il "fenomeno otaku" e il "fenomeno Evangelion

Discussioni su gli autori e anime/cartoni non-Ghibli

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Soulchild
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Messaggio da Soulchild »

Per continuare (spero senza annoiarlo) a rispondere ad Ani-sama in modo analitico e circostanziato, vorrei aggiungere che asserti come il seguente
Ani-sama ha scritto:E cosa avrà voluto dire Miyazaki con questa sequenza? Forse non lo sa neanche lui.
non sono predicabili, a meno che non sia l'autore stesso a confessarlo timidamente o a proclamarlo con fierezza (mi viene in mente la bretoniana écriture automatique, fondamento del surrealismo francese e, con il mitico Landolfi e pochi altri, anche italiano). Qualora, però, non sia la viva voce dell'autore a schiuderci rivelazioni di tal fatta, capirai bene da solo come frasi del genere non siano altro che l'anticamera di deliri come quelli, citati da Haku, sulle esplosioni a croce in Evangelion. Cioè, se si sottrae il creatore dell'opera al suo statuto di custode di finzione (nel significato etimologico della parola; se preferisci, di "verità creata") e si fa del suo aureo seggio una sghemba sediola sulla quale tutti possono accomodarsi e deliberare, non c'è poi da meravigliarsi delle farneticazioni di invasati esegeti dell'ultim'ora, pronti a vuotarsi le meningi del loro Evangelion, ebreo-nipponico con una spolverata di paleocristianesimo ed un pizzico di hi-tec. Per poi scoprire che Anno si era stufato delle esplosioni a nuvoletta o che Miyazaki, nella scene del treno di Sen to Chihiro, voleva omaggiare Magritte (sto inventando, ovviamente).
Insomma, il brutto della filosofia "metà opera è dell'autore, l'altra metà la rifaccio io" è che i parti di tali ragionamenti, alla fin fine, è meglio tenerli per sé, perché, inevitabilmente, non reggono all'impatto con la realtà. Come antichi manufatti, si sgretolano al contatto con l'aria e chi li ha forgiati (l'otaku che si è sostituito ad Anno o Miyazaki) ne soffre (talvolta istericamente) perché perde con essi parte di sé, a riprova del fatto che quella che chiamava suggestione era in realtà una sua invenzione.
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naushika
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Messaggio da naushika »

dal tuo ultimo post sembra che tu voglia dire che Evangelion và letto e visto come è e non come lo spettatore o il lettore voglia che dicesse a lui.... Questo è sicuramente giusto poichè EVA alla fin fine è fantascienza e dunque và goduto apprezando l'inventiva del regista e lasciandosi cullare dalla sospensione dell'incredulità che porta lo spettatore nel regno della immaginazione :wink:...altrimenti si rischia di snaturare l'opera con la ricerca del realismo e della logica ad ogni costo ( basta pensare ai danni provocati da Timothy Zahn e altri sul mondo di Star Wars proprio nell'illusione di fare del mondo di Star Wars "credibile" ) :)
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Soulchild
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Messaggio da Soulchild »

naushika ha scritto:dal tuo ultimo post sembra che tu voglia dire che Evangelion và letto e visto come è e non come lo spettatore o il lettore voglia che dicesse a lui....
Tutti i miei interventi, fino ad ora, sono stati di segno piuttosto generale, tutti imperniati sul concetto di "legittima fruizione di un'opera d'ingegno". Ti confesso che Evangelion non l'ho mai nemmeno visto :roll: :wink: .
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ghila
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Messaggio da ghila »

