivi, ottimistici, utopistici, ideali da prendere come esempio, sacrificando la credibilità degli stessi. Relativamente pochi sono i film disney in cui è presente un personaggio ambiguo, fatto di vizi e virtù insieme.hdibifrost ha scritto:Gli americani hanno un’eccessiva tendenza al semplicismo ed a semplificare le cose: si deve capire chi è il buono, chi è il cattivo e, soprattutto, chi ha ragione e chi torto; o forse, sulla scorta dell’etica protestante, chi è destinato a salvarsi e chi ad essere dannato.
Al contrario, gli anime giapponesi (per quanto ho potuto vedere dai film di Miyazaki) presentano, come dici giustamente, personaggi complessi, in cui è presente sia il bene sia il male. In una parola, personaggi più umani. Insomma, così come i cartoons sono idealisticamente fanciulleschi, gli anime sono (quelli buoni, lasciamo stare i Porkémon) realisticamente umani. Ciò che mi rende estremamente simpatici personaggi come Kiki è la loro estrema umanità, e con questo anche la presenza di difetti. E perché, sempre in Kiki's delivery service, io non sento la mancanza di un antagonista, che non c'è, o meglio non è identificato in un personaggio? Per il semplice motivo - penso io - che è la vita stessa la nostra compagna, e la compagna di Kiki, buona o cattiva, che può dare grandi piaceri così come grandi dispiaceri. La forza dei personaggi di Miyazaki sta proprio qui, nell'essere semplicemente umani anche quando sono mostruosi come Yubaba o Kamaji, né eroi, né antieroi (a parte forse l'eccezione di Muska).
Fermo restando che i "cattivi disney", ma quelli proprio neri neri, mi sono sempre stati simpatici nel loro essere così assurdamente idealisti...
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- Howl
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@RoM: grazie per le informazioni su Deja
Per quanto riguarda quel commento, sì, è vero: lo stile di disegno di Miyazaki è sempre evidente e riconoscibile, in tutti i suoi film. Però forse c'è un errore di valutazione alla base di questa critica... Nel caso di Miyazaki non si sta certo parlando di un regista che "ricicla" un certo stile per mancanza di idee o per pigrizia...
Capisco comunque come un simile commento possa provenire dall'ambito Disney, dove le personalità e i nomi dei registi sono sempre celati dietro al marchio della casa di produzione e vengono ignorati persino nei trailer e nelle pubblicità generiche (e certo non per discrezione o per evitare di apparire troppo "commerciali").
Una curiosità sul discorso "animazione fluida=occidente; animazione rigida=oriente"... Esiste almeno un documento visivo che smentisce parzialmente questo abbinamento (o, almeno, questo è l'unico che conosco io...).
Avete mai visto il film pilota "Nemo", realizzato da Yoshifumi Kondo nel 1984? Dura tre minuti, si può scaricare dalla sezione "special" di Buta-connection... E' veramente un piccolo capolavoro, con molti elementi evidentemente desunti da Miyazaki... L'animazione però è "all'occidentale", visto che il pilota sarebbe dovuto servire a convincere alcuni produttori americani a finanziare un particolare progetto (un film d'animazione basato sul fumetto "Little Nemo" di Winsor McKay, a cui avrebbero dovuto collaborare anche Miyazaki e Takahata).
Per quanto riguarda quel commento, sì, è vero: lo stile di disegno di Miyazaki è sempre evidente e riconoscibile, in tutti i suoi film. Però forse c'è un errore di valutazione alla base di questa critica... Nel caso di Miyazaki non si sta certo parlando di un regista che "ricicla" un certo stile per mancanza di idee o per pigrizia...
Capisco comunque come un simile commento possa provenire dall'ambito Disney, dove le personalità e i nomi dei registi sono sempre celati dietro al marchio della casa di produzione e vengono ignorati persino nei trailer e nelle pubblicità generiche (e certo non per discrezione o per evitare di apparire troppo "commerciali").
Una curiosità sul discorso "animazione fluida=occidente; animazione rigida=oriente"... Esiste almeno un documento visivo che smentisce parzialmente questo abbinamento (o, almeno, questo è l'unico che conosco io...).
Avete mai visto il film pilota "Nemo", realizzato da Yoshifumi Kondo nel 1984? Dura tre minuti, si può scaricare dalla sezione "special" di Buta-connection... E' veramente un piccolo capolavoro, con molti elementi evidentemente desunti da Miyazaki... L'animazione però è "all'occidentale", visto che il pilota sarebbe dovuto servire a convincere alcuni produttori americani a finanziare un particolare progetto (un film d'animazione basato sul fumetto "Little Nemo" di Winsor McKay, a cui avrebbero dovuto collaborare anche Miyazaki e Takahata).
Il discorso di Deja contiene, come ho scritto sopra, parecchie generalizzazioni e semplicismi, ma coglie, anche se in modo un po' confuso, due punti spesso discussi su Miyazaki: la perenne ripetizione di se stesso, che se da un lato ha significato un percorso artistico coerente, dall'altro non ha portato a rinnovamenti sostanziali nel suo modo di fare cinema (e questo è un rimprovero che da anni gli muove la critica giaponese), e l'imposizione del proprio stile ai suoi collaboratori (tanto è vero che gli animatori dotati di una personalità artistica propria fuggono immancabilmente dallo Studio Ghibli); e credo che sia soprattutto questo che è saltato agli occhi di Deja, abituato a far emergere il proprio apporto creativo in tutti i film (spesso per il resto mediocri) a cui ha collaborato.Howl ha scritto:@RoM: grazie per le informazioni su Deja
Per quanto riguarda quel commento, sì, è vero: lo stile di disegno di Miyazaki è sempre evidente e riconoscibile, in tutti i suoi film. Però forse c'è un errore di valutazione alla base di questa critica... Nel caso di Miyazaki non si sta certo parlando di un regista che "ricicla" un certo stile per mancanza di idee o per pigrizia...
Capisco comunque come un simile commento possa provenire dall'ambito Disney, dove le personalità e i nomi dei registi sono sempre celati dietro al marchio della casa di produzione e vengono ignorati persino nei trailer e nelle pubblicità generiche (e certo non per discrezione o per evitare di apparire troppo "commerciali").