ghila ha scritto:un modo di comunicare sé stessi e la propria coscienza all'altro
ghila ha scritto:Ognuno ci trova quello che vuole e poi alla fine, chi ti dice che la tua interpretazione sia quella giusta?
A me sembra che queste due affermazioni siano in contrasto non veniale tra di loro, quindi vorrei chiedere a ghila delucidazioni in merito e, contemporaneamente, chiarire sinteticanaliticamente il mio pensiero. Non vi nascondo il timore che la discussione si faccia pantano, ma vi elargisco comunque i miei due centesimi.
Il primo quoting mi trova d'accordo. Non è esaustivo, ma dice molto dell'ansia comunicativa di chi si pone al tornio dell'ingegno e della creazione. Il secondo quoting sembra invece annichilire questa sublime tensione verso il darsi, nel momento stesso in cui la rende orfana poiché soggetta alla dispersione del travaso di mente in mente: ne risulta, a me pare, un'opera (in senso lato) trita e adespota, esposta alla mercè dell'altrui (spesso indebito) logorio.
Insomma, la tendenza alla compiaciuta masturbazione cerebrale, al ricamo sul nulla, all'arrogante appropriazione dell'altrui proprietà è, evidentemente, figlia del nostro tempo (otaku compresi). L'indiscriminata fruizione biunivoca dell'opera (sempre nel senso di cui sopra) è figlia di quello che altri ha definito "pensiero debole", in virtù del quale, nel santuario fragile e inviolabile della nostra individualità, ci sentiamo spesso in diritto di dare significanza all'altrui pensiero (follia!), andandolo a completare con i risibili rudimenti fornitici da quella che chiamo "teologia del quotidiano": in altre parole, il nostro sentire (individuale) elevato a sistema (universale).
Se non si fosse capito, nello specifico, sono fermamente convinto che il chitarrista del tuo gruppo sia l'unico e solo detentore della chiave d'accesso a ciò che lui, e non altri, ha creato
. La qual cosa può (e talvolta
deve, nelle intenzioni dell'autore) suggestionare l'altrui pensiero, innescando arditi giochi polisemici, previsti e al tempo stesso indomiti già nella mente di chi crea (scontato l'esempio dei cosiddetti decandenti, europei ed italiani). L'abuso della suggestione (sempre legittima e anzi anelata, purché non diventi pietra angolare di improbabili castelli su "il mio Dante", "il mio Pascoli", "il mio Evangelion", "il mio Miyazaki") mi riesce invece integralmente intollerabile: l'ultima parola va, in ogni caso, all'autore, altrimenti "la comunicazione di sé stessi e della propria coscienza", cui tu stesso facevi riferimento, non ha luogo (sempre che ciò sia possibile, ma non lo chiedere a me, ché sono un pirandelliano convinto) e l'opera creata diventa l'ennesima vittima immolata sull'altare del personale ed inalienabile sentire.
Questo è quanto. Si potrebbe dire ancora, con piacere e giovamento, sull'
hic et nunc del boom del "pensiero debole" e sulle sue degenerazioni in campo artisitico (per dirne una, Dante o Omero
non si "interpretano"), citando aberrazioni più o meno letterarie, ma penso che per ora possa bastare.