Soulchild ha scritto:
ghila ha scritto:un modo di comunicare sé stessi e la propria coscienza all'altro
ghila ha scritto:Ognuno ci trova quello che vuole e poi alla fine, chi ti dice che la tua interpretazione sia quella giusta?
A me sembra che queste due affermazioni siano in contrasto non veniale tra di loro, quindi vorrei chiedere a ghila delucidazioni in merito.
Con molto piacere, naturalmente se riesco a spiegarmi :oops:
Il primo quoting mi trova d'accordo. Non è esaustivo, ma dice molto dell'ansia comunicativa di chi si pone al tornio dell'ingegno e della creazione.
Il secondo quoting sembra invece annichilire questa sublime tensione verso il darsi, nel momento stesso in cui la rende orfana poiché soggetta alla dispersione del travaso di mente in mente: ne risulta, a me pare, un'opera (in senso lato) trita e adespota, esposta alla mercè dell'altrui (spesso indebito) logorio.
Ti parlerò sinceramente. Io mi sento fondamentalmente poco artista da un punto di vista creativo; forse lo sono più da un punto di vista esecutivo, interpretativo (in fondo sono un cantante, non sono compositore).
Quel poco che ho saputo creare di veramente sincero (e non dettato da esigenze diverse dall'urgenza personale) mi ha lasciato sempre completamente svuotato, nudo di fronte all'opera conclusa. Ma felice. Colmo di quella felicità che solo una confessione con un amico vero ti sa donare. La gioia del vuoto, del nulla. Del darsi? Si, probabilmente hai ragione: l'arte è la carità di Narciso.
Ma bando alle ciancie e vengo al dunque. Una volta pubblicate queste fatiche mi sono trovato di fronte ad un nugolo di analisi, interpretazioni, critiche, delucidazioni, complimenti e quant'altro che l'opera aveva sollevato. Cose che ritenevo piane, nulle dal punto di vista artistico, venivano innalzate a momenti topici dell'album; viceversa parti profondamente sentite sminuite a brani di passaggio.
E a questo punto, che fare? Non sapete quante paranoie! Non sono in grado di comunicarmi? Comunico meglio le cose già dette e ridette? Che il pubblico non sia pronto? Ah, bei tempi quando avevo tempo di farmi queste seghe mentali... :roll: ma sto divagando scusatemi! :?
Da questa mia esperienza, piccola ma sincera e maturata sul campo, ecco nascere le due affermazioni precedenti. L'arte è comunicazione di sé, ma soprattutto dal punto di vista dell'artista, per l'artista stesso, per poter davvero immettere sé stesso nella forma d'arte a lui congeniale, insomma... per stare bene; al di là di qualsivoglia labour limae, sezione aurea, quinte nascoste che aiutano semplicemente a gestire le pulsioni interne, l'artista scrive sé stesso per sé.
Poi la decisione di mostrarsi al pubblico ludibrio attraverso l'opera ultimata e quindi alla consapevolezza che ognuno si farà un'idea diversa dalla tua, anche solo perchè il fruitore non è l'artista. Che dite? Che le emozioni sono universali? Può darsi, ma l'arte nasce da un'elaborazione personale e soggettiva di queste emozioni. Idea banale se volete, ma da par mio vera.
Per questo motivo divido fra chi compie un'opera artistica e chi ne fa uso fruendola. Con molta acutezza Soulchild scrivi che questa sensazione di dispersione, di inutile
sembra invece annichilire questa sublime tensione verso il darsi, nel momento stesso in cui la rende orfana poiché soggetta alla dispersione del travaso di mente in mente
.
Il problema è che non SEMBRA annichilire, ma ANNICHILISCE il messaggio iniziale dell'autore. Sto bestemmiando? Non lo so. Probabilmente si, ma vi assicuro che personalmente la pubblicazione di un lavoro è per me fonte di dono della mia opera agli altri. Non che resta mia e la dono per il divertimento altrui. NONO, sento proprio che pubblicandola tutta la mia (pseudo)arte NON è PIU' MIA! Perchè è di tutti, è patrimonio universale, soggetta alle mode, ai cambiamenti, agli altri.
Quando ti esponi agli altri per un dialogo, per un confronto più che umano, non puoi pretendere che non avvenga un cambiamento di rotta delle tue idee, non puoi pensare che non avvenga uno scontro.
Conosco persone che hanno scritto libri splendidi (alcuni anche sulla filosofia dell'erotismo davvero belli!) che non permetteranno mai che la loro opera venga pubblicata per la lettura di tutti e non di pochi intimi (cosa peraltro impossibile in questa Italia orfana di editori arditi)! Per timore di perdersi, per non perdere quel minimo di equilibrio (a volte anche mentale!) che hanno falsamente ritrovato mettendo sé stessi nell'opera in questione. E allora la domanda, forse troppo paranoica, inutile, ma la faccio lo stesso. Quanto conta un'opera d'arte sincera, vera, bella se lasciata nel cassetto a marcire? Quanto acquista per l'autore stesso la propria opera una volta pubblicata?
Sto andando in OT pauroso e me ne scuso... solo che non capita spesso di parlare di questi argomenti su forum web. Per questo colgo l'occasione per complimentarmi e ringraziare tutti soprattutto ai coordinatori del forum: per l'accortezza con la quale misurate le parole, la preparazione sull'argomento e la voglia di mettersi sempre in gioco, mostrarsi. Di fare, per così dire, piccoli lavori artistici con semplici reply.

CIAO! :D
Ultima modifica di ghila il gio mar 03, 2005 10:42 am, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da naushika »

e fai bene! :wink: Hideaki Anno non è stupido e asseconda benissimo quello che dicono e pensano i suoi fans poichè grazie ai loro deliri può guadagnarci molto con merchandising e concessioni di copyright...quasi la stessa cosa che ha fatto Lucas! :?
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Messaggio da Shito »

naushika ha scritto:e fai bene! :wink: Hideaki Anno non è stupido e asseconda benissimo quello che dicono e pensano i suoi fans poichè grazie ai loro deliri può guadagnarci molto con merchandising e concessioni di copyright...quasi la stessa cosa che ha fatto Lucas! :?
Estemporaneamente, mi domando se tu abbia presente l'opinione di Anno che la 'maggioranza dominante' del fandom giapponese avesse maturato a seguito alla messa in onda delle ultime due puntate di Eva, e dopo le proiezioni del primo 'Death and Rebirth'.

Gli effetti, Anno li ha messi in rapidi 'cut' dentro Magokoro. Quelle mail tipo 'Anno ti uccido, Anno ti uccido, Anno ti uccido' e cose simili...
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Haku
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Messaggio da Haku »

Miricorda molto le considerazioni che fece Hiroyuki Okiura quando proiettarono il primo film di Patlabor.

T riferisci alal ripresa "ballerina" fatta durante la prima del primo film?
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Ani-sama
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Messaggio da Ani-sama »

Soulchild ha scritto:[...]Quando si crea, si infonde sé stessi, anima e corpo, nel creato, donde la giusta affermazione di ghila da me citata nel primo intervento.
"Dietro la costruzione di una metafora"... c'è sempre una volontà comunicativa, razionalmente o emozionalmente strutturata o, ancora e più spesso, razionalmente ed emozionalmente, insieme.[...]
Ho paura di essermi espresso davvero male nei miei messaggi precedenti... Quello che hai detto adesso, è proprio ciò a cui volevo arrivare! Provo a riformulare ciò che volevo esprimere:
La domanda di partenza era: da cosa nasce una metafora molto "spinta"? La mia risposta iniziale: da suggestioni. Invece, grazie anche al tuo discorso precedente, ho capito che mi stavo ingannando: una metafora, un'analogia nasce, come dici giustamente, da una volontà comunicativa ben precisa da parte dell'autore. Ma comunicare, cosa significa? Trasmettere idee precise o più vaghe emozioni? La dicotomia "ragione-emozione" che esprimevo nel mio messaggio precedente aveva senso di "provocazione" piuttosto che di "asserzione", e in parte nasceva anche dal mio sbaglio di voler semplificare tutto a "ragione vs emozione", trascurando inevitabilmente molte altre caratteristiche che definiscono un essere umano, al di là di questa classica dicotomia (emozione vs ragione, appunto).

Tornando sul discorso "metafore molto spinte" (tipo Sen sul treno)
Soulchild ha scritto:Per continuare (spero senza annoiarlo) a rispondere ad Ani-sama in modo analitico e circostanziato, vorrei aggiungere che asserti come il seguente

Ani-sama ha scritto:E cosa avrà voluto dire Miyazaki con questa sequenza? Forse non lo sa neanche lui.

non sono predicabili, a meno che non sia l'autore stesso a confessarlo timidamente o a proclamarlo con fierezza (mi viene in mente la bretoniana écriture automatique, fondamento del surrealismo francese e, con il mitico Landolfi e pochi altri, anche italiano). Qualora, però, non sia la viva voce dell'autore a schiuderci rivelazioni di tal fatta, capirai bene da solo come frasi del genere non siano altro che l'anticamera di deliri come quelli, citati da Haku, sulle esplosioni a croce in Evangelion.[...]
E' vero. Hai perfettamente ragione sul fatto che ragionamenti interpretativi di questo tipo abbiano portato ad estremizzazioni del tipo "Cosa avrà voluto dire l'autore cn questa scelta? Magari è perché... [eccetera]". Però ciò che auspico io, quando mi trovo di fronte ad analogie come la suddetta sequenza di SA, non è la necessità di interpretare a tutti i costi quello che vediamo in un modo particolare. Si torna a scadere nel solito problema di "far dire all'opera più di quanto non voglia dire essa stessa". Però si può evitare tutto questo, a mio avviso. Come? Proprio lasciandosi trascinare dalle analogie, cercare dentro di sé un'interpretazione, con la ferma consapevolezza che ciò che l'analogia ha detto a te, forse non l'ha detto a Tizio. Allegorie così forti NON POSSONO essere interpretate in modo univoco. E l'intento comunicativo dell'autore, allora, da dove nasce tutto, dove va a finire? Quando ho detto
E cosa avrà voluto dire Miyazaki con questa sequenza? Forse non lo sa neanche lui.
l'ho fatto con l'intenzione di dire (e, ancora, mi scuso per essermi espresso troppo superficialmente) che Miyazaki, con la famosa sequenza, istituisce con lo spettatore una comunicazione di tipo..."indicibile", nel senso di molto vaga e allusiva, proprio nel senso di "passaggio di flusso di sensazioni da autore a spettatore". Il "forse non lo sa neanche lui" che predicavo è spiegato col fatto - oggettivo, credo - che le sensazioni sono proprio... sensazioni, ed è giusto che rimangano "indicibili" come nascono. E' proprio questo che intendevo quando ho scritto "forse non lo sa neanche lui". Non lo sa neanche lui, nel senso che non lo sa spiegare neanche lui.

Spero di essere stato chiaro, stavolta...
Soulchild ha scritto:(spero senza annoiarlo)
Figurati! E' da un po' che mi mancavano discussioni belle "dense" come questa. Non mi stancherò mai di ripetere che mi fa davvero molto piacere discutere con voi anche di queste tematiche!

P.S.
E no, non ho ancora studiato Leopardi! Credo però si tratti del programma di quinta superiore...
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Ani-sama
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Messaggio da Ani-sama »

ghila ha scritto:[...]L'arte è comunicazione di sé, ma soprattutto dal punto di vista dell'artista, per l'artista stesso, per poter davvero immettere sé stesso nella forma d'arte a lui congeniale, insomma... per stare bene; al di là di qualsivoglia labour limae, sezione aurea, quinte nascoste che aiutano semplicemente a gestire le pulsioni interne, l'artista scrive sé stesso per sé.
Poi la decisione di mostrarsi al pubblico ludibrio attraverso l'opera ultimata e quindi alla consapevolezza che ognuno si farà un'idea diversa dalla tua, anche solo perchè il fruitore non è l'artista. Che dite? Che le emozioni sono universali? Può darsi, ma l'arte nasce da un'elaborazione personale e soggettiva di queste emozioni. Idea banale se volete, ma da par mio vera.
Per questo motivo divido fra chi compie un'opera artistica e chi ne fa uso fruendola. Con molta acutezza Soulchild scrivi che questa sensazione di dispersione, di inutile
sembra invece annichilire questa sublime tensione verso il darsi, nel momento stesso in cui la rende orfana poiché soggetta alla dispersione del travaso di mente in mente
.
Il problema è che non SEMBRA annichilire, ma ANNICHILISCE il messaggio iniziale dell'autore. Sto bestemmiando? Non lo so. Probabilmente si, ma vi assicuro che personalmente la pubblicazione di un lavoro è per me fonte di dono della mia opera agli altri. Non che resta mia e la dono per il divertimento altrui. NONO, sento proprio che pubblicandola tutta la mia (pseudo)arte NON è PIU' MIA! Perchè è di tutti, è patrimonio universale, soggetta alle mode, ai cambiamenti, agli altri.
Quando ti esponi agli altri per un dialogo, per un confronto più che umano, non puoi pretendere che non avvenga un cambiamento di rotta delle tue idee, non puoi pensare che non avvenga uno scontro.
Conosco persone che hanno scritto libri splendidi (alcuni anche sulla filosofia dell'erotismo davvero belli!) che non permetteranno mai che la loro opera venga pubblicata per la lettura di tutti e non di pochi intimi (cosa peraltro impossibile in questa Italia orfana di editori arditi)! Per timore di perdersi, per non perdere quel minimo di equilibrio (a volte anche mentale!) che hanno falsamente ritrovato mettendo sé stessi nell'opera in questione. E allora la domanda, forse troppo paranoica, inutile, ma la faccio lo stesso. Quanto conta un'opera d'arte sincera, vera, bella se lasciata nel cassetto a marcire? Quanto acquista per l'autore stesso la propria opera una volta pubblicata?
Sto andando in OT pauroso e me ne scuso... solo che non capita spesso di parlare di questi argomenti su forum web. Per questo colgo l'occasione per complimentarmi e ringraziare tutti soprattutto ai coordinatori del forum: per l'accortezza con la quale misurate le parole, la preparazione sull'argomento e la voglia di mettersi sempre in gioco, mostrarsi. Di fare, per così dire, piccoli lavori artistici con semplici reply.

CIAO! :D
Riporto tutta questa parte del tuo messaggio, in cui dici cose interessantissime. Non risponderò a tutti i tuoi spunti (semplicemente perché ci sarebbe troppo da dire); dirò soltanto questo:
mi trovi in perfetta sintonia quando affermi che "L'arte è comunicazione di sè". Resta, come dici tu, il problema della successiva fruizione dell'opera. Ecco, a questo punto, credo sia necessaria una qualità che spesso e volentieri viene a mancare nel critici e negli otaku stessi (tanto per ritornare al problema originario di questa discussione): l'umiltà. Lo spettatore, di fronte ad un'opera d'arte, deve essere il più possiibile umile, deve mettere da parte, per quanto possibile, velleità interpretative troppo spinte. A questo punto, entra in gioco l'elemento della soggettività. E' un fatto inevitabile, a qualcuno l'opera piacerà di più, a qualcuno piacerà meno, qualcuno ci vedrà dentro cose che non volevano essere espresse dall'autore (ma in questo caso attenzione, perché si rischia di avere quelle "velleità interpretative" e di voler "far dire all'opera più di quanto non dica essa stessa"). Ma su questo l'autore non ha potere, ovviamente.
Dunque, arriviamo a dire che l'opera d'arte è una creatura che vive di vita propria? Sì, ma da parte nostra deve essere irrinunciabile questa umiltà di cui parlavo prima.
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spaced jazz
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Messaggio da spaced jazz »

Ani-sama ha scritto: mi trovi in perfetta sintonia quando affermi che "L'arte è comunicazione di sè". Resta, come dici tu, il problema della successiva fruizione dell'opera. Ecco, a questo punto, credo sia necessaria una qualità che spesso e volentieri viene a mancare nel critici e negli otaku stessi (tanto per ritornare al problema originario di questa discussione): l'umiltà. Lo spettatore, di fronte ad un'opera d'arte, deve essere il più possiibile umile, deve mettere da parte, per quanto possibile, velleità interpretative troppo spinte.
L'arte e gli artisti si esprimono in tali molteplici modalità che non sarei così assolutistico, molti hanno concetti ben precisi da esprimere, altri cercano proprio nel rapporto con i "fruitori" l'alchimia finale del significato, altri danno solo abbozzi emotivi lasciando all'immaginazione tutto il resto.
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Messaggio da Shito »

L'arte è la carità di Narciso... che frase suggestiva. Anche condivisibile. Altri dicevano che l'arte è il ranbtolo supremo dell'imperialismo intellettuale, pure compulsivo, che diviene generosa estroiezione filantropica, un insoffocabile grido di esistenza.

Ma cosa, di fondo?

Credo che nel discutere, manchi un fondamentale elemnto di chiarezza interpretativa della questione. Mi si permetta dunque di vestire gli angusti panni del sistemista.

Mi trovo significativamente d'accordo con Soulchild nella sua esposizione, pure piacevole come prosa (ma se mi si permette un veniale, attenzione alla sterilità dei pezzi di bravura in una sede di dialogo come questa. Betty non è del tutto peregrina). Ma il mio accordo con Soulchild (e Muska, a seguire) non può prescindere da una riflessione di base:

Non si può pretendere di parlare di modi di produzione e fruizione dell'arte in assoluto. Perché l'arte comprende moduli troppo variegati al suo interno, a mio avviso.

Credo fosse proprio questo lòo spunto, FONDAMENTALE, che proprioq ui sopra proponeva in maniera assai timida il buon Spaced.

Vi sono significative differenze tra comporre una sinfonia, schizzare un dipinto, scrivere un romanzo. O realizzare un film. Sono differenze sostanziali.

Parimenti, possono esistere sostanziali differenze negli intenti dell'autore stesso.

Credo che gli intenti dell'autore e il mezzo espressivo da lui usato nella realizzazione di questi siano le due prime chiavi interpretative di ogni opera artistica.

Esiste un inerpretazione dell'arte, sì. Questo afferisce, come diceva
Muska, al livello di conoscenza e comprensione e fruizione al quale si vuole assurgere nei confronti di una data opera artistica.

E' forse questo elitarismo? No so. Ma dal reasto, se siamo tutti d'accordo nel pensare che sia necessaria la conoscenza di una lingua, per comprendere uno scritto in quella lingua, perché non dovremmo pensare necessaria la conoscenza di vari 'linguaggi' (musicale, pittorico, narrativo persinop) nella 'lettura' di un'opera di qualsivoglia natura?

Nessuno impedisce di porsi in maniera 'ignorante' (in senso proprio) do fronte alla più colta delle opere. Ciò non toglie che in questa condizione non si potrà pretendere di coglierne l'effettivo valore e contentuo. e NO, la presunzione di poter 0rimperire l'opera di sigmnificato grazie alla libera suggestione che l'arte sucita nell'anbimo di qualcuno', non scavalca la questione. E' una ragione debole e ancor più pavida, è la fuga dell'ignoranza che non vuole ammettere se stessa, è l'ignoranza orgogliosa, ovvero l'ignoranza che si condanna alla perpetrazione di se stessa.

Perché come pure si diceva, se l'arte è in ogni caso un modulo comunicativo (e io concordo), la forma artistica non potrà prescindere dal contenuto che si veicola. men che meno dall'esistenza di questo.

E da qui ritorniamo, per chiudere il cerchio, alle diverse forme e modalità dell'arte, come intrinseche al mezzo e come scelte dall'autore. Ma un mezzo, c'è. Un autore, c'è. Sempre.

Di certo sussitono sostanziali differenze tra la fruizione di un quadro d'arte pittorica estrema, dipinto dal suo autore soprattutto come provocazione. Giustamente si dirà che quel dipinto è fatto sopratutto per sucxitare impressioni. Al contrario, un opera strutturata come una narrazione di denuncia di un determinato momento psicosociologico vorrà essere letta in alòtro modo. Ma in entrambi i casi, sarà necessaria un'educazione all'arte. l'educazione è sempre necessaria, perché l'arte è (salvo forse le sue più primitive espressioni), il frutto di una mente educata. Concordo che nel modulo artistico possa esistere (ed esiste) una componente di universalità, ma non si può pretendere che questa componente assornba la totalità della portata artistica. Sarebbe paradossale, e comunque presuntuoso.

Le opere vanno lette. La lettura di un opera è sempre mediata da un processo esegetico delle intenzioni e dei motivi e dei canoni espressivi dell'autore, e non solo, del tempo e dei momenti che l'hanno espresso a sua volta. Del resto, in senso globale, il valore dell'arte non è anche e in primo luogo un valore 'educativo umano' (in senso lato)?

La linea di demarcazione tra lo sforzo interpretativo onesto dell'arte e la masturbazione mentale sulla medesima va tracciata nel senso critico e nell'onesta, nella razionalità dell'analisi.

Esiste una differenza, ripeto, tra l'effereta ricerca di significati simbolici, come nel caso della presunta 'ambiguita sessuale' do Moro, e la spontanea interpretazione di quello che all'interpretazione del pubblico viene volontariamente fornito dall'aautore, come il viaggio in treno di Sen.

Mi sono sentito sinceramente stupido (e un po' imbarazzato), leggendo la questione della sessualità di Moro. Moro è una femmina.

1) Non solo perché ha una voce femminile.
2) Non solo perché viene indicata come 'madre' in tutto il testo.
3) Non solo perché ha evidentemente un atteggiamento materno nei confronti di San.
4) ma sopratutto perché è un evidente personalità 'femminile' Miyazakiana, pratica, concreta e disillusa, opposta all'idealismo maschile di Okkotonushi, pure anziano, ma pure ancora classico personaggio simbolo della maschilità Miyazakiana.

Dunque, come si vedrà, l'intera discussione sulla sessualità di Moro muove da una sostanziale mancanza di (1) capacità di percezione di una fonetica straniera, (2) conoscenza del testo originale, (3) conoscenza e percezione della recitazione originale straniera, e (4) conoscenza e confidenza con le tematiche e i topoi di un autore.

Su cosa si fonda? Sul mero grafismo di una dicaudalità?

Questo è patetico.

Ma se ora vogliamo riaprire il tema dell'interpretazione del significato e del valore del viaggio in treno di Chihiro, io non mi chiamerò fuori. E questo perché da ogni motivata e sensata osservazione, io come tutti potrei imparare qualcosa, o trarre spunti.

Ovviamente nell'arte permane ANCHE e SEMPRE una componente di suggestibile a fianco dell'intento interpretativo. Di questo si è già abbondantemente e anche significativamente detto in questo stesso thread. Solo, credo che l'errore sia prendere a volte la parte per il tutto, non metonimicamente, ma sostanzialmente.
Ultima modifica di Shito il mar lug 05, 2016 11:09 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da Soulchild »

Inizio con il rispondere a ghila. E' vero che il taglio del suo ultimo intervento aumenta di non poco la caratura della discussione (non se ne abbia a male il creatore del topic, il mio è solo un po' di sano disprezzo nei confronti degli otaku, di Evangelion per di più :tongue: !), ma penso che quanto ha scritto meriti una risposta. Non so dove andremo a finire, ma la merita.
ghila ha scritto:L'arte è comunicazione di sé, ma soprattutto dal punto di vista dell'artista, per l'artista stesso, per poter davvero immettere sé stesso nella forma d'arte a lui congeniale, insomma... per stare bene; al di là di qualsivoglia labour limae, sezione aurea, quinte nascoste che aiutano semplicemente a gestire le pulsioni interne, l'artista scrive sé stesso per sé.
Se da un lato ho l'impressione che stiamo correndo sulla lama sottile del sofismo (l'arte è comunicazione di sé... a sé), dall'altra è certo che tu hai toccato altre due questioni capitali: il valore catartico (e psicoterapeutico) della creazione d'ingegno, che non presuppone divulgazione alcuna, ma si esaurisce nell'atto stesso dell'espressione di sé e non esige destinatario; la frustrazione dell'incomunicabilità totale di sé all'altro.
Come diceva spaced, navighiamo in un mare complicato e quelle che potrebbero sembrare contraddizioni nel tuo discorso non sono altro che spie che dicono dell'impossibilità della reductio ad unum definitoria del processo creativo. Creare significa, al tempo stesso, comunicare sé a sé stesso (e guai a sottovalutare questo aspetto!) e sé stesso agli altri. In base all'efficacia della comunicazione (cosa ugualmente complessa, perché in realtà creare e comunicare sono la stessa cosa, c'è solo qualche pagina di vocabolario in mezzo), si potrà poi arrivare a far vibrare la fibra dell'altro (perché le emozioni non devono necessariamente essere universali, ma c'è chi è in grado di renderle tali), si potrà arrivare con buona approssimazione a darsi all'altro, si potrà arrivare male all'altro (per mediocrità di chi dà o di chi riceve, nel senso di inabilità a riverberare idee ed emozioni, non a provarle!) e si potrà, infine, non arrivare per nulla (per accidente o per necessità, ma questo può dipendere da pregresse speculazioni sulla comunicabilità stessa, vd. il mio riferimento a Pirandello).
ghila ha scritto:Quanto conta un'opera d'arte sincera, vera, bella se lasciata nel cassetto a marcire?
Dipende. Dalle motivazioni che hanno spinto a creare: se rientriamo nella casistica della creazione come catabasi purificatoria nell'io, il cassetto può essere chiuso a chiave e la chiave buttata. Se invece ci muoviamo nell'ambito della condivisione di sé (come più spesso accade), la frustrazione è l'unica compagna di fronte all'incomunicato (e poi, ancor di più, di fronte all'incomunicabile). Ad ogni modo, l'ansia di darsi sarà sempre più forte del timore del fallimento.
ghila ha scritto:Quanto acquista per l'autore stesso la propria opera una volta pubblicata?
Tanto, tantissimo. L'incommensurabile: la gioia liberatoria e fanciullesca di abbandonare la propria voce all'eco.
Ultima modifica di Soulchild il sab mar 05, 2005 2:38 am, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da Ani-sama »

Soulchild ha scritto:Inizio con il rispondere a ghila. E' vero che il taglio del suo ultimo intervento aumenta di non poco la caratura della discussione (non se ne abbia a male il creatore del topic, il mio è solo un po' di sano disprezzo nei confronti degli otaku, di Evangelion per di più :tongue: !)[...]
Non ne ho a male! Figurati! L'idea era proprio quella di partire dall'analisi di un fenomeno come quello di Eva per iniziare un discorso più profondo che, alla fine, è saltato fuori. E io sono contento che sia così, e sono ancor più contento se si va avanti in questa discussione. Non è un off-topic, è piuttosto il ragionamento profondo che sta dietro ai problemi del "fenomeno otaku". Avanti così!
Haast en spoed is zelden goed.
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naushika
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Messaggio da naushika »

Soulchild ha scritto:Dipende. Dalle motivazioni che hanno spinto a creare: se rientriamo nella casistica della creazione come catabasi purificatoria nell'io, il cassetto può essere chiuso a chiave e la chiave buttata. Se invece ci muoviamo nell'ambito della condivisione di sé (come più spesso accade), la frustrazione è l'unica compagna di fronte all'incomunicato (e poi, ancor di più, di fronte all'incomunicabile). Ad ogni modo, l'ansia di darsi sarà sempre più forte del timore del fallimento.
questa ultima parte non mi è chiara :shock: puoi defiunire meglio cosa è la catabasi purificatoria dell'io...per caso è la catarsi greca?( la definizione di sè è chiara ma se un artista vuole far condividere ad altri il proprio io deve farsi appunto "capire" dagli altri...è come se uno parlasse con un altro di una cosa importante ma l'altro purtroppo non sente nonostante la buona volontà perchè l'artista è imbavagliato )

l'ultima frase proprio è strana....l'ansia più forte del timore? ma se è proprio il timore che genere l'ansia di darsi...scusami se non ho capito bene :cry:
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Soulchild
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Messaggio da Soulchild »

Ani-sama ha scritto:Non ne ho a male! Figurati! L'idea era proprio quella di partire dall'analisi di un fenomeno come quello di Eva per iniziare un discorso più profondo che, alla fine, è saltato fuori. E io sono contento che sia così, e sono ancor più contento se si va avanti in questa discussione. Non è un off-topic, è piuttosto il ragionamento profondo che sta dietro ai problemi del "fenomeno otaku". Avanti così!
Hey Ani-kun, non ricordavo che fossi stato tu ad aprire il topic, altrimenti non mi sarei nemmeno scusato :tongue: !

@naushika: se la ragione che ti spinge a creare (qualsiasi cosa, da stralci di poesie ad uno zibaldone di ricordi o pensieri personali, da uno schizzo su una tela ad un'armonia di note) è la ricerca di un confronto con te stesso, è la creazione stessa che può fungere da momento di "seduta psicoterapeutica" (cioè conoscitiva del proprio io), non necessitando di destinatario alcuno. Scrivendo questo, mi riferisco all'esempio riportato da ghila:
ghila ha scritto:Conosco persone che hanno scritto libri splendidi (alcuni anche sulla filosofia dell'erotismo davvero belli!) che non permetteranno mai che la loro opera venga pubblicata per la lettura di tutti e non di pochi intimi (cosa peraltro impossibile in questa Italia orfana di editori arditi)! Per timore di perdersi, per non perdere quel minimo di equilibrio (a volte anche mentale!) che hanno falsamente ritrovato mettendo sé stessi nell'opera in questione.
in cui oblitererei solo quel "falsamente", perché credo nella possibilità catartica dell'atto del creare: magari non ne uscirai proprio purificato, ma come effetto minimo starai sicuramente bene.

Più spesso invece, chi crea ama mettersi in gioco, cioè deflette il movimento comunicativo: non più da sé a sé, ma da sé all'altro. Come ha ben descritto ghila, a questa scelta può conseguire uno stato d'animo tormentato dal timore di non essere compresi o, ancora peggio, che non sia possibile comunicare, a causa di una progressiva "dispersione di segnale". Di fronte ai primi feedback negativi (cito ancora
ghila ha scritto:cose che ritenevo piane, nulle dal punto di vista artistico, venivano innalzate a momenti topici dell'album; viceversa parti profondamente sentite sminuite a brani di passaggio
), è possibile che la frustrazione abbia la meglio e che si insinui la convinzione che la vicenda della comunicazione umana non sia altro che un perverso "gioco del telefono". Tuttavia l'ansia di darsi, nelle persone davvero creative (in senso comunicativo, come ho detto nel mio precedente post), vince sempre il timore dell'incomprensione e tanti (come ghila) continuano ad esporsi, con gioia e positività, mettendo da parte (come mi sembra giusto) ogni paranoia paralizzante